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QT n. 12, dicembre 2018 Servizi

Tassullo spa: perché il fallimento

Tutti i documenti su una storia controversa: come una ditta fiorente viene travolta dalla crisi, e il suo fiore all’occhiello passa in altre mani

Einar Broch, professore emerito dell’Università di Trondheim, studia da decenni caverne e gallerie scavate nella roccia per costruirvi invasi idrici e centrali idroelettriche, in Norvegia e nel mondo. A lui, alla sua Università e ad un altro istituto norvegese si rivolsero gli amministratori della Tassullo Materiali spa attorno al 2009, per vedere cosa si poteva fare nella miniera di Rio maggiore, tra Vervò e Taio in Val di Non.

Prima di interrogare i ricercatori norvegesi, la società aveva intessuto collaborazioni con l’Università di Trento e la Fondazione Mach, e, a quanto pare, la Provincia di Trento aveva accordato alla ricerca 1.500.000 euro.

La Tassullo Materiali spa, con capitale sociale di 11.300.000 euro, era parte di un gruppo di imprese che producevano principalmente calce, colle e compositi per l’edilizia. Unico socio della Tassullo Materiali la Tassullo spa, con capitale di 4.882.023 euro, ripartito in altrettante azioni ordinarie. Costituita nel 1909, la Tassullo spa, ora in liquidazione, conta circa 600 soci, in stragrande maggioranza piccoli risparmiatori della Val di Non.

Fino al 2007, sotto il nome di Fornaci di Solferino srl con sede a Solferino, la Tassullo Materiali aveva ottenuto buoni risultati: nel 2006, ad esempio, utili per 450.834 euro. La grande recessione l’aveva poi messa in difficoltà, non per incapacità degli amministratori. Nel 2007 gli utili erano scesi a 142.000 euro, i debiti erano fermi a poco più di 6 milioni, meno dell’anno precedente. Nel 2008 l’inversione di rotta: alla fine dell’anno, a cifre arrotondate, le perdite ammontarono a 1.085.000 euro, i debiti a 41.730.000, di cui oltre 30 verso banche; crediti per oltre 20 milioni, di cui quasi 12 verso clienti.

Dal 1° novembre 2008 la Tassullo Materiali aveva assorbito tutte le attività e impianti della Tassullo spa, giungendo a contare 138 dipendenti. Di conseguenza il capitale era aumentato da 1.500.000 a 10 milioni di euro e il patrimonio netto da 1.800.000 a 17.337.000.

Gli amministratori s’impegnarono a trovare nuove risorse, puntando sulle gallerie secondo le indicazioni dei ricercatori. La miniera di Rio Maggiore è una cava sotterranea, aperta nel 2004 per estrarre la dolomia da miscelare nelle malte. Presenta una peculiarità geologica: sopra la dolomia si stende uno strato di marna, alto circa 40 metri, che rende le gallerie assolutamente impermeabili. L’acqua penetra nel sottosuolo attraverso doline e cunicoli carsici e vi si conserva pura da inquinamenti di superficie, mentre l’aria contiene un ridotto tenore di ossigeno, che a quanto pare non impedisce però di lavorare. Queste speciali condizioni generano basse temperature e forti risparmi di energia, escludono i rischi d’incendio e renderebbero i tunnel quanto mai adatti ad almeno due usi: la conservazione della frutta e l’alloggiamento di strutture informatiche centralizzate.

Nell’aprile del 2010 la Tassullo Materiali ottenne dalla Giunta Provinciale una valutazione positiva sulla compatibilità ambientale di un suo programma per l’estrazione, esclusivamente in sotterraneo, di circa 8 milioni di metri cubi di dolomia nell’arco di 37 anni, e per la realizzazione di bacini ipogei ad uso irriguo nel Comune di Vervò. Pochi giorni dopo la PAT, senza assumere impegni finanziari, strinse un “accordo di programma” con la stessa Tassullo Materiali e con i Consorzi irrigui e di miglioramento fondiario di Priò e Vervò, per costruire effettivamente in futuro i bacini sotterranei ideati.

