Carcere di Trento: perché distruggerlo?
Una decisione insensata, presa con superficialità e senza le necessarie verifiche.
Le recenti polemiche apparse sugli organi di stampa locale in merito alla demolizione dell’edificio delle carceri di Trento mi hanno suggerito alcune analisi e riflessioni.
Premetto che il sottoscritto nella primavera del 2003 fu incaricato dal Provincia di Trento – Progetto Speciale Grandi Opere Civili di redigere una ricerca storica sul palazzo di Giustizia al fine di fornire "studi preparatori e preliminari per il concorso di progettazione di livello europeo per la nuova sede unificata per gli Uffici Giudiziari di Trento".
Per forza di cose quindi sono a conoscenza di un percorso che ha segnato le vicende storiche, culturali e amministrative dell’intero complesso fino alla discutibile scelta di demolizione delle carceri.
Ho individuato cinque punti che rappresentano le tappe di questo percorso.
Lo svincolo di non interesse storico-artistico delle carceri. Riporto dettagliatamente quanto fu deciso dalla Commissione Beni Culturali nella seduta del 27 ottobre 1993: "Vista la documentazione agli atti e la relazione estesa dal tecnico del Servizio Beni Culturali, responsabile di zona della tutela monumentale, a seguito di visita sopralluogo effettuata in data 20/10/1993… la Commissione decide… di riconoscere che l’immobile in oggetto non riveste interesse storico-artistico e pertanto, non rientra fra i beni tutelati ai sensi dell’art. 4 della Legge 01/06/1939, n. 1089".
Per capire quali sono stati gli elementi che hanno indirizzato questa sentenza era necessario individuare e analizzare i contenuti della sopra citata documentazione agli atti e la relazione. Quest’ultima consiste in un promemoria datato 20/10/1993 di cui riporto il testo per esteso nel quale il responsabile di zona dei Beni Culturali scriveva: "A seguito della richiesta in oggetto... ed a seguito di sopralluogo effettuato in data 20/10/93 si ritiene che l’edificio sito in C.C. di Trento e individuato nella p.ed. 1271/2 non presenti i presupposti oggettivi previsti dall’art. 1 della Legge 01/06/1939, n. 1089. Si propone pertanto di dichiarare che l’immobile in oggetto non riveste alcun interesse storico-artistico e pertanto, non rientra fra i beni tutelati ai sensi dell’art. 4 della Legge 01/06/1939, n. 1089".
La documentazione agli atti e la relazione è tutta qui: non compare nessun documento storico, nessuna datazione del manufatto, nessun sostegno documentario dotato di immagini grafiche e fotografie; soltanto cinque sintetiche cartelle nelle quali si propone il non interesse storico-artistico.
Per quanto riguarda il citato sopralluogo effettuato dal responsabile di zona, è mia convinzione che questo sia avvenuto solo all’esterno delle carceri. Una convinzione sostenuta dal fatto che dieci anni dopo visitai il complesso con lo stesso responsabile di zona, interrogandoci su come fosse articolato l’impianto architettonico; era evidente che nessuno di noi conosceva il manufatto dall’interno.
L’individuazione e la proposta di non interesse storico-artistico fu dunque dettata da una "analisi a vista" del manufatto, priva di ogni fondamento documentario. Su queste basi, il 20/10/1993, la Commissione Beni Culturali decide che le Carceri non hanno i requisiti necessari per far parte dei beni tutelati.
Se questo metodo di valutazione storico-artistica (se metodo si può chiamare) adottato dalla Commissione dei Beni Culturali per le carceri fosse stato applicato in modo sistematico su molti manufatti costruiti o ricostruiti verso la metà dell’Ottocento, è curioso pensare a ciò che sarebbe rimasto del patrimonio architettonico attuale.
