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QT n. 9, 5 maggio 2007 Servizi

Marcio in Comune: il Sindaco e il Difensore

Il marcio in Comune: il Consiglio di Stato si esprime, ed è un’altra batosta per le imprese. Le reazioni del Comune, cosa fa, cosa dovrebbe fare. Un’intervista al Difensore Civico dott.ssa Borgonovo Re.

Era stato il Tar, con due successive sentenze, a dare ufficialità a quello che abbiamo chiamato Il marcio nel Comune di Trento, ossia le concessioni edilizie in collina concesse in spregio alle norme del PRG, in pratica degli abusi edilizi con il timbro del Comune. Risultato: la cementificazione della collina di Trento, attuata non solo contro i buoni propositi del Comune, ma anche contro le sue stesse normative, sistematicamente disapplicate.

Avevamo chiesto le dimissioni dell’assessore competente, Alessandro Andreatta, e la sospensione dei dirigenti responsabili – architetti Codolo e Penasa – in attesa che un’inchiesta interna ne accertasse le responsabilità. Invece il sindaco Pacher si strinse attorno all’assessore, e la maggioranza di centrosinistra (con qualche mal di pancia e una sola voce contraria) attorno ai due, e tutti (anche qui con la sola denuncia del consigliere Salvati) attorno ai dirigenti, "sulla cui correttezza nessuno può dubitare". Ora, dopo il Tar, è stato investito anche il Consiglio di Stato. E anch’esso si è espresso; per ora in maniera provvisoria, ma pesantissima.

Tutto nacque da un’opposizione di un gruppo di cittadini, abitanti in collina, che scoprirono che nella loro stradina, una delle derivazioni di via alla Val a Povo, al posto di due villette unifamiliari sarebbero sorti due condomini. Abusivi, nel senso che i progetti avevano sì i timbri del Comune, ma erano al di fuori di diverse norme, oltre che della logica. Chiesero lumi, informazioni, protestarono in Comune, ebbero incontri col sindaco: invano. Allora ricorsero al Tar, per bloccare l’imminente costruzione. E il Comune affiancò l’impresa costruttrice nell’opporsi al ricorso. E il Tar, per due volte, su due progetti, diede torto a Comune e imprese e ragione ai cittadini.

L’assessore Alessandro Andreatta.

Le imprese non si arresero, e presentarono ricorso al Consiglio di Stato affinché ribaltasse la decisione del Tar. Nel frattempo però il bubbone era pubblicamente scoppiato, i nostri articoli avevano lasciato il segno, in Consiglio comunale la politica urbanistica era diventata un argomento scottante; in Giunta comunale ci fu animata discussione: affiancare le imprese nel ricorso? Si decise di no (contro il parere dell’assessore Andreatta, ci risulta) e di attendere le sentenze della magistratura in posizione di neutralità.

A livello giudiziario le imprese (la Moma Costruzioni srl), patrocinate dal prestigioso avv. Paolo Stella Richter, che molto spesso è scelto dal Comune come suo difensore in materia di ricorsi al CdS, sferrarono un duplice attacco. Da una parte chiesero al Consiglio di Stato una "sospensiva" della sentenza del Tar, ossia un annullamento (temporaneo) dell’annullamento della concessione edilizia. Cioè: in attesa della sentenza definitiva, ridateci intanto la possibilità di iniziare i lavori. Dall’altra l’impresa – e il luminare Stella Richter – avanzavano una richiesta minatoria: che il Consiglio di Stato obbligasse i cittadini, se volevano continuare a patrocinare la loro causa, a versare una cauzione miliardaria (per la precisione, un milione di euro), come "garanzia, nell’ipotesi di esito favorevole dell’appello, per i danni che la Moma Costruzioni sta già subendo dall’annullamento del progetto". Una richiesta arrogante e profondamente antidemocratica: se accolta, avrebbe sancito l’impossibilità per il cittadino non miliardario di opporsi al potere economico, anche quando questo apertamente calpesta la legge. Se tu non versi preventivamente un mare di soldi, non puoi adire la giustizia, che è quindi monopolio dei ricchi.

Il Consiglio di Stato, in data 6 marzo si pronunciava: ed è stata una sberla in faccia all’impresa, a Stella Richter, e al Comune. E i cittadini – quelli di via alla Val, ma anche tutti noi – hanno potuto tirare un sospiro di sollievo.

Infatti l’ordinanza del massimo organo della giustizia amministrativa respinge le richieste dell’impresa perché riscontra la "flagrante violazione dei limiti di larghezza della strada aperta al pubblico transito (su cui si affaccia il manufatto in costruzione) nonché dei limiti massimi di altezza". Come dicevano i cittadini, e come ha ripetuto QT: la concessione è fuori legge.

Non basta. I giudici, oltre a respingere l’impudente richiesta di far pagare ai cittadini una cauzione spropositata, condannano l’impresa "a rifondere, salvo accollo definitivo" (cioè questo può essere solo un acconto) le spese processuali fin qui sostenute dai cittadini, quantificate in mille euro a testa (diecimila in totale).

Bene, così le imprese arroganti e i luminari del diritto supponenti imparano l’abc della democrazia.

