Videogiochi in compagnia
Cos’è il videogioco in multiplayer.
Questa primavera su QT erano usciti due speciali dedicati all’universo dei videogiochi, in cui abbiamo cercato di illustrare le principale dinamiche e sfatare alcuni pregiudizi di questa realtà in costante espansione. Sull’onda dell’interesse suscitato nei lettori, abbiamo scelto di “chiudere il cerchio” trattando i due aspetti più interessanti e sorprendenti del videogioco: si tratta del videogioco in multiplayer (ovvero tra più persone) e di quello professionistico. Per fare questo ci serviamo dei pareri e delle analisi di Matteo Bittanti, uno dei maggiori esperti del settore (vedi scheda 3) che ci aiuta a capire la genesi e le strutture dei videogiochi.
Giocare ai videogiochi è un’esperienza sicuramente interessante: è difficile non restarne affascinati la prima volta. Alla lunga però rischia di stufare, vuoi per i meccanismi ripetitivi, vuoi perché ci si sente un po’ isolati. Un nuovo stimolo può venire dal gioco on line, dimensione sempre più vasta e conosciuta del videogioco che permette al giocatore di partecipare a sfide su Internet con altre persone in carne e ossa provenienti da ogni parte del mondo. Giocare on line significa conoscere molte altre persone con interessi in comune, scoprire nuovi aspetti del gioco, trovarsi davanti a variabili sempre nuove e allo stimolo di una sfida contro un avversario reale. Il più delle volte è poi possibile prender parte senza alcun impegno a comunità e tornei organizzati, con ricchi premi in palio.
Come si è arrivati a questa diffusione e sviluppo del videogioco in rete? I meno giovani sanno che fino a pochi anni fa Internet era un lusso per pochi.
Dunque Matteo, il videogioco on line: quando e come ha iniziato a svilupparsi, ma soprattutto perché?
“I primi on line games sono apparsi addirittura sul finire degli anni ’70: risale infatti al 1978 Rogue, considerato da molti il capostipite. La loro interfaccia era decisamente scarna, basata su punti e linee nere. I più diffusi avevano ambientazioni di tipo fantasy e si ispiravano alla narrativa di Tolkien e dei suoi numerosi epigoni.
Negli anni ‘90, con la diffusione di Internet, il fenomeno si sviluppa radicalmente. In parallelo allo sviluppo di Internet nascono gli ‘sparatutto’ in soggettiva (vedi scheda 1) e le sfide all’ultimo proiettile; in altre parole, gli anni ‘90 sono la decade di Doom, videogioco frenetico basato su un’azione violenta in cui dobbiamo sparare agli avversari.
Nel 1997 viene introdotto Ultima On line, che segna l’inizio di una nuova storia del gaming on line, poiché permette agli utenti di interagire tra loro e di muoversi in una sorta di universo parallelo che prende vita su Internet. In altre parole, gli utenti entrano a far parte di una realtà costruita dai produttori del gioco ma che poi è modellabile dagli stessi giocatori: se ad esempio uno di essi costruisce una casa, questa sarà visualizzabile anche dagli altri e resterà nel tempo (a meno che qualcun altro non scelga di distruggerla). Si affermano così i mondi persistenti che ritroviamo in EverQuest (1999) e World of Warcraft (2004) e che ad oggi hanno centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo (dalla Cina agli USA, passando per l’India e la Svezia)”.
Secondo Forrester Research un utente Internet su 5 (pari al 21%) già gioca on line ed un ulteriore 12% è interessato a farlo nel prossimo futuro. Ragazzi e ragazze, ma anche uomini, donne e perfino anziani, che nel 40% dei casi hanno un reddito alto. Il gioco su Internet insomma è il presente e il futuro dell’industria dell’intrattenimento, ma va visto soprattutto come un fattore sociale e culturale destinato a modificare lo stile di vita e le abitudini: basti pensare a quanto le chat ed il gergo dei videogames hanno lentamente modificato la lingua italiana (vedi il glossario nella scheda 2).
Per capire tutto ciò, bisogna rendersi conto che chi entra nella dimensione dei giochi on line, non lo fa solo per giocare, ma per cercare amici, scambi, informazioni.
Per molte persone tuttavia il gioco on line è ancora visto come una realtà lontana e intangibile. Non sono solo i dati statistici a smentire questi fatti, ma anche una visita nei nostri capoluoghi di regione: Trento e Bolzano hanno infatti fornito alle nazionali italiane moltissimi giocatori e sono anche centri vivaci, con numerosi luoghi dedicati appositamente al gioco on line. Prima su tutti l’Internet Arena di Trento che, con due locali in via 24 maggio, decine di pc, giochi disponibili e connessione ad Internet su banda larga, si presenta come uno dei più grandi locali dedicati al gioco multiplayer in Italia.
In questa sede è possibile incontrare molti giocatori, conoscere meglio le dinamiche e confrontarsi con gli avversari nei tornei organizzati frequentemente dai ragazzi che gestiscono il locale. Diventa così possibile incontrare fisicamente quello che fino a poco tempo prima era solo un avversario virtuale, parlargli e scoprire che è una persona molto simile a noi, con interessi in comune. Possiamo pensare infatti che molti giocano non solo per il gioco in sé.