Il vincolo di tutela storico-artistica del Palazzo di Giustizia. In ben altro modo si sviluppò il procedimento che decretò nel 2001 l’interesse storico artistico del Palazzo del Tribunale. Con un provvedimento del 9 maggio 2001 la Commissione Beni Culturali segnala l’opportunità di dichiarare l’interesse particolarmente importante, ai sensi degli artt. 2 e 6 del D.Lg 29.10.199, n.490 per questo manufatto architettonico. Il provvedimento è corredato da una corposa relazione/promemoria nella quale si illustra puntigliosamente e dettagliatamente la storia dell’edificio partendo dagli atti amministrativi del 1850 (che stabilirono l’area dell’intervento dell’intero complesso di giustizia, tribunale e carceri) fino alle ultime trasformazioni edilizie della fine del ‘900. In questa relazione l’edificio delle carceri viene citato solo due volte per localizzare urbanisticamente il comparto edilizio ma senza entrare nel merito architettonico del manufatto.
Pertanto, a differenza del procedimento del 1991 per le carceri, il metodo per decretare l’interesse storico artistico del Palazzo del Tribunale, fu supportato da fonti storiche e atti documentari certi ed approfonditi. Quindi, sia sotto l’aspetto amministrativo che quello culturale il procedimento si sviluppò correttamente.
La ricerca storica del 2003. Come già detto, nella primavera del 2003 il sottoscritto fu incaricato dalla di redigere una ricerca storica sul Palazzo di Giustizia di Trento.
Nell’agosto dello stesso anno consegnai la ricerca, di cui una copia fu inviata al Servizio Beni Culturali. Riporto integralmente ciò che scrissi nella premessa: "Questa relazione ripercorre la storia del Palazzo di Giustizia e del Complesso Carcerario di Trento attraverso tre percorsi di ricerca.
A) Un inquadramento storico-critico, che inserisce la vicenda del complesso nel panorama architettonico e culturale di Trento tra la metà dell’800 e il primo ‘900.
B) Una documentazione archivistica, che definisce tempi e modi di costruzione di questo complesso giudiziario, cercando di affrontare anche la difficile questione della paternità progettuale.
C) Una lettura tecnico-architettonica del manufatto, con l’analisi di tutte le variazioni intercorse tra la presentazione ‘ufficiosa’ del progetto di Ignazio Liberi, non realizzato, la successiva riformulazione apportata dall’amministrazione viennese e le aggiunte, le superfetazioni, i cambiamenti (il più pesante quello che porta, negli anni ’60, alla demolizione della corte d’appello) avvenute nel corso del ‘900.
In questo lavoro, vi è dunque, un’integrazione di fonti, materiali, prospettive di osservazione che, si auspica, possa fornire un quadro articolato della situazione.
E’ bene riassumere, in proposito, qual è stato il criterio metodologico che ha motivato questa ricerca. Partendo da una lettura dei documenti storici (fonti d’archivio, planimetrie, bibliografie) si è presto a giunti a un punto fermo, che in qualche modo è alla base del lavoro. La differenziazione tra il Palazzo di Giustizia e il complesso delle carceri non è suffragata da sostegni documentari. E’, in altre parole, un errore di valutazione che, per quanto ipotizzato anche in tempi recenti, può essere stato suggerito da un’osservazione non sufficientemente attenta del complesso. Nelle documentazioni, nelle tavole grafiche e fotografiche che seguono, è evidente questo fatto: il corpo del Palazzo di Giustizia e il corpo delle Carceri vanno considerati unitariamente, perché in modo unitario sono stati progettati. Sarebbe quindi importante, allora, mantenere l’integrità fisica di tutto il complesso, perché solo salvaguardandone l’intera fisionomia si può pensare di recuperare una pregevolissima testimonianza architettonica del periodo austroungarico in Italia".
Vorrei aggiungere un ultima osservazione. Per documentare banalmente che l’intero complesso delle carceri e del Palazzo di Giustizia fu costruito in modo unitario e quindi coevo, sarebbe bastata una fotografia (che allegai alla ricerca storica e che era conservata nell’archivio storico dei Beni Culturali) del fotografo trentino G. B. Unterveger, scattata verso il 1887, nella quale si vede chiaramente il cantiere e si capisce che il complesso carcerario venne eretto ancora prima del Palazzo di Giustizia.
