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QT n. 7, 7 aprile 2008 Servizi

Giovani e politica, fra disillusioni, incertezza ed attivismo

Si interessano, hanno ideali e si mobilitano: ma in forme del tutto nuove.

Hanno compiuto diciott’anni pochi mesi fa i figli del post-comunismo, delle ideologie contrapposte, dei due blocchi, della grandi guerre, del sessantotto, della contestazione. Le elezioni politiche del 13 aprile saranno la prima volta per tutti quei giovani nati dopo il 9 novembre 1989, dopo il muro di Berlino.

Da allora sono cambiate molte cose. I partiti italiani, che erano rimasti identici per oltre quarant’anni, si sono improvvisamente scongelati lasciando spazio a nuovi schieramenti. La televisione ha imposto nuove forme di comunicazione (il lessico stesso della politica, imperniato sulla contrapposizione destra-sinistra, va vieppiù modificandosi) e perfino la concezione del far politica sembra sempre più incerta.

Rispetto a tutto questo, come si pongono i nuovi giovani rispetto alle generazioni precedenti? Ne abbiamo parlato con Peter Wagner, docente di sociologia del mutamento all’Università di Trento.

"I ventenni del ’68 si trovavano di fronte partiti organizzati secondo gli interessi e le appartenenze collettive come la classe sociale, la religione e via dicendo. Conseguentemente i cambiamenti nel voto, allora, avvenivano in corrispondenza con i mutamenti della stratificazione sociale, dal momento che i membri di una classe votavano stabilmente per il partito di riferimento. Diciamo, per esempio, che anche quando mia madre trovava il candidato socialdemocratico piuttosto convincente, non avrebbe mai votato per lui, non essendo la socialdemocrazia un partito per operai come lei."

Tutto questo oggi non ha più senso: le connotazioni di una certa predeterminazione collettiva non esistono più. I giovani non fanno politica in funzione delle ideologie e dalla prospettiva di un futuro aperto e diverso, quanto piuttosto dalla mobilitazione derivante da un personaggio politico.

Wagner ricorda il caso di Barak Obama; possiamo pensare anche al nostrano Beppe Grillo. "Ma questa mobilitazione difficilmente si traduce in un impegno partitico-politico organizzato, anche perché l’immagine del leader è spesso una creazione mediatica che non persiste per molto tempo; in questo senso, Berlusconi e poi Veltroni hanno messo la politica italiana sul cammino già percorso negli Stati Uniti, ed in Inghilterra da Blair".

Proprio Veltroni, immagine del nuovo grande partito unitario di centrosinistra, ha tentato di portare una scossa d’entusiasmo nei confronti delle giovani generazioni. Di converso, ha avuto un forte impatto sulle generazioni più giovani l’ondata di apatia se non addirittura di rifiuto nei confronti della politica. Tant’è vero che alle primarie del Partito Democratico solo il 19% dei votanti aveva meno di 34 anni.

Il disincanto dei giovani rispetto alla politica non è però frutto solamente del Grillo di turno o, come molti possono pensare, dell’apatia derivante dalla desolante scena politica italiana. Umberto Galimberti, nel suo "L’ospite inquietante", osserva che "la politica non è più il luogo delle decisioni, essendosi questo trasferito altrove: nell’economia organizzata quasi esclusivamente da fattori tecnici". I politici insomma non sembrano più in grado di assicurare una soluzione ai problemi di tutti i giorni.

Inoltre, le istituzioni appaiono ai giovani distanti ed incapaci di risolvere i problemi (ormai l’irriverente "piove, governo ladro!" ha lasciato spazio alla sconsolata equazione "politici, tutti ladri e corrotti").

Per rendersi conto di questa percezione basta navigare su internet, divenuto ormai per i giovani uno dei principali veicoli di informazione e comunicazione. Su yahoo.com"Vendetta" prova a farsi portavoce di un pensar comune: "Ma vi rendete conto che siamo letteralmente sottomessi a questi politici? Tutti sanno che sono ladri ed imbroglioni, tutti li vogliono vedere andare a casa. Amministrano (?) noi, i nostri soldi e la nostra vita. E sono ladri. Lo sanno tutti. Allora perché sono ancora là? Perché? Non è forse questa la dittatura?"

Gli fa eco Giramondo (senza troppa cura per la forma): "Un leader giovane e convincente non potrebbe arrivare mai e poi mai. Per candidarsi bisogna avere calci in culo, per andare al senato devi avere conoscenze varie. Un pinco pallino qualsiasi non salirà mai al potere. Ormai siamo in un troiaio che è meglio astenersi dal voto".