Le molte potenzialità delle gallerie

Stando ai risultati della ricerca, era possibile fare molto più dei bacini e soddisfare vari interessi ed esigenze: la produzione e l’occupazione; la salvaguardia dei risparmi dei soci; l’immagazzinaggio della frutta; l’installazione di grandi centri computerizzati in condizioni di sicurezza; il rispetto dell’ambiente e l’ordine urbanistico nel territorio, attraverso la riduzione dei magazzini e depositi agricoli di superficie. La Telecom ipotizzò la creazione di un Centro dati trentino – DCT – con l’impiego stabile di 90 dipendenti.

Con queste attese, tra la fine del 2011 e il febbraio del 2012, la Tassullo Materiali acquistò il diritto di superficie a tempo indeterminato su parte del sottosuolo nell’area della miniera; forma giuridica ingegnosa, alla quale corrisponde sostanzialmente il diritto di realizzare e mantenere, non meno di quaranta metri sotto la superficie, vuoti sotterranei utilizzabili come bacini per l’acqua, o a diversi fini agricoli e turistici, o come magazzini. Sopra permane il diritto dei proprietari dei terreni, per lo più agricoltori.

Il territorio complessivamente interessato dall’acquisto copre circa 40 ettari, più o meno 57 campi da calcio. La società comperò sia per cavare la dolomia, sia in vista degli innovativi impieghi prefigurati dai professori norvegesi. Ai proprietari dei terreni pagò 10 centesimi per mq. in superficie inserito nel piano cave, per 39.833,12 euro in tutto. I contratti non prevedono altro corrispettivo a favore dei proprietari cedenti, né in denaro né in differenti forme. Tuttavia, i vecchi amministratori hanno riferito a QT che erano stati pattuiti in aggiunta un ulteriore compenso in denaro per ogni chilo, o quintale, di dolomia estratta, e dei benefici nel consumo dell’acqua irrigua e potabile accumulata nel sottosuolo. Di questi accordi non abbiamo trovato finora alcun documento, ma ciò non esclude che possano essere stati conclusi; quanto all’acqua, i vantaggi potrebbero essere quelli ottenibili dai consorzi irrigui di Priò e Vervò, quando fossero realizzati i bacini sotterranei.

Ma nonostante buona volontà e impegno, la situazione della Tassullo Materiali non migliorò. 40 milioni di debiti spaventavano e le Casse rurali non concessero altri finanziamenti. Gli amministratori cercarono sostegno in Provincia dove, così hanno riferito, lo stesso Presidente Dellai suggerì loro di coinvolgere qualche protagonista della finanza trentina.

Nel luglio del 2012, nella legge provinciale sull’attività di cava fu immessa una nuova regola, che consente di realizzare nelle cave sotterranee strutture destinate alla conservazione di prodotti agricoli o ad altre attività, anche differenti rispetto a quelle in superficie.

Subito, già nell’agosto, la Tassullo Materiali spa, quale unico socio, costituì la CAE- Conservazione Alta Efficienza - srl, allo scopo di realizzare e vendere, sopra e sotto il suolo, impianti per lo stoccaggio, la conservazione, la lavorazione di prodotti d’ogni tipo, vale a dire per mettere a frutto le potenzialità della miniera di Rio Maggiore. La CAE appena fondata comperò dalla Tassullo Materiali circa un settimo del sottosuolo di Rio Maggiore, sempre al prezzo di 0,1 euro per mq in superficie, per 5.571 euro in tutto.

Quattordici mesi più tardi, nell’ottobre del 2013, invogliati dagli amministratori della società entrarono nella CAE la Curia trentina, con la sua finanziaria ISA spa, e gli industriali della provincia con FT Real Estate spa, della quale era unico socio la Finanziaria Trentina spa, loro strumento. Investirono 200.000 euro nominali ciascuno, pari al 20% del capitale sociale di un milione di euro, ma di fatto l’impegno fu limitato a 60.000 euro.

CAE non ha mai avuto, né ha dipendenti: la sua funzione è esclusivamente finanziaria.