“Il gaming on line è per definizione una forma di socializzazione, dato che il soggetto non si confronta con l’intelligenza artificiale, ma con altri individui rappresentati sullo schermo da avatar, rappresentazioni simboliche, di raffinatezza molto variabile. Tale socializzazione assume la forma della competizione/cooperazione ludica, ma non va dimenticato l’utilizzo di strumenti quali la chat, le conversazioni in tempo reale che riducono la distanza fisica tra gli individui. Alcuni generi favoriscono un’interazione davvero complessa e stratificata”.
Qual è il pubblico dei videogiochi in rete? E’ possibile rintracciare delle categorie prevalenti?
“Richard Bartle esamina quattro tipologie di giocatori: killers (interessati al dominio e allo scontro con gli avversari), achievers (coloro che vogliono acquisire ricchezze, esperienze e possedimenti, naturalmente virtuali), socializers (interessati a socializzare con gli altri giocatori) ed explorers, che privilegiano l’esplorazione e l’attraversamento dei mondi su altre attività. Ovviamente le categorie non sono compartimenti stagni: i medesimi giocatori possono presentare più di una tendenza”.
Il videogioco su Internet è uno strumento flessibile e ci permette di interpretarlo a nostro piacimento, vivendolo secondo i nostri gusti. E’ per questo che il videogioco in multiplayer ha raggiunto un enorme successo. Questo trend è destinato a continuare?
“Sicuramente. A questo proposito, il termine ‘trend’ è equivoco, dato che non ci troviamo di fronte a un fenomeno effimero, ma ad una serie di prassi tecno-sociali di lunga data. Il gaming on line, in tutte le sue manifestazioni, non può che crescere considerevolmente, grazie anche alla diffusione di nuove piattaforme appositamente concepite per favorire l’interazione on line, come Xbox 360. Non vanno poi dimenticati i giochi accessibili gratuitamente o fruibili attraverso micro-pagamenti sui portali in rete. I giochi di ruolo ambientati in mondi persistenti hanno dato vita a veri e propri sistemi economici autoctoni, capaci di autoalimentarsi. Un altro fenomeno interessante è quello di sistemi politici autoctoni creati nei games on line, dalle forme di tassazione, alla designazione di funzionari e rappresentanti. Il giocatore vive così molto più compiutamente una seconda vita virtuale, dove svolge una funzione in genere assai diversa che nella vita normale. Da un certo punto di vista questi giochi rappresentano esperimenti sociali, pratiche di vita in rete”.
Concludendo: il gioco on line esiste davvero in forme massicce e concrete come siamo portati a credere navigando su Internet o banalmente sfogliando una rivista di settore? E come potremmo definirlo alla luce di quanto detto sino ad ora?
“Il mercato è in forte crescita. Nel giugno del 2006, l’agenzia di ricerca DFC Intelligence ha pubblicato un nuovo report in cui prevede che entro il 2011, il valore totale del mercato del gaming on line ammonterà a 13 miliardi di dollari (nel 2005 erano 3.4). A trainare il mercato sono la diffusione della banda larga, la diffusione di nuove piattaforme e infrastrutture appositamente concepite per il gioco in rete (Xbox 360, ma anche PS3), l’abbattimento dei costi che, a sua volta, dovrebbe spingere il numero di abbonamenti. Entro cinque anni, il digital delivery, ovvero la distribuzione in rete di contenuti digitali, conoscerà una sempre maggiore diffusione, affiancandosi a quella tradizionale. Non va poi dimenticato la crescita, nei videogame, dell’advertising e del product placement, del tutto congeniale a una struttura distributiva e fruitiva on line. Stati Uniti e Asia resteranno i mercati dominanti in questo ambito; l’Europa è indietro, ma è legittimo attendersi una crescita anche qui. Mercati come Corea del Sud, Cina, Giappone e Stati Uniti sono già ora in grado di supportare singoli giochi che da soli fatturano oltre 100 milioni di dollari in una sola nazione (ad esempio, World of Warcraft)”.
Matteo Bittanti
Matteo Bittanti, nato a Milano nel 1975, è scrittore e ricercatore universitario presso le università di Standford, la Libera Università di Lingue & Comunicazione (IULM) e l’Istituto Europeo di Design di Milano, anche se attualmente risiede a San Francisco. Materia dei suoi studi, come egli stesso afferma con enfasi, sono “gli aspetti culturali, sociali e teorici delle tecnologie emergenti, con una enfasi particolare per l’interazione tra pop culture, visual culture e arte”. In altre parole, il videogioco nelle sue forme più raffinate, le sue implicazioni socio-culturali e la loro capacità di plasmare, ridefinire e trasformare l’immaginario contemporaneo. E’ appassionato anche di horror e fantascienza (in tutte le loro manifestazioni mediatiche), musica elettronica, fumetti, serie televisive e animazione nipponica.
Ha pubblicato saggi e articoli sui videogames, il cinema, i videoclip e la letteratura americana e italiana contemporanea. Collabora attualmente con le riviste Videogiochi, Giochi per il mio computer, Duellanti, Rolling Stone e Cineforum, ed è il curatore della collana editoriale videoludica Game Culture per le edizioni Costa & Nolan.