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QT n. 11, dicembre 2010 Seconda cover

Il bosco, la nuova frontiera

Dopo incredibili pasticci sta per decollare l’industria trentina delle case in legno. Un’attività remunerativa e innovativa legata alla qualità della vita e dell’ambiente.

Più di un milione di metri cubi. Questa è la quantità di materiale legnoso utilizzabile garantito ogni anno dai boschi trentini. E allora è facile fare due calcoli: una casa Sofie in legno, unifamiliare, impiega 60-70 metri cubi di legno; venduta anche solo a 100.000 euro, significherebbe ogni anno un fatturato di oltre un miliardo di euro. Questo per rimanere al solo lato economico.

D’altra parte però bisogna fare i conti con il resto del mondo, “tutti costruiscono case in legno” ricorda il dirigente del dipartimento Risorse forestali dott. Romano Masè “il problema è la qualità”.

Quando dieci anni fa la giunta provinciale decise di avviare una filiera del legno che garantisse una maggior valorizzazione dei boschi trentini, aveva di fronte un obiettivo di grande rilievo, ma anche molto, molto complesso. E infatti talora ci si è persi per strada o si è lavorato con poco costrutto, o addirittura, come vedremo, la mano destra si è messa a disfare quello che faceva la sinistra. Eppure si è andati avanti, e ora si vedono i primi risultati.

La strada intrapresa, prima timidamente, poi con sempre maggior convinzione, è quella dell’edilizia sostenibile. Che porta a due ordini di vantaggi, entrambi cospicui. Da una parte, i vantaggi economici-occupazionali e anche ambientali: valorizzare il legno significa dare più valore ai boschi, con tutto quello che ne consegue in termini di paesaggio, stabilità idrogeologica, biodiversità, qualità dell’aria. Dall’altra, i vantaggi per l’abitante della casa in legno in termini di comfort, sicurezza antisismica, risparmio energetico, estetica.

Certo, ci sono i punti deboli, anche vistosi. Da colmare attraverso la ricerca e la messa a punto di adeguate contromisure. Il più vistoso è il pericolo del fuoco. Ben lo conoscono gli americani, che godono di costi di costruzione bassissimi di confortevoli case di legno standard (la classica villetta unifamiliare a due piani, quella di Norman Bates in “Psyco” per intenderci); ma al contempo devono convivere con il perenne timore dell’incendio, che finisce con l’incidere su vari aspetti della vita sociale, quando il primo malintenzionato può ridurti tutto in cenere.

E qui è entrata in gioco la ricerca, attraverso l’Ivalsa (Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree) ramo del Cnr costituitosi con sede a San Michele nel 2002. La casa “Sofie”, realizzata attraverso pannelli di legno dalle elevate caratteristiche isolanti, antisismiche, ignifughe, ha brillantemente superato nei laboratori giapponesi dei test severissimi, resistendo, con un edificio di sette piani a un terremoto simulato di magnitudo 7,2 della scala Richter (quello dell’Aquila era di magnitudo 5,8, molto inferiore essendo la scala logaritmica). Notevole, poi, la resistenza ignifuga: mentre nella stanza in cui veniva appiccato il fuoco la parete raggiungeva una temperatura di 1000°, la stessa parete, nella faccia sulla stanza accanto, si manteneva a 25°, rimaneva cioè inalterata.

Boschi “certificati”

Tutto bene quindi? No. Facciamo un passo indietro, o meglio a monte. Tutto il progetto dipende dai boschi. In Trentino il bosco era gestito con il criterio del “taglio a fratta”: taglio di piante coetanee su superfici estese, e successivo rimboschimento. Risultato: massimo rendimento economico, ma indebolimento ambientale, con boschi coevi e a una sola specie, massimo due, perdita di fertilità dei suoli, di biodiversità, di stabilità idrogeologica.

Nel dopoguerra si cambia e si abbraccia un indirizzo naturalistico, prestando attenzione all’insieme delle funzioni del bosco e non solo a quella economica. È in quest’ottica che avanza, soprattutto nel Nord America e in Europa, la consapevolezza del valore del bosco; e la richiesta dei cittadini che il legno utilizzato provenga da pratiche ambientalmente corrette, e non da deforestazioni. Questo viene garantito attraverso il meccanismo della certificazione, che segue il legno dall’albero al prodotto finale, garantendone la provenienza. Di qui la necessità di certificare i boschi trentini.