Arrivano le mele

L’operazione celle ipogee cominciò a prendere sostanza. Con la collaborazione di Melinda, tra l’aprile 2012 e il marzo 2013 in una cella sotterranea appositamente allestita fu sperimentata la conservazione di 120 tonnellate di mele, in vista dello stoccaggio di 50.000 tonnellate di prodotto, con possibilità di aumento a 70.000 secondo un accordo di programma stretto tra Melinda, Tassullo Materiali e i Consorzi di miglioramento fondiario di Priò e Vervò. Visti i positivi risultati, nel giugno del 2013 nove cooperative decisero di acquistare celle per 9.730 tonnellate di stoccaggio, quale Impianto pilota, al prezzo di 5.570.591,30 euro oltre IVA.

Si giunge così a tempi recenti. Nel 2016 le nove cooperative hanno ottenuto dalla Giunta della PAT 1.965.270,31 euro, in collaborazione con l’Istituto Mach, per il progettato “Impianto pilota”.

Completata quest’opera a fine 2015, nel febbraio del 2016 la CAE ha venduto a 11 consorzi agricoli della Melinda 22 celle al grezzo, destinate all’immagazzinaggio di 19.500 tonnellate di frutta. Le celle sono state cedute come beni futuri, che la CAE s’è obbligata a produrre appaltando alla Tassullo Materiali lo scavo minerario e ad altre imprese, scelte a sua discrezione, le opere necessarie per ottenere le geometrie finali. Il corrispettivo è stato fissato in 9.800.000 euro, netto d’IVA, da pagare ad avvenuta esistenza dei beni. È stata prevista l’aggiunta di due lotti, per arrivare alle 50.000 tonnellate dell’ipotesi iniziale. Consegnate le celle, le cooperative hanno puntualmente pagato.

Gli ex amministratori di Tassullo Materiali e CAE ci hanno riferito che il prezzo delle celle fu determinato in misura corrispondente al 70 % circa del prezzo dei magazzini di superficie.

Dal bilancio CAE 2017, forse lo strumento più attendibile per calcolare i guadagni procurati dalle celle, emergono questi dati: i ricavi delle vendite e prestazioni assommano a 5.150.000 euro nel 2016, a 4.650.000 nel 2017. Sono 9.800.000 euro in tutto: esattamente il prezzo delle 22 celle vendute alle cooperative.

Costi di produzione: 3.775.604 per il 2016, 3.505.401 per il 2017. Tolti oneri vari e imposte, restano utili per 281.364 euro nel 2016 e per 322.848 nel 2017, in totale 604.212 euro.

La CAE ha fatto quell’operazione soltanto e il conto è semplice: la vendita delle prime 22 celle ha dato un utile del 6,17%. Ulteriore guadagno dovrebbero aver generato i lavori fatti dalla Tassullo Materiali, i cui bilanci non sono accessibili a QT. Non pare fuori luogo pensare ad un’utile d’impresa complessivo, sommato a quello della CAE, attorno al 10%. Senza tener conto, beninteso, del lavoro e del denaro spesi nella ricerca.

Ora l’operazione è chiara. Occorrono tre cose: che la Tassullo Materiali scavi le gallerie, che la CAE venda le celle, che qualcuno le comperi per farne magazzini o altro.

La Melinda, con 16 cooperative consorziate, produce almeno 300.000 tonnellate di mele all’anno, non meno di altre 150.000 provengono da produttori diversi. Il mercato è vasto.

La Tassullo non ce la fa

Senonché la Materiali Tassullo non riesce a rimettersi in piedi. Nell’aprile del 2015 gli amministratori sono costretti a presentare domanda di concordato, che il Tribunale di Trento ammette a fine novembre. È bene essere precisi: il concordato è una procedura concorsuale, come il fallimento, istituita allo scopo di ripartire tra i creditori delle imprese in stato d’insolvenza il loro residuo patrimonio, nel rispetto delle preferenze stabilite dalla legge.

