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QT n. 11, dicembre 2010 Servizi

La (contro) inaugurazione dell’Anno Accademico

La vivace protesta degli studenti e la polizia come risposta. I racconti e le opinioni di quattro testimoni

Riforma: chi l’ha letta?

Pur non avendo particolare simpatia per megafoni e cortei, ma ritenendo che lo stato di agitazione che sta investendo l’università italiana meriti attenzione, decido di recarmi a dare un’occhiata alla “contro-inaugurazione” organizzata da Trento Anomala. Almeno per capire quali pieghe stia prendendo il movimento studentesco, dove voglia andare.

L’atmosfera non è quella delle manifestazioni romane, in cui vigono regole quasi militaresche, e il megafono appartiene al capetto di turno. Il clima è decisamente più disteso. Tra uno slogan e un altro, una studentessa - dimenticando che a Trento non conterà quasi niente, e che il processo di provincializzazione dell’università è imminente - legge un resoconto sui danni che provocherà il decreto Gelmini. Poi, con l’aria di chi è consapevole di non aver aizzato le folle, lascia spazio alla premiazione degli studenti più vessati dal sistema: un tragicomico siparietto. C’è il folclore e la goliardia studentesca nella simulazione del funerale dell’università italiana, attestato da relativi necrologi, che non può non strapparti un sorriso.

Dopo trenta minuti di invettive, lo sghembo corteo parte da via Verdi per raggiungere l’adiacente facoltà di Giurisprudenza. L’irruzione è fulminea, improvvisamente si spalancano le porte e i manifestanti si precipitano sulle scale. Una ragazza, incurante dell’orda barbarica poco barbarica, continua a fare fotocopie. Non è un atto violento, è solo dimostrazione. Tant’è vero che alcuni docenti sembrano addirittura prenderla a ridere. Il gruppo intasa il corridoio, mentre il “megafonista” invita a venire avanti, a vincere la resistenza di chi tiene la porta per non farci entrare. Finalmente, si entra.”Gli stiamo facendo un favore, sai domani sui giornali...”, commenta uno studente.

Il rettore Bassi e il presidente Dellai si volatilizzano nel giro di pochi minuti.”È una pagliacciata”, dice Dellai. “Si abbaia alla luna”, commenta Bassi, citando Verga. Poco dopo, entra il reparto celere. Anche grazie all’intervento della ricercatrice Donata Borgonovo Re, la situazione non degenera; mentre, in un’altra aula, il rettore dà inizio all’anno accademico.

Un’ora e mezza di sit-in e di dibattito, poi gli studenti propongono di lasciare l’aula. C’è giusto il tempo per un significativo scambio di battute tra uno studente ciellino e un manifestante.”Sei amico di Formigoni, non puoi parlare”, sbraita il manifestante. E poi decreta: “Avete fin troppe occasioni per parlare”. E tanti saluti alla democrazia.

Roberto Sassi

Chiedere un confronto, ricevere la polizia

Ad un’azione di protesta si partecipa per un sacco di motivi. Spesso l’intenzione è solo quella di scacciare l’alone di astrattezza che avvolge i propri ideali, altre volte invece si vuole mettere le mani sul mondo e provare a plasmarlo, rifiutando sistemi e ordini di idee preconfezionati che proprio non ti vanno giù. Quando con altri sono piombato nella facoltà di Giurisprudenza per bloccare la cerimonia ufficiale di inaugurazione dell’anno accademico, intendevo soprattutto manifestare il disagio nel sentirmi escluso, come persona e come studente, dalle decisioni che mi riguardano, in balia di una sequenza di eventi che non può essere modificata in alcun modo. Chiedevamo per l’ennesima volta al rettore Bassi e al presidente della Provincia Dellai di ascoltare la nostra voce di studenti che vedono in pericolo il diritto allo studio, che sono stanchi di sentir parlare di tagli all’istruzione e di provincializzazione dell’ateneo trentino senza poter esprimere una nostra opinione.

Sederci a terra, nel bel mezzo dell’aula che ospitava la conferenza, dopo una corsa confusa tra i corridoi della facoltà urlando le nostre ragioni, ha ricevuto come risposta dal rettore la convocazione della polizia in tenuta antisommossa. Allora ci siamo avvicinati l’uno all’altro, ci siamo presi a braccetto per non farci portare via singolarmente, ripetutamente chiedendo di far uscire dalla sala le forze dell’ordine per poter avere un confronto diretto con il rettore.

Entrambe le richieste sono state puntualmente ignorate, tanto che la polizia è rimasta fino al termine del sit-in. Nel frattempo, di Bassi nemmeno l’ombra, rifugiatosi in un’altra aula a proseguire la cerimonia. Chiedere un colloquio pacifico circondati dai manganelli non è cosa facile, la paura di essere trascinati fuori e di essere schedati da un momento all’altro era forte. Nel frattempo, la maggior parte dei presenti se n’è andata, alcuni a seguire la conferenza nell’aula alternativa, altri, indignati, a casa. Qualcuno rimane a seguire gli sviluppi della vicenda, tentando di risolverla con la dialettica invece che con la forza, come Donata Borgonovo Re (già combattivo difensore civico, qui nelle vesti di docente), ma la tensione rimane alta.

Sono passate più di due ore dall’irruzione nella facoltà, stare seduti per terra è doloroso, c’è la voglia da entrambe le parti di risolvere la situazione nel migliore dei modi. Ci si alzerà da terra solo un’ora dopo, una volta ottenuta la promessa di un’assemblea all’interno della quale sedersi, questa volta tutti sulle sedie, e confrontarsi. La polizia evita l’inutile identificazione dei presenti. L’uscita dall’aula è per tutti una liberazione, si può andare a festeggiare, per una volta, il buon esito di un’azione di protesta. Nel senso che non ci hanno ascoltati, ma neanche picchiati. A questo siamo ridotti.

