Essere buoni conviene. Sarà vero?
Il secondo Festival dell’Economia: vinto il confronto con Milano e la Bocconi, il successo è strategico. Il significato per Trento, le prospettive, il rischio di un approccio consumistico alla cultura. In queste pagine una prima rivisitazione meditata dei temi che hanno attraversato il Festival.
“Non può crescere ogni anno. Abbiamo raggiungere il limite: oltre 50.000 partecipanti. Di più non si può".
In queste parole (dell’assessore Gianluca Salvatori) sta la cifra del successo del Festival dell’Economia: già alla seconda edizione ha raggiunto il tetto.
La formula - una piccola città che ospita, ingloba una riflessione corale su temi alti della contemporaneità - si è rivelata pienamente centrata; al punto di esaurire, da subito, possibilità di ulteriori aumenti quantitativi.
Non solo. Il successo genera imitazione, concorrenza. E già dopo la prima edizione il Festival di Trento aveva dovuto affrontare un concorrente di tutto rispetto: niente di meno che Milano, l’Università Bocconi, insomma il Gotha dell’economia nazionale. Che aveva organizzato, assieme ad Unicredit e al Corriere della Sera, un "Forum sull’Economia", giusto due settimane prima del festival trentino.
Nomi di altissimo livello, studiosi, scrittori, ministri: ma praticamente un flop, con le aule riempite a stento, mentre a Trento si sono fatte le code per affollare non aule universitarie, ma teatri, che poi non erano mai abbastanza capienti, e allora c’erano i maxi schermi, che in alcuni casi non sono bastati. Come al Castello del Buonconsiglio, a sentire Anthony Giddens, con la gente che aveva riempito la Sala Grande, e poi la Loggia del Romanino e poi il Cortile dei Leoni; e a questo punto gli uscieri avevano chiuso il portone in ferro a piano terra.
"Quello di Milano è stato un Forum universitario rivolto agli specialisti, o a chi in ogni caso è competente – afferma Paolo Collini, preside di Economia a Trento – Mentre del nostro Festival l’oggetto non è la produzione del sapere, bensì la sua divulgazione, un evento ‘popolare’ rivolto a chi non ha un interesse specifico, particolare per la materia".
Ma non basta. "C’è un altro aspetto. – prosegue il prof. Collini - A Milano nessuno aveva il sentore che ci fosse il Forum. Mentre Trento, del Festival era permeata: e chi vi partecipava si è trovato in una città bella, interamente pedonale, dove cammini e incroci gli altri partecipanti e le tante postazioni della manifestazione. E vi si partecipava non per lavoro, ma per piacere, e il posto è appunto piacevole e stimolante".
"Qui si è creato un effetto agorà: vedersi, incontrarsi, in un posto piccolo che dall’evento viene trasformato– aggiunge Salvatori – Trento al Festival ha infuso un’anima, ce l’hanno detto tutti gli ospiti. E poi i luoghi storici, il Castello, la Sala Depero, la Falconetto, il Sociale... ‘Non ci siamo abituati, non ce l’aspettavamo’ ha confessato Giddens. A Milano questo non poteva succedere".
A nostro avviso la cosa è importante. Anzi, strategica: va molto oltre il Festival, riguarda la vocazione della città. Perché una città piccola, bella ed organizzata, che riesce ad essere più attraente di una metropoli, può giocare la carta della vivibilità, della dimensione raccolta ed umana, su vari e decisivi tavoli.
E’ la capacità attrattiva di un territorio che è in gioco. Ritorniamo al paradigma di Richard Florida, che più volte abbiamo ripreso (vedi La cultura molla dell'economia: funziona?, su QT n° 21 del 10.12.05): nella società della conoscenza, cruciale è attirare cervelli, talenti, "capitale umano". E questo è possibile solo se il contesto ambientale è favorevole, se c’è vivibilità, cultura diffusa, ambiente, spettacoli, servizi; altrimenti i cervelli non arrivano, scappano.
"Questo discorso ci porta alla nostra capacità di essere un polo significativo della ricerca. Però bisogna essere chiari: – spiega il prof. Collini – nella ricerca ci sono ambiti in cui sono molto importanti le dimensioni, e lì siamo tagliati fuori; ma ci sono nicchie di ricerca altamente specializzata, in cui le dimensioni non devono essere grandi. Ad esempio il Centro Mente-Cervello di Mattarello (vedi Il Trentino dei cervelli su QT n° 6 di quest’anno). Si tratta di scegliere gli ambiti – un numero limitato - in cui investire. Lo stiamo facendo, e mi pare che lo stiamo facendo bene".
Queste considerazioni da sole dovrebbero bastare a tacitare il brusio che ogni tanto si sente salire, da diverse parti: "Con tutto quello che costa..." E’ l’atteggiamento di una parte della popolazione, per la quale cento milioni di euro per un tunnel sono bene spesi, ma centomila per la cultura sono uno spreco. E’ una mentalità arretrata, da combattere vigorosamente.