E qui nascono i pasticci. Perché esistono due tipologie di certificazione, il FSC e il PEFC. La Provincia decide di utilizzare il PEFC, e in tre anni il 90% dei boschi risulta certificato. Ma non basta certificare il legname, occorre anche stabilire gli standard cui deve rispondere il prodotto finito, cioè la casa. E la Provincia fa le cose in grande. Non si accontenta dello standard di Bolzano, Casa Clima, che certifica l’efficienza energetica, ed abbraccia lo standard Leed, molto più avanzato, che certifica anche la resistenza ignifuga, antisismica, ecc. Solo che il Leed non prescrive il bosco certificato PEFC, ma FSC, il metodo che la Pat ha scartato.

E questo crea il pateracchio. Perché nel frattempo la ricerca è andata avanti, è decollato il progetto Sofie (casa realizzata attraverso pannelli, dalle elevate caratteristiche isolanti, antisismiche, ignifughe, come verificato anche nei laboratori giapponesi), le aziende hanno iniziato ad investire e a costruire; ma se vogliono vendere le case devono realizzarle con legno da fuori provincia, perché il nostro legno, pur avendo i requisiti, non ha la certificazione giusta.

Ora si cerca di riparare. Cambiando la normativa del Leed (ma nel marzo del 2009 - vedi su QT dell’epoca “Crisi e tecnologia: bluff o via d’uscita?” - i responsabili ci avevano assicurato di risolvere il pasticcio “entro l’anno”, cioè il dicembre 2009...) e/o certificando i boschi anche con il sistema FSC, “cosa che avverrà nei primi mesi del 2011. E allora avremo una doppia certificazione, che è un atout in più” assicura Masè.

Insomma, si è perso tempo, e malamente. “A Bolzano, attorno a Casa Clima hanno formato ottomila operatori, dai boscaioli agli architetti, - afferma Luigi Casanova, presidente della Consulta che ha gestito il primo processo di certificazione dei boschi - a Trento poco più di 100 persone, si è appena iniziato”.

Né baracche né baite: case

Le prospettive però sono incoraggianti. Dei risultati già raggiunti dal progetto Sofie abbiamo detto. Però si prosegue per migliorare ulteriormente, ora soprattutto sulla longevità della costruzione. Contemporaneamente, l’Ivalsa ha dato vita a un nuovo progetto, Casa Legno Trentino, che certifica la qualità - nel senso delle prestazioni - di qualsiasi costruzione trentina in legno (quindi anche Sofie, ma non solo) e ne accompagna la manutenzione: “Attualmente dieci aziende stanno costruendo case applicando questo regolamento per testarlo” ci dice il dott. Masè.

Il pericolo che si lavori in maniera scoordinata è sempre incombente. Per questo da un anno è stata attivata una cabina di regia di tutta la filiera, per coinvolgere e coordinare tutti i soggetti, pubblici e privati, dagli enti proprietari dei boschi ai costruttori.

Vediamo un esempio. Il legno trentino rischia di costare tanto. Ma non per i costi di produzione, bensì per la difficile commercializzazione. Quando proprietario di un bosco è un ente pubblico, per vendere fa un’asta, e il costruttore, per comperare, non basta che alzi il telefono, s’informi sul prezzo e ordini: deve andare all’asta, dove poi troverà materiale vario, che gli toccherà comperare in blocco. In questa maniera non si va da nessuna parte.

“Per questo stiamo costituendo una società, dei proprietari dei boschi, preposta alla commercializzazione del legno. - ci dice Masè, che della Cabina di regia è coordinatore - Ad essa da una parte viene conferito il legname, dall’altra rappresenta l’interlocutore con l’aquirente: si tagliano i tempi, si abbassano i costi, si evitano scarti, si razionalizza tutto il percorso”.

Messe a posto tutte queste tessere (prodotto di alta e riconosciuta qualità, organizzazione complessiva adeguata, costi competitivi), la casa in legno può affrontare il mercato. Si lavora anche sull’estetica, con appositi studi e corsi dell’Università di Trento; per allontanare dalla casa in legno l’immagine della baita, o peggio della baracca; o quella, nobile ma fuorviante, del modulo provvisorio per terremotati o rifugiati.

Si tratta invece di un’alternativa alla casa in cemento, più salubre e confortevole, più ecologica, più economica, più bella. È un’occasione per conciliare edilizia e ambiente, costruzioni e superfici boscose. E per dare vita a una nuova, innovativa e ragguardevole attività economica, intrinsecamente legata al nostro territorio.