Luca Marchese

Un rettore senza pazienza

Bassi

L’irruzione di alcuni studenti nell’aula di Giurisprudenza in cui stava per iniziare la cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Accademico ha meglio illustrato la posizione del rettore, Davide Bassi, che ha nuovamente esibito la cifra della sua attitudine al comando. Il suo comportamento durante i disordini è stato così inadeguato da poter essere definito quasi pericoloso: certe decisioni non sono giustificabili nell’ottica di un particolare carattere individuale - più o meno permissivo, più o meno disposto al dialogo - ma diventano invece l’emblema di un’avventatezza che una personalità istituzionale di tale portata non può permettersi.

Fra le tante possibilità che aveva di fronte, vedendosi l’aula invasa da qualche decina di studenti, Bassi ha deciso bene di approcciarli offrendo loro dieci minuti alla fine della cerimonia per un intervento. Immaginatevi come una trovata simile possa sembrare a chi è appena entrato a forza per gridare il proprio disappunto in un megafono: più un insulto che una concessione.

Ci sarebbe da discutere ampiamente riguardo ai metodi della protesta (e, ahimè, anche dei contenuti), tuttavia ritengo più significativo analizzare la gestione, altrettanto discutibile, di tale dissenso.L’operato del rettore è stato all’insegna della chiusura al confronto: dopo neppure 10 minuti dall’irruzione, infatti, ha lasciato senza neanche badare a portarsi dietro il cappello.

Inoltre Bassi, dopo un breve indugio, s’è deciso per quella che potrebbe diventare una colorita tradizione: per il secondo anno la cerimonia, oltre che degli studenti in protesta, ha visto la partecipazione straordinaria di polizia e carabinieri in tenuta anti-sommossa. D’altra parte, far bloccare gli studenti da un cordone di uomini armati deve essere stata una scelta inevitabile: impossibile ignorare i numerosi palloncini colorati che i ragazzi brandivano minacciosamente!

Chiedere alla polizia di entrare in università è cosa seria. A ciò però si aggiunge che sul piano pratico la decisione è stata ancor più grave, perché ha creato le condizioni per una possibile degenerazione violenta. La tensione è subito salita alle stelle ed è stata solo una fortuna che non sia sfociata in uno scontro fisico, che avrebbe di certo contato più di un ferito, viste le anguste dimensioni dell’aula.

Confido però che, con gli sventurati intrappolati per più di un’ora dalle forze dell’ordine, il prosieguo dell’inaugurazione - in un’altra aula - sia stato piacevole per il nostro rettore, con premiazioni, discorsi pomposi ed ermellini vari.

Alberto Gianera

L’Università in mano alla politica

Lorenzo Dellai

Precarietà. Un’università sempre più “esamificio”, dove si assimila il sapere in modo acritico. Un’istituzione nella quale si bada più all’economia che alla cultura. Per accompagnare poi gli studenti in un mondo del lavoro che non dà più di tanto valore alla formazione. Meglio un diplomato senza tante pretese. Forse è solo disillusione. L’idea che l’università formi persone che rendono la società migliore è un’utopia.

Il volantino a Sociologia mi ha attirato alla manifestazione per il sentore di condividere un destino comune con gli attuali studenti. Ben illustrato graficamente nella “Ruota del precariato”. Ironica raffigurazione del dualismo moderno tra chi è “dentro” (e ha dei diritti) e chi è “fuori”.

Fuori da Giurisprudenza saranno stati una cinquantina i manifestanti. Alcuni, c’è da aspettarselo, conoscono vagamente i motivi della protesta, altri intonano una serie di slogan e cantilene tipiche ormai dei “nonni sessantottini”. Perchè non far sentire la propria voce? Antonio Marchi, pensionato, ex dipendente universitario, dentro Giurisprudenza prende il megafono e lamenta la mancanza di apertura al dialogo del rettore Bassi. Il presidente Dellai è protagonista di un siparietto divertente: mentre i manifestanti invadono pacificamente i corridoi di Giurisprudenza, lui esce con sguardo stralunato dalla toilette. Qualche minuto dopo urla in faccia a muso duro ad un manifestante: “Tu non sai niente!”.

In ateneo si insegna il metodo scientifico: attraverso prove, esempi, dati, citazioni dimostro che una teoria o un’idea è valida. Bassi e Dellai non avrebbero probabilmente impiegato molto a smontare qualche argomento dei manifestanti.

Dal megafono è uscito anche un “Il destino dell’università trentina è stato deciso in un caffè chic di Milano”. Un modo più diretto per esporre le critiche a Dellai che sono venute anche dal presidente del Consiglio provinciale Kessler domenica 28 novembre al casinò di Arco. I politici hanno ascoltato i manifestanti? No, eccezion fatta per Florian Mussner, assessore alla scuola e cultura ladina, che è rimasto per molti minuti ad osservare con interesse gli accadimenti.

Il 24 novembre in via Verdi è terminato all’insegna del dialogo grazie all’intervento di Donata Borgonovo Re. I manifestanti cantano vittoria, ma in fondo è stato un pareggio. Che rischia di far giocare una nuova partita-fotocopia nel novembre 2011. Con il liceale Dellai ed il geometra Malossini che intanto si occuperanno del destino dell’università trentina.

Mattia Frizzera