Per commentare adeguatamente la sentenza, ci siamo rivolti al Difensore Civico, la dott.ssa Donata Borgonovo Re. A lei si erano a suo tempo rivolti i cittadini, visto che in Comune trovavano solo porte sbarrate. E il Difensore si era attivato, impostando con il Comune un fitto carteggio, ma ricevendo dal sindaco Pacher risposte elusive quando non "semplicemente false", come denuncia, in una sua personale risposta al sindaco, uno dei cittadini. Per di più con un metodo che, nei rapporti tra istituzioni, è insultante, come spieghiamo nella scheda Istituzioni in conflitto. Di questo rapporto la dott.ssa Borgonovo si era fermamente lamentata, ma Pacher, ha finora fatto finta di niente.

Ora discutiamo con il Difensore dell’ordinanza del Consiglio di Stato.

Il difensore civico dott.ssa Donata Borgonovo Re.

"Precisiamo - ci dice la dott.ssa Borgonovo - quest’ordinanza respinge solo la richiesta di sospensiva dell’impresa. Il caso sarà definito solo quando si arriverà alla sentenza di merito. Ora, è vero che, a redigere la sentenza saranno gli stessi giudici che hanno redatto quest’ordinanza, e in genere si dice che il giudizio sulla sospensiva ha buone probabilità di anticipare quello di merito, però non c’è nulla di giuridicamente definito. Diciamo che è un buon indizio sull’opinione dei giudici, ma solo quello".

Un altro indizio potrebbe esserci nella motivazione: dove si parla di "flagrante violazione" delle norme.

"E’ un secondo, ottimo indizio".

E un terzo indizio è la condanna dell’impresa, già in sede di sospensiva, prima del giudizio finale, a pagare le spese legali della controparte. E’ prassi condannare a pagare le spese già in questa sede?

"A dire il vero, non avevo mai sentito di una tale condanna in sede di sospensiva, però confesso di non avere presente la specifica casistica. Sul pagamento delle spese, ogni giudice ha un suo criterio: c’è chi tende a compensare le spese, e chi a far rifondere la parte soccombente. Diciamo anche qui che far pagare le spese in questa fase è un indizio dell’orientamento dei giudici".

C’è poi un altro passaggio: "...considerato che sono fatti salvi i poteri di autotutela esercitabili dal Comune di Trento..." Che vuol dire?

"E’ nella potestà del Comune di annullare un proprio atto; se il Comune decidesse autonomamente di annullare la concessione edilizia, potrebbe farlo, anche se c’è ancora in corso un giudizio. Il Comune ora si trova tra due fuochi, i cittadini ricorrenti e la ditta resistente; è comprensibile che a questo punto aspetti la decisione definitiva del Consiglio di Stato".

Insomma, alla chetichella, si apre la partita successiva: prendere atto – finalmente! – dell’illegittimità delle concessioni edilizie, e affrontarne le conseguenze.

A questo punto fermiamoci, prima di vedere i prossimi scenari. Siamo sicuri che il Comune ha capito di aver violentato le proprie stesse norme? Dopo essersi rifiutato di correggere rotta, dopo aver sostenuto – con l’assessore Andreatta – che QT è in malafede e "viola la deontologia giornalistica" (vedi Ancora sul marcio in Comune)? Ebbene sì. Le batoste ricevute dalla magistratura sembrano aver ridotto a più miti consigli tecnici ed assessore.

L’ordinanza del Consiglio di Stato è del 6 marzo. E immediatamente successivo, del 14 marzo, è un altro importante documento, firmato Comune: un diniego di concessione edilizia. E’ ancora una delle costruzioni ipotizzate in via alla Val, con sostituzione di villetta con condominio. Anzi, si tratta del primo caso, quello che aveva innescato la reazione dei cittadini.

Come si ricorderà dai nostri servizi, tale abnorme costruzione risultava possibile grazie ad una concessione edilizia che allegramente sorvolava su tre punti: l’Allegato 5, che limitava l’altezza a 10 metri, e così la si portava a 12; la misura fasulla delle altezze, con cui il progettista arbitrariamente guadagnava altri due metri, passando a 14; le normative sulla viabilità, che impedivano ulteriori carichi antropici su una stradina come via alla Val. I cittadini però queste norme non le conoscevano ancora, e avevano a suo tempo fatto ricorso al Tar contestando l’imbroglio delle altezze. E il Tar aveva dato loro ragione.

Ed ecco quindi l’impresa (la Costruzioni Argentario di Guido Libardoni) cambiare rotta e presentare un nuovo progetto: sempre infischiandosene dell’allegato 5, sempre ignorando le prescrizioni sulla viabilità, ma correggendo la birichinata di fregare due metri nella misura dell’altezza.

Solo che nel frattempo era esploso lo scandalo, era saltato fuori l’Allegato 5 ignorato dagli Uffici comunali, c’era stato un secondo ricorso dei cittadini al Tar (quello contro la Moma costruzioni, vinto anch’esso ed ora approdato al Consiglio di Stato). E c’erano state tutte le polemiche, in cui l’Amministrazione e gli Uffici Tecnici improvvidamente sostenevano di conoscere sì l’esistenza dell’Allegato 5 (ci mancherebbe), ma di considerarlo "un mero criterio di indirizzo" ecc ecc.

