Distruzione del carcere: l’ignoranza al potere
Un colto dibattito certifica al massimo livello il devastante nulla culturale di una scelta della Pat. E l’arroganza rimane nuda.
La distinta platea, che affollava la sala signorile (del Falconetto a Palazzo Geremia), fatta di persone eleganti, non a caso iscritte al Fai (il Fondo per l’Ambiente Italiano che associa l’ambientalismo delle classi alte), insomma tutte persone compite ed educate, a un certo punto perdevano le staffe. In reazione all’intervento dell’assessora provinciale alla cultura, Margherita Cogo, coraggiosamente immolatasi ("Me l’avevano consigliato di non venire") a difendere l’indifendibile. Di fronte al nulla delle motivazioni addotte per giustificare una decisione che esimi studiosi stavano dimostrando scellerata, anche le signore in tailleur rimpiangevano di non avere sottomano qualche ortaggio per rispondere adeguatamente. Solo la protezione del moderatore Franco de Battaglia, particolarmente apprezzato dall’ambientalismo colto, evitava all’assessora una contestazione che si preannunciava durissima.
Era uno dei tanti episodi della sempre meno latente insofferenza verso la casta politica? Sì, anche.
Ma al contempo era la sacrosanta reazione a un caso specifico, in cui la plateale ignoranza, ottusità, arroganza del ceto politico-burocratico sta per compiere uno scempio ancor più doloroso perché immotivato. Non stanno distruggendo un patrimonio storico perché ci guadagnano; ma in primo luogo perché non sanno quello che fanno, e poi perché "ormai abbiamo deciso".
E allora il cittadino - distinto benpensante o arrabbiato no-global - non ci sta più.
Il Tribunale di Trento e il suo carcere: beni culturali da salvare" era il tema della tavola rotonda organizzata da Fai e Italia Nostra. Argomento a prima vista non entusiasmante: conservare le pietre di un carcere non parrebbe un obiettivo mobilitante. Eppure la sala era stracolma, e gli interventi che si succedevano, colti, documentati ed appassionati, portavano nuovi elementi, nuovi punti di vista, oltre che da Trento, anche da Vienna, da Roma, da Bolzano; tutti convergenti in un interrogativo che si faceva sempre più pressante: ci troviamo di fronte ad un autentico patrimonio, perché mai lo si vuole distruggere?
Era l’intervento del prof. Andreas Lehne, fra i tanti titoli Sovrintendente ai Beni culturali a Vienna, a inquadrare più compiutamente l’argomento. Fu l’arch. Karl Schaden, esponente del movimento viennese "universalista", che attorno al 1870-80 promuoveva la modernità in architettura attraverso linguaggi sia neogotici che neoclassici, a sviluppare e rendere esecutivo un progetto preliminare (di Ignazio Liberi) del nuovo complesso tribunale-carcere trentino. Una realizzazione che si inseriva all’interno di quella architettura pubblica, dagli ospedali ai palazzi delle istituzioni, che dovevano anche visivamente rappresentare il lato sociale, comunitario, dello Stato austro-ungarico. Di qui uno stile austero e al contempo ricercato, solenne ma non opprimente, che vuole comunicare ordine, sicurezza: l’Impero pensa anche a te, cittadino di una provincia lontana.
Di questo spirito Schaden fu uno dei più significativi interpreti. E le sue realizzazioni, ben oltre Vienna e l’Austria, si stendono dalla Romania, alla Polonia, alla Boemia, fino a Trento e Rovereto. Man mano che sullo schermo scorrevano le diapositive con cui il prof. Lehne illustrava il suo discorso, emergeva sempre più nitido il disegno complessivo: l’Impero e la sua architettura civile/istituzionale; l’architetto e il suo stile, che con vari adattamenti si replicava nelle tante province. Orbene, dei tanti edifici di Schaden, quello più imponente, articolato, monumentale, risulta essere proprio quello di Trento; solo che gli altri complessi, da Vienna alla Polonia, vengono protetti e restaurati, il nostro lo si vuole distruggere. Una vergogna.
Che fa fremere, quando il prof. Lehne fa scorrere la diapositiva del tribunale-carcere di Feldbach, in Styria: sempre di Schaden, ricorda in scala un po’ ridotta il complesso di Trento; ma lì sembra esserci un’altra consapevolezza: "Da Vienna si è stabilita una rigorosa tutela, per impedire manomissioni".