Il nuovo accertamento dell’interesse storico-artistico del palazzo di Giustizia e del complesso delle carceri. Gli esiti della ricerca storica inoltrati alla vigilia della redazione del bando di concorso per la nuova sede unificata per gli Uffici Giudiziari di Trento, indussero la Provincia a inoltrare, nel novembre del 2003, una nuova richiesta di accertamento dell’interesse storico-artistico del palazzo di Giustizia e del complesso delle carceri. Più semplicemente la richiesta si potrebbe così interpretare: ad oggi sono pervenuti dei dati storici inconfutabili che hanno individuato la datazione complessiva e la valenza storica dell’intero complesso edilizio (carceri e Palazzo di Giustizia); chiediamo un nuovo accertamento al Servizio Beni Culturali al fine di stabilire definitivamente il valore storico dell’intero complesso edilizio.
La risposta del Servizio, pervenuta il 27/11/2003, riportò e ribadì ciò che era stato deciso precedentemente, nel 1993 e nel 2001: il complesso delle Carceri non riveste interesse storico artistico, mentre il Palazzo di Giustizia è soggetto a vincolo di tutela artistica con determinazione.
Quest’ultimo passaggio, a mio parere è, sotto l’aspetto culturale, di una gravità inaudita. Nonostante siano stati forniti nuovi dati documentari certi e attendibili, la Commissione dei Beni Culturali, ignora tutto e si nasconde dietro le decisioni espresse dieci anni prima. Decisioni che, come sopra dimostrato, furono supportate da un metodo d’analisi storica inesistente, privo di sostegni culturali.
E’ stata quindi un’occasione irrimediabilmente perduta. Non è vero né corretto dire, come l’assessore alla Cultura ha recentemente dichiarato alla stampa in risposta alle polemiche sulla demolizione delle carceri e alla richiesta della conservazione del manufatto: "Intervento tardivo... I tecnici (che a suo tempo eliminarono quella parte del complesso d’epoca asburgico dall’elenco degli edifici sotto tutela) di solito sono anche troppo rigorosi!"
Per questa vicenda sono stati rigorosi al contrario. Avevano tutti gli elementi storici e il tempo utile per rimediare alla scelta di svincolo dettata con superficialità nel 1993, ma non lo fecero. Così decretarono definitivamente la distruzione del complesso asburgico delle carceri.
Il concorso per il nuovo Polo giudiziario. Nonostante il parere dei Beni Culturali, si offrì nel 2005 un’altra occasione per salvare almeno parzialmente le carceri attraverso il concorso del nuovo Polo giudiziario. Ma anche quest’opportunità andò perduta o forse non fu neanche voluta.
Le indicazioni storiche specifiche riportate nella ricerca, come i disegni originali delle carceri (depositati anche presso l’archivio storico del Comune di Trento e accessibili a tutti) non furono mai allegate al materiale di concorso fornito ai concorrenti, né tanto meno furono mai date indicazioni sulla possibilità del recupero del complesso edilizio. Nelle tavole per il concorso non appare neanche il sedime o una sezione schematica del manufatto che avrebbe potuto fornire gli elementi progettuali essenziali alla proposta (per chi avesse inteso) di recupero del complesso delle carceri. Era evidente che i progettisti non potevano scegliere tra due possibilità se recuperare l’esistente o progettare una nuova costruzione.
E’ scorretto dire, come ha sostenuto sulla stampa la Provincia, che i progettisti avevano delle scelte ma che nessuno (tranne un solo gruppo) ha intrapreso la strada del recupero delle carceri. Purtroppo tutti avevano una scelta obbligata dettata anche da un rigido schema funzionale richiesto: demolire l’esistente e progettare ex novo.
Nella primavera del 2005, davanti alle autorità comunali e provinciali e ad un numeroso pubblico intervenuto alla presentazione del bando del concorso per il Polo giudiziario, ribadii verbalmente ciò che avevo scritto nella premessa alla ricerca storica, sottolineando il rammarico per non aver considerato nel bando la possibilità di salvaguardare il manufatto delle carceri.