Adesso, dopo l’ultima ordinanza del Consiglio di Stato, questa linea è definitivamente abbandonata.

E così il 14 marzo il Comune manda alla Costruzioni Argentario un "preavviso di diniego di concessione". In cui – udite, udite! – si riconosce "una valenza prescrittiva all’Allegato 5 in luogo di una sua applicabilità solo come mero criterio di indirizzo paesaggistico ambientale – posizione questa applicata dagli uffici – ... (il che) ha determinato ... la conferma della prescrittività dei limiti d’altezza previsti dall’Allegato 5". Insomma: prima vi avevamo detto che l’Allegato 5 era carta straccia, abbiate pazienza, ci siamo sbagliati.

Non solo; si ricorda anche "la palese violazione ... delle norme provinciali in materia di larghezza minima delle sezioni stradali, nonché, in ogni caso, l’accertata inidoneità della viabilità rappresentata da via alla Val risultante dalla valutazione già effettuata dall’amministrazione comunale in esecuzione (delle normative) in materia di interventi di recupero dei sottotetti".

Sembrano pari pari le parole con cui denunciavamo le violazioni delle stesse normative comunali.

Se fossimo permalosi qui potremmo ricordare le parole con cui un mese fa l’assessore Andreatta ci accusava di "riportare falsità"; e di fronte a un uditorio di 50 persone preannunciava "un documento di 15 pagine" in risposta alle nostre accuse (Ancora sul marcio in Comune). Potremmo ricordare all’assessore che stiamo ancora attendendo quelle 15 pagine; e che intanto leggiamo che i suoi Uffici hanno invece fatto proprie le nostre argomentazioni.

Ma il punto che ci interessa è un altro. L’Amministrazione, su questa débacle, ha intenzione di ragionarci sopra? Com’è possibile che per anni si siano messe sotto i piedi le proprie stesse normative, con la conseguenza di avere, nell’evidente disprezzo delle norme, cementificato la collina? Avere fatto strame della legalità e dell’ambiente non comporta alcuna assunzione di responsabilità?

Sul piano penale ci penserà, se lo ritiene pertinente, la Procura della Repubblica, già investita della questione. Ma su quello politico?

Il fatto è che la partita è tutt’altro che chiusa. Le concessioni illegittime sono a decine in collina (e in città?), come può riscontrare chiunque, dal basso, alzi gli occhi. Cosa può succedere?

"Esiste un principio legislativo, sulla certezza del diritto, per il quale un provvedimento, ancorché illegittimo, acquista efficacia se non viene impugnato – ci risponde la dott.ssa Borgonovo - Quindi queste concessioni già rilasciate, con le costruzioni già eseguite, anche se in violazione alla legge, rimangono. A meno che non intervenga un interesse pubblico di così rilevante importanza, come nel caso degli ecomostri: ma non è il caso".

Il mostruoso complesso (fuori norma) di via Gocciadoro.

C’è però il problema dei mostri in costruzione: come il complesso di via Gocciadoro di Dalle Nogare: cinque piani invece di tre, l’Allegato 5 sotto i piedi, la visuale della collina deturpata.

"La decisione spetta al Comune. Il giudizio del Consiglio di Stato, quando ci sarà nella sua formulazione definitiva, riguarda un contenzioso tra due parti, è relativo a un singolo caso. Il Comune non ha l’obbligo giuridico di estendere quelle conclusioni agli altri casi, ma un obbligo politico, morale".

E i cittadini? Che possibilità di azione hanno?

"I termini per il ricorso sono scaduti da tempo. I cittadini potrebbero mobilitarsi, attraverso un comitato per esempio, per sollecitare il Comune a prendere una decisione in coerenza con i principi sanciti dal Consiglio di Stato".

C’è poi, come accennavamo, il discorso penale. Una recente sentenza della Cassazione è stata molto dura contro i reati paesaggistico-ambientali. E l’Allegato 5 si proponeva proprio di tutelare il paesaggio. Un Comune che prima rilascia concessioni edilizie in spregio alle norme, e poi si rifiuta di correre ai ripari con l’autotutela (come peraltro sembra suggerire proprio il Consiglio di Stato) si espone a seri rischi.

Ma attenzione, la problematica è delicata. Perché, d’altra parte, il ritirare concessioni edilizie già rilasciate, espone il Comune (e i dirigenti che quelle concessioni hanno firmato) a richieste di consistenti danni dalle imprese. Questi sono i guai in cui ci si ficca a fare i furbi. Non vorremmo che qualcuno pensasse di uscirne con un’ulteriore furbata: rivedere la normativa e l’allegato 5, per sanare, a posteriori, le schifezze. Bisognerà vigilare. Noi un primo, pregiudiziale, passo l’avevamo indicato: via dall’Urbanistica tutti coloro che in questa vicenda sono implicati, a questo punto anche personalmente. Ma Pacher continua a dire che sono tutti uomini d’onore...