In realtà il ritorno del Festival è su più fronti, oltre a quanto abbiamo già esposto: basti pensare alla visibilità del territorio sui media e all’afflusso turistico specifico per il Festival (circa metà dei partecipanti veniva da fuori provincia). Ma anche ai contatti intessuti ad altissimo livello: ospitare dei ministri in un ambiente gradevole per un’iniziativa prestigiosa non è cosa da poco; non è un caso se, proprio a latere del Festival, con il ministro Mussi si è firmato un protocollo per il finanziamento del Distretto tecnologico Energia e Ambiente.
Poi c’è il discorso prettamente culturale. Che ricadute ha il Festival in termini di arricchimento culturale della popolazione? Il rischio di trovarsi di fronte a un mero fenomeno modaiolo, a un episodio di vacuo consumismo culturale, come ipotizzato nell’intervento di un lettore, Un dubbio sul Festival: consumismo culturale?, in effetti c’è. Si dovranno trovare degli antidoti, per sedimentare un livello minimo di riflessioni, di dibattito. Per parte nostra anche questo numero del giornale, dedicato in gran parte, quindici giorni dopo l’evento, a rifletterci sopra, vuole essere un contributo in questa direzione.
Si può forse anche fare qualcosa di più in un’ulteriore direzione: ferma restando l’ottica sovranazionale, talora epocale, delle tematiche trattate, e che tale deve rimanere, tuttavia si potrebbe porre qualche relazione in più con la realtà trentina.
Per capirci, facciamo un esempio. La conferenza di Tullio De Mauro, appassionata ed incalzante, mostrava, smontando studi e statistiche, come in Italia un terzo della popolazione sia analfabeta (in senso stretto o di ritorno); un disastro, del quale l’ex-ministro accennava le devastanti conseguenze, e cui proponeva alcuni – semplici – rimedi: un reale, ramificato sistema di biblioteche (oggi in Italia 2.000, su 8.000 Comuni) e un programma di educazione permanente.
Al trentino che ascoltava sembrava si parlasse di un altro mondo: da noi l’analfabetismo è stato sconfitto due secoli fa, il sistema bibliotecario è un gioiello perfettamente funzionante, l’associazionismo culturale è vigoroso e capillarmente diffuso. De Mauro ci descriveva una realtà che con noi non ha niente a che spartire. Non sarebbe stato, a questo punto, opportuno, dedicare un po’ di tempo ad un raffronto con la nostra realtà e i problemi che ne conseguono? Magari in seguito alle sollecitazioni del presentatore, che invece era uno dei tanti nomi del giornalismo nazionale qui paracadutati per l’occasione?
Veniamo ora allo specifico dei contenuti, che quest’anno in particolare hanno rivelato un nucleo, un orientamento di fondo, cui si potevano riferire tutti gli appuntamenti (quelli almeno del programma centrale, il programma "partecipato" era più variegato). Su questo orientamento però vale la pena discutere.
Il tema centrale, "Capitale umano e capitale sociale" (vedi la scheda) portava costantemente, tutti i relatori, ad approdare al politicamente corretto. Come una legge di natura, la logica delle argomentazioni portava in tutti i campi alla stessa conclusione: se una nazione vuole essere ricca, deve essere buona. Per avere un’economia fiorente c’è bisogno di più istruzione, più servizi sociali, più equanimità del diritto, più accoglienza verso gli immigrati, più benessere diffuso...
Anche per chi scrive, che da sempre pensa che una società giusta ed equilibrata sia anche più razionale, qualcosa in questo coro non suonava bene. Coniugare valori e realismo va bene, anzi è obbligatorio; ma far coincidere valori e convenienze è forse eccessivo.
Anche perché la prassi, nella storia umana, è quasi sempre andata in altra direzione: e non c’è dubbio che tanti oggi pensino che per essere ricchi occorre che una porzione della società sia povera, che depredare un’altra nazione sia conveniente, e così via.
Questa separazione tra la teoria e la prassi (ne parliamo anche in altri successivi interventi, in particolare vedi All’ombra del capitale umano, che mette in risalto le incrinature nel pensiero di Gary Becker individuate dalle acute domande dalla platea) è apparsa stridente nel momento dell’intervento di Romano Prodi.
Prodi è un professore universitario, la sua cultura è senza dubbio alcuno tutta interna all’orizzonte che abbiamo delineato; se fosse intervenuto da professore, come pure da capo dell’opposizione, invece che da premier, sarebbe stata una delle tante voci del coro.
Invece la sua è stata una voce acutamente dissonante: un intervento tutto basato su quote di mercato, percentuali di Pil, aumenti dell’export, andamenti del fatturato...; in poche parole, il tradizionalissimo capitale economico, fatto di macchinari, commerci e soprattutto soldi. Non solo: quando gli è stato esplicitamente chiesto di capitale umano e sociale, cioè delle politiche per l’istruzione, abbandonava le cifre e le date per rispondere con un genericissimo "Sì, certo, è un aspetto molto importante", a significare che non gliene importava granché. Nessuno se la sentiva di infierire chiedendogli conto delle politiche per la giustizia (argomento peraltro in linea con il pensiero, tra gli altri, di Partha Dasgupta: è la fiducia, cioè la certezza delle regole, cioè l’autorità del diritto a permettere il mercato, gli scambi, l’economia).