In realtà la storia del Trentino è sempre stata determinata, nel bene e nel male, dalla sua posizione geografica, punto di frontiera tra mondo latino e germanico. Fin dalla fondazione di Tridentum, avamposto militare romano, al medioevo, al Concilio che proprio a Trento (e non a Ferrara) doveva essere momento di confronto con la Germania luterana, alla città dell’800, piazza d’armi di un Impero che si sentiva minacciato a sud da una nuova entità nazionale ostile. Fino all’oggi e all’immediato domani: con Innsbruck che preme perché insieme si funga da cerniera culturale e commerciale tra Nord Europa e Mediterraneo (vedi Innsbruck chiama Trento); e i politici trentini che nicchiano, e preferiscono vivacchiare sugli ultimi soldi dell’Autonomia e gli angusti discorsi sulla territorialità.
E’ in questo quadro che va situata l’importanza dell’architettura austro-ungarica, felicemente presente in provincia e nel capoluogo (basti pensare alla Filarmonica, alle attuali facoltà di Sociologia ed Economia, alle Scuole Crispi ma anche a varie abitazioni civili del centro storico). In questo contesto risultava significativo il vibrante intervento del prof. Mastrelli, tra le altre cariche presidente dell’Istituto per la toponomastica, argomento sempre scottante in Alto Adige: "Ci si aspetterebbe che io sia anti-tedesco: e invece no, dobbiamo far conoscere la realtà della regione nel suo complesso, dai Galli ai giorni nostri. Ed è con grande emozione che ho studiato cosa abbia significato l’impero austo-ungarico, con la sua concreta attenzione al sociale, visivamente rappresentata da questi edifici pubblici che ci parlano ancora oggi".
Appunto, parlano; ma a chi vuole ascoltare. E tra essi sembrano non esserci i rappresentanti politici. Della cui cultura è emblematico il presidente della Giunta Lorenzo Dellai, che per adescare i voti autonomisti si presenta a un raduno di Schutzen a San Romedio travestito da arciduca austriaco; e invece, delle profonde testimonianze della realtà dell’Austria-Ungheria, se ne frega. "Abbiamo già deciso".
Al momento culturale, alto e intenso, del dibattito (di cui qui abbiamo riportato solo alcuni spunti, ma altri sarebbero da menzionare, come l’intervento dell’ex sovrintendente ai Beni culturali di Bolzano Helmuth Stampfer, o dell’autore dello studio storico sul carcere arch. Luca Beltrami, vedi Carcere di Trento: perché distruggerlo? ) seguivano poi le istanze più operative: d’accordo, la distruzione dell’edificio è una bestialità, come possiamo fermarla?
Qui entrava in gioco il mix di approssimazione ed arroganza in cui si crogiola parte dell’apparato politico-burocratico.
Il sovrintendente ai Beni Culturali arch. Flaim, autore, dopo una sommaria ricognizione dell’edificio dall’esterno del muro perimetrale, del parere con cui si svincolava il carcere dalla tutela, si era rifiutato di partecipare: "Non mi interessa, non ho intenzione di venire. E non verrò neanche alla visita all’interno" organizzata per la mattina. L’assessora Cogo, da cui Flaim dipende, faceva vaghe promesse ("Dobbiamo metterci attorno a un tavolo") che cadevano nello scetticismo generale: "E’ da mesi che lo chiediamo, e sempre rifiutate". Cogo segnava un punto a favore ricordando come "l’impegno nella tutela del nostro patrimonio artistico è un fiore all’occhiello del Trentino"; ma appunto per questo si trovava a non saper spiegare il perché della decisione di cui si stava parlando. E dopo aver tentato un paio di vie di fuga retoriche, precisava che "la Giunta (cioè Dellai) mi ha ricordato che non ho l’autorizzazione a farvi promesse". Appunto, "abbiamo già deciso".
Ma avete deciso una corbelleria!
"Chiederò che ci sia un supplemento di indagine". Però... "potrà esserci un esito positivo solo se ci sarà un clima adeguato, se non si leveranno le barricate". Cioè, se ve ne state buoni. Figurarsi.
Il caso, approdato (pur malamente) anche su Repubblica (Il carcere di Trento e le bugie di Dellai), è ormai una questione nazionale. E’ stato infatti anche grazie all’appoggio delle sedi nazionali del Fai e di Italia Nostra che si è arrivati a relatori internazionali e a un dibattito di notevole spessore. E saranno gli interessamenti romani a tenere aperta la questione, anche se la competenza è innanzitutto della Provincia.
Questa d’altronde è la sorte dell’Autonomia: se viene gestita male, è destinata a ridursi fino a svanire.