Per comprendere il problema non ci si può fermare all’analisi dell’arena politica, ma bisogna comprendere il contesto in cui vivono i giovani d’oggi. "Da almeno vent’anni a questa parte, la generazione è più simile a una new wave che sale ogni cinque-sette anni. – affermaBruno Sanguanini, sociologo della comunicazione presso l’Università di Verona - Ma si tratta sempre di ‘onde’ che si infrangono contro un muro di sabbia cementata: il "No Future" della politica per i giovani. La prova ci è fornita dalla quasi-ossessione che i giovani hanno per il senso del presente. Infatti, quando parlano, usano solo due verbi, il presente e l’imperfetto, a conferma che non concepiscono tanto facilmente né il passato (la storia), né il futuro (la modernità). Di ciò i giovani ritengono responsabili i loro padri, ma soprattutto la politica."

Mentre i nostri padri, cui fa riferimento Sanguanini, si impegnarono duramente nel dopoguerra convinti di poter assicurare ai propri figli un futuro migliore, per i giovani d’oggi resta solo la frustrazione del precariato all’orizzonte (solo un terzo delle assunzioni sotto i 40 anni ha la fortuna di un contratto a tempo indeterminato, vedi Boeri-Galasso in "Contro i giovani") e la consapevolezza di vivere in una società in cui lo show business conta più dell’impegno quotidiano.

Tuttavia, la rassegnazione ed il disinteresse non hanno ancora preso il posto lasciato libero dalla lotta e dalla contestazione.

"I giovani hanno un grande appetito di informazione, - spiega Sanguanini - che però resta largamente insoddisfatto. Non leggono i giornali, eppure non ignorano i fatti della politica. Usufruiscono molto delle ‘voci che corrono’ tra gli amici, il piccolo gruppo, l’amico più stimato, la famiglia. C’è chi si omologa e chi si oppone, non per eccesso ma per difetto di informazione. Lamentano la mancanza di interlocutori, imputando agli adulti di non mantenere mai le promesse che enunciano sin troppo a cuor leggero. Per loro i mass media (giornali, radio, televisione, ecc.) non rappresentano l’opinione pubblica, quindi le nostre ‘voci’ volte a coltivare l’interesse collettivo, bensì degli apparati che pretendono di esercitare il doppio ruolo di arena pubblica – vedi l’uso della televisione fatto dai politici – e di mediatori cultural-pubblicitari di interessi aziendali di ogni sorta".

Parlando con i ragazzi emerge come essi si interessano molto di politica, ma in modo diverso rispetto ad un tempo. Forse più superficiale (Sanguanini: "Tutti o quasi tutti guardano alla politica come al display del telefonino: sono connesso, ricevo, leggo, e poi vedo cosa fare"), ma non per questo meno sentito.

"E’ vero che non si occupano più le scuole, - racconta uno di loro - si scende meno in piazza e forse si va a votare anche meno, ma io sento molti miei compagni parlare di politica, e ne discutiamo anche animatamente. Certo, ad alcuni non importa nulla, ma è inevitabile che sia così. I più si servono invece degli strumenti offerti dalle nuove tecnologie per cercare di confrontarsi: blog, forum e poi youtube, dove è possibile vedere ed inserire video."

Insomma, come spiega Peter Wagner, i partiti stanno perdendo sempre più importanza nello strutturare l’azione dei giovani attivisti, che preferiscono impiegare in modi e forme diversi il loro fervore politico: "Un impegno politico programmatico è diventato meno plausibile, anche perché è difficile identificare un progetto politico in quanto tale; altre associazioni e forme di auto-organizzazione danno invece la possibilità di impegnarsi più direttamente e spesso con risultati e effetti visibili a breve o medio tempo. Insomma -conclude Wagner - io non vedo, contrariamente a quanto sostengono altri osservatori, una spoliticizzazione dei giovani, ma piuttosto un cambiamento di modo di attività e anche forse di sostanza. Il Forum Sociale è solo un esempio di una forma persistente di auto-organizzazione che forse ha le sue origini nel ’68 e che ora ha più fortemente connotazioni globali nell’analisi dei problemi principali delle nostre società. Anche per ragioni di questo orientamento verso un’analisi globale i partiti politici sul livello nazionale rimangono per molti giovani in una logica ristretta di conquista di un potere attraverso la quale i problemi non possono essere risolti – e spesso neanche interessano i leader politici".

I nuovi giovani non si sentono più lontani dalla società di quanto si sentissero i sessantottini. Non è neppure vero che hanno meno ideali e che non si mobilitano per essi. Di certo, lo fanno in modo diverso: generalmente, non credono ai partiti, hanno poche certezze e faticano a dialogare con interlocutori diversi dai loro coetanei. Ma è anche vero che le istituzioni, a loro volta, non sanno dialogare con loro.

Quale futuro per questi giovani e la politica? Vi è chi opterà per quello che Sanguanini definisce il "voto-spot" (cioè, "Voto e così me la cavo"), e chi deciderà di schierarsi, soprattutto tra coloro che fanno delle attività associazionistiche il proprio salvagente nella vita di relazione sociale. E, come lascia sperare Sanguanini, ciò è segno che, per i giovani, la possibilità che "domani sia un altro giorno" non è mai esclusa.