Il 27 aprile 2016 il commissario giudiziale dott. Alberto Bombardelli segnala al Giudice delegato inadempienze, discutibili a dire il vero, degli amministratori, e la Procura della Repubblica di Trento presenta istanza di fallimento, assieme ad alcuni creditori. Fallimento che il Tribunale dichiara con sentenza del 21 luglio 2016, mediante cui dispone la continuazione temporanea dell’attività, nomina il Giudice delegato e con lui il curatore nella persona del dott. Bombardelli.

Convinti che il curatore e il Tribunale non abbiano agito bene, gli amministratori della società impugnano la sentenza e la Corte d’appello di Trento dà loro ragione. Gli organi fallimentari ricorrono alla Corte di cassazione, la cui decisione è attesa. Si vedrà.

Gli stessi organi fallimentari, ai quali, s’è detto, spetta il compito di pagare per quanto possibile i creditori, non sospendono l’attività e tentano ripetutamente di vendere in blocco l’azienda della Tassullo Materiali e i marchi della Tassullo spa. I crediti ammessi al passivo ammontano ad oltre 40 milioni di euro; in parte sono retribuzioni dei dipendenti, contributi previdenziali, provvigioni degli agenti, forniture di artigiani.

L’azienda messa all’asta comprende gli stabilimenti di Tassullo e Mollaro, alcune cave, delle partecipazioni societarie, attrezzature, macchinari, silos, diversi contratti tra cui quelli dei dipendenti. Comprende pure il Ramo Gallerie, con i diritti di superficie della miniera di Rio Maggiore – ove si trovano le celle con la galleria di accesso - e il 60% della CAE. I dipendenti mediamente occupati nel 2016 sono ancora 65.

I tentativi di vendita falliscono fino al 27 ottobre 2017, quando il pacchetto è acquistato dalla Miniera San Romedio srl per 5.945.500 euro, oltre imposte. Il contratto notarile di vendita è stipulato l’8 marzo 2018, con facoltà di pagare il prezzo mediante accollo dei crediti dei lavoratori.

La Miniera San Romedio srl è stata costituita, non è azzardato dire appositamente, nell’aprile del 2017 per la produzione di malta e calce. Ne sono soci la Covi costruzioni srl col 46,15%, La Tassullo investitori srl col 30,77%, la Co. Beton srl col 15,39% e l’ISA spa col 7,69%.

Inizia l’attività il 10 marzo 2018, due giorni dopo aver comperato la miniera di Rio Maggiore dal fallimento, ed occupa 40 dipendenti.

Nella CAE cambiano rapidamente composizione ed equilibri.

Nel giugno del 2018 la FT Real Estate (ossia gli imprenditori trentini) vende per 190.000 euro il suo 20% alla Miniera san Romedio, che così estende all’80 % la sua quota. ll conto delle partecipazioni CAE ora ridefinisce così presenze e poteri:

- Covi costruzioni, dei fratelli Mario (51%) e Matteo (49%) Covi, = 39,62% (46,15 % di 80% miniera s. rom.);

- ISA = 26,152% = [(20% CAE + (7,69% di 80% miniera san Romedio srl)]

- Tassullo investitori srl 24,616 %

- Co. Beton srl 12,312 %

Nella Tassullo investitori sono riuniti alcuni industriali del settore edilizio provinciale.

Il quadro è ricomposto: nella miniera di Rio Maggiore la società Miniera San Romedio scava le gallerie per trarne la dolomia e, occorrendo, per ricavare le celle che la CAE venderà, si vedrà a chi. Non c’è fretta: i compratori potrebbero essere altri consorzi della frutta, degli operatori dell’informatica, dei consorzi irrigui.

Alcune domande

La vicenda delle celle ipogee non si ferma qui. Vicenda già lunga, anche un po’ noiosa a raccontarla. D’altro canto, se si vuol cercare di conoscere e capire bisogna scrivere e leggere con pazienza: per muoversi nella complessità non c’è altra strada. Ne nascono parecchie riflessioni e molte domande. Eccone alcune.

L’idea è buona e può portare molti vantaggi a molti. È stata messa in pratica, finora, in un ambito esclusivamente privato. I soci della Tassullo spa sono 600, è vero, e pure quelli dell’ISA non sono pochi, quasi 4.000. Collettività entrambe non omogenee al loro interno sotto il profilo economico e sociale, per conoscere la composizione delle quali occorrerebbero indagini tanto accurate, quanto poco utili. I loro interessi rimangono privati.

