Preti pedofili: le colpe dell’istituzione
Dalla sessuofobia all’ipocrisia omertosa, le immense responsabilità della Chiesa
Lo scandalo dei preti pedofili si dispiega a mio avviso su due livelli, uno più grave dell’altro, e che colpisce la Chiesa nella sua essenza: la cultura che lo ha reso possibile, nella sua ampiezza e gravità; il comportamento dell’istituzione, che lo ha tollerato e coperto. Su entrambi la reazione della Chiesa è del tutto negativa.
Partiamo dal primo aspetto: la violenza sui bambini perpetrata da chi avrebbe dovuto proteggerli e guidarli. Le argomentazioni a difesa ci sembrano rivoltanti: si stilano percentuali di casi acclarati rispetto al numero dei preti in esercizio, e si conclude che il fenomeno è assolutamente secondario, inferiore alle percentuali che si registrano in altre istituzioni, a iniziare, ahinoi, dalla famiglia. In realtà anche se il numero dei casi registrati è impressionante (centinaia di minorenni violati dal singolo prete), la sensazione è che, estendendo le indagini, sollevando i sassi, altro marciume finora sottaciuto verrebbe alla luce.
Ma a prescindere dalle disinvolture statistiche, è grave lo stesso ricorso alla statistica e a comparazioni che si vorrebbero consolatorie. Dal momento che non ci si trova di fronte a uno-due casi, ma a un vero e proprio fenomeno, quasi un costume, non può non urgere la domanda chiave: perché? Come è potuto succedere?
C’è chi, il teologo conciliare ed eterodosso Hans Küng, ha provato a dare (e per questo è stato prontamente demonizzato) delle prime risposte: il celibato dei preti, forzati in una condizione innaturale e il crollo della quantità delle vocazioni, e quindi della qualità, tende a fare dei sacerdoti degli individui emotivamente fragili, che nell’istituzione cercano rassicurazioni. Per noi ci sono motivazioni ancor più di fondo: la pesante sessuofobia di cui è impregnato il cattolicesimo, oggi fuori dal mondo, e che in ogni caso impedisce un approccio sereno alla sessualità; in particolare per i preti, come possono testimoniare tutti coloro che sono passati per i seminari, la demonizzazione della donna come simbolo del peccato, e la conseguente accentuazione distorta delle pulsioni omosessuali (la maggior parte degli abusati sono maschietti). Di questo la Chiesa non osa discutere.
La copertura
C’è poi il secondo aspetto, forse più grave, la copertura omertosa. Che investe personalmente Benedetto XVI che, da cardinale, era a capo della Congregazione della Dottrina della Fede. Le sue disposizioni sono state chiarissime: silenzio imposto agli abusatori e agli abusati, avocazione a Roma di ogni pratica, sistematicamente insabbiata (tranne il caso, unico, di mons. Marcial Marciel, che evidentemente dava fastidio in quanto a capo dei discussi Legionari di Cristo). Le conseguenze sono note: i pedofili nella stragrande maggioranza (pochissimi quelli ridotti allo stato laicale e nessuno denunciato) venivano spostati in altre parrocchie dove, rifattisi una verginità, potevano continuare con altri minori le loro tristi pratiche.
Qui casca tutto: carità cristiana, amore per il prossimo, sollecitudine per i piccoli. Reputate sciocchezze di fronte alla necessità di mantenere linda la facciata dell’istituzione. La gravità è inaudita: è più colpevole il pedofilo, triste squilibrato, o l’alto prelato che da Roma, dopo attenta riflessione, lucidamente gli permette di perseverare negli abusi? Non c’è da meravigliarsi che gli abusati non concedano sconti: finchè il papa non chiederà perdono per quello che lui (non gli altri) ha fatto, non potrà avere credibilità alcuna.
La reazione della Chiesa invece è stata sconcertante, ad indicare la siderale lontananza non solo dallo specifico problema, ma anche dai principi conclamati. Si è svolta infatti su due piani. Da una parte il papa che ammette responsabilità (ma non le proprie) e chiude le porte a buoi scappati, emana cioè disposizioni per procedere alla denuncia dei responsabili. Dall’altra però il variegato mondo di alti prelati e organi di stampa ufficiali che, come se gli abusi fossero un’invenzione, si scaglia contro il “chiacchiericcio” e il “complotto” che, per alcuni, diventa addirittura “sionista” e “giudaico”.
Hanno perso la testa, è chiaro. Ma questo accade perché non hanno il cuore. Non hanno principi, valori (di cui pur tanto chiacchierano) in cui credere, se non la salvaguardia della vuota istituzione.