Eppure lo stesso Prodi, meno di due anni fa, al Teatro Sociale invece che all’Auditorium, aveva indicato due priorità per l’Italia, l’istruzione e la giustizia: "Senza di queste non si va da nessuna parte"; e poi nominava ministro Clemente Mastella.
Una contraddizione lacerante. Dovuta unicamente ai limiti di una leadership in affanno? Oppure alle ristrettezze culturali della politica? Non è che anche la teoria zoppichi un po’? O che comunque sia poco accreditata, per cui si finisce con il predicare una cosa, e poi farne un’altra?
Il Festival voleva mettere a fuoco l’importanza di due concetti - capitale umano e capitale sociale - che si sono fatti strada a fatica nelle teorie economiche – ci risponde Salvatori - In questo il Festival non solo registra le posizioni, ma ne prende una, propone tesi. Dopo di che tutti i contributi sono stati critici su come questi principi sono poi messi in pratica, e si sono continuamente forniti elementi di comparazione, sulle debolezze dei diversi paesi nel tradurre i principi in pratica. E su questo, non è stato necessario aspettare Prodi per capire che l’Italia non è messa bene".
Proponiamo le stesse perplessità al prof. Collini.
"Sposo interamente queste sue riflessioni – ci risponde - però con due considerazioni. La prima è che con i politici bisogna andarci piano, e così su come inserire l’intervento di Prodi all’interno del dibattito: la politica segue altre esigenze, soprattutto di comunicazione, il dibattito politico non può essere del tutto trasparente. La seconda precisazione è un riconoscimento della serietà delle ricerche sul capitale sociale ed umano. Per esempio le teorie di Dasgupta, per cui se la gente si fida i mercati funzionano meglio, e se non si fida ci deve essere una sovrastruttura di regole che intralciano e costano, in avvocati, contratti ... tutto questo viene da studi molto approfonditi. La comunità di economisti è molto attenta".
Però poi sbaglia, quando fa previsioni, dà ricette…
"Sì, può sbagliare, perché è una scienza sociale, e quindi le variabili sono tantissime. Però le metodologie sono serie".
Quindi dobbiamo fidarci delle conclusioni, che peraltro sono in linea con quanto auspichiamo. Ma altrettanto seria è la scuola ultraliberista, che perviene a ben altre conclusioni...
"L’economia ha le scuole di pensiero; che d’altronde esistono anche nella fisica. Le scuole di pensiero sono apparati concettuali che condizionano lo sviluppo della ricerca, ed effettivamente, utilizzando l’uno o l’altro, si può arrivare a risultati divergenti".
Conclusione (nostra): l’economia è uno strumento, che può esserti molto utile a illuminare la strada. Ma non è infallibile; e la strada da prendere devi deciderla tu.
Il seguito al Festival 2008.
Il Festival: concetti base e cifre
Tema: Capitale umano, capitale sociale
Capitale umano: è costituito dall’insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche.
Capitale sociale: l’insieme delle relazioni interpersonali che aiutano le persone ad agire collettivamente migliorando il benessere sociale, la crescita e lo sviluppo.
Relatori: 252
Giornalisti accreditati: 360
Rassegna stampa cartacea: oltre 630 articoli
Tg nazionali: TG1, TG3 TV7 si sono collegati in diretta e hanno trasmesso speciali dedicati al Festival.
Tv: Oltre 20 emittenti si sono collegate direttamente per quasi 60 ore di diretta, più le differite.
Satellite (canale 930 di Sky): ha coperto tutto il Festival dalle 16 .55 alle 20.30 del 30 maggio e dalle 10 alle 22 dal 31 maggio fino al 3 giugno.
Sito www.festivaleconomia.it: più di un milione e 200 mila i contatti fino al 2 giugno. Paesi esteri maggiormente collegati: Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio, Spagna e curiosamente Marocco.
Sito www.festivaleconomia.tv: webTv del festival, con 200 mila visitatori. Si sta provvedendo ora ad inserire, tutti i filmati degli eventi per dar modo ai visitatori di seguire ondemand le giornate del festival.
Partecipanti: oltre 50.000 presenze (dettagli specifici ancora da elaborare)
Tema del prossimo anno: Mercato e Democrazia. "Di nuovo un tema che non è solo economico, ma affronta l’economia in relazione alla società contemporanea – afferma l’assessore Gianluca Salvatori - Oggi, con l’azione politica che non riesce più a fare sintesi, la complessità della società sembra tutta riassunta nel momento economico. Ma allora si carica l’economia di altri significati, anche se sappiamo che non include tutto: ecco perché partiamo dall’economia per toccare altro, la sociologia, il diritto, la relazione con la democrazia".