L’iniziativa è stata inizialmente nelle mani del gruppo Tassullo, che l’ha concepita e per condurla in porto ha costituito una società apposita: la CAE. La crisi ha ridotto il gruppo a mal partito, cosicché, sollecitati dalla stessa CAE, sono entrati nel gioco i più forti attori della finanza trentina. L’hanno fatto con prudenza, senza investire milioni e decisi a non assumere debiti. Hanno considerato il gruppo Tassullo e la sua dirigenza non recuperabili, da sostituire. Hanno atteso che il prezzo dell’azienda, messa sul mercato dal fallimento, divenisse conveniente, hanno acquistato e immesso nell’operazione e nella CAE un’altra impresa, di fiducia loro e di alcuni industriali del settore.

L’idea e l’iniziativa camminano, forse daranno i frutti sperati a vantaggio delle imprese, dell’occupazione, del territorio. Hanno fatto male? Nell’immediato può dirlo qualche bravo imprenditore o analista, per il futuro si vedrà. La difficoltà delle previsioni sta appunto nel fatto che riguardano il futuro.

I dirigenti della Tassullo? Onestamente si deve dire che ce l’hanno messa tutta, hanno concepito e coltivato un’idea che potrà rivelarsi rivoluzionaria, sono stati sfortunati incappando in una crisi mondiale micidiale. Una di quelle crisi che secondo i neoliberisti non si sarebbero verificate mai più. Magari si sono sbagliati, i neoliberisti. In ogni caso, le imprese sono soggette al rischio, che a volte supera le migliori capacità.

Indi gli organi fallimentari, bersagliati dalla sentenza d’appello e da critiche salate, prima perché secondo alcuni avrebbero dovuto continuare col concordato, anziché dichiarare il fallimento, poi perché avrebbero dovuto sospendere la vendita dell’azienda sino alla decisione della Cassazione. Il curatore, per giunta, avrebbe favorito il nuovo gruppo capeggiato, più o meno, dall’ISA. Il prezzo della miniera di Rio Maggiore sarebbe stato irrisorio rispetto al valore effettivo.

Si deve dire, anzitutto, che gli organi fallimentari hanno tenuto una condotta perfettamente lecita e plausibile. Per valutare se sia stata una condotta pure opportuna, occorre ribadire una volta ancora che le procedure concorsuali, concordato e fallimento, hanno lo scopo di realizzare l’interesse dei creditori. Pare evidente che Tribunale e curatore hanno condiviso il giudizio di irrecuperabilità della Tassullo, manifestato da ISA e Finanziaria trentina.

Quanti anni sarebbero occorsi al concordato per rimettere in piedi la società e pagare i debiti, se tutto fosse andato per il meglio? Torniamo al futuro: forse quarant’anni? Il prezzo di vendita della miniera fu esattamente identico, 10 centesimi per metro quadrato in superficie, a quello pagato dalla Tassullo Materiali ai proprietari e, per una modestissima porzione, alla PAT, ed a quello pagato alla Tassullo Materiali dalla CAE. Le quote della quale ultima furono cedute, col complesso dell’azienda, per quello che valevano, come dimostra la successiva vendita del pacchetto della FT Real Estate alla Miniera San Romedio. Quanto agli occupati, quelli del gruppo Covi sono oggi una sessantina, pochi meno di quelli della Tassullo Materiali nel 2016.

Infine la Provincia. S’è mossa pure lei con prudenza: non ha investito nella Tassullo, ed ha supportato l’operazione delle celle assegnando circa tre milioni e mezzo di euro alla ricerca. Avrebbe dovuto finanziare il gruppo decotto ed i suoi debiti? Se l’avesse fatto non sarebbe stata la replica di passati disastri, quello della La Vis ad esempio, per dire il primo che viene in mente? Ed inoltre, non sarebbe stato clientelismo elettorale?

Beh, per ora ce n’è abbastanza.