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Da giocatore a organizzatore

A colloquio con Daniel ossia Papino, professionista della nostra regione. “Non è una vita facile. Devi giocare anche se non ne hai voglia. Come un atleta, che deve allenarsi, sempre. Occorre spirito di sacrificio”.

"Beh, a tempo pieno no. Giocavo due-tre ore al giorno. Poi, prima delle competizioni anche 8-10 ore: è indispensabile per avere un allenamento adeguato; e per coordinare strategie di squadra; e per vedersi partite registrate dei tuoi avversari, capire le loro strategie e studiare le contromosse.”

Il dottor Daniel Schmidhofer, laureato in Economia, in arte Papino.

Chi ci parla è Daniel Schmidhofer, di San Candido, uno dei pochi, probabilmente l’unico, giocatore della nostra regione che ha fatto del videogame la propria professione. In arte Papino (“Viene da Papino Sport, il negozio dei miei genitori: gli amici mi chiamavano così da bambino, e quel nome l’ho tenuto, ci sono affezionato”), ha partecipato a tornei nazionali ed europei, vincendo la Coppa tedesca, come pure a livello mondiale, facendo parte della rappresentativa italiana ai mondiali di Seul.

Due-tre ore: non è poco?

“Troppo poco, infatti… Ma dovevo studiare, finire l’università, Economia. Mi sono laureato in management, cosa che mi serve nel mio lavoro”.

Daniel infatti, dismesse le vesti di Papino, è passato dal ruolo di giocatore a quello di organizzatore. Ed ha fondato, con altri due soci una società, la Progaming Italia srl, che allestisce tornei.

“Abbiamo appena concluso, a Bolzano, i Campionati italiani. Su cinque videogiochi abbiamo coinvolto diecimila partecipanti, attraverso sei mesi di qualificazioni on line. Così si sono selezionate, per ogni gioco, quattro squadre: e a Bolzano abbiamo ospitato 70 giocatori, che si sono disputate le semifinali e finali. Montepremi totale: 15.000 euro”.

Quindi riuscite ad avere sponsor adeguati…

“Intel (microprocessori, n.d.r.), Asus (Pc e schede grafiche), Logitech (mouse)…”.

Riuscite a guadagnare bene, allora.

“Riusciamo a campare. La nostra società impiega otto persone a tempo pieno. Diciamo che il nostro scopo è soprattutto far crescere il gaming in Italia. Infatti le passate organizzazioni avevano fatto danni, non fornendo ritorni agli sponsor, che avevano abbandonato l’Italia. Con noi le cose invece sono andate bene: sono soddisfatti dei ritorni di immagine, e si impegneranno ancora.”

Perché ritieni i tornei importanti?

“Sono essenziali. In Italia tanti giocatori, arrivati ad un certo livello, smettevano, non trovavano più motivazioni. La competizione invece fornisce nuovi stimoli: se sai che devi affrontare certi avversari, ti prepari di conseguenza, studi nuove strategie, è tutto il gaming che ne esce vivificato”.

Questo accade soprattutto all’estero?

“Al top è la Corea; poi, nell’ordine la Germania e la Svezia; infine gli Usa. L’Italia si difende negli sparatutto uno contro uno, in Fifa (simulazione di una partita di calcio); andiamo maluccio nei giochi strategici a squadre, quelli in cui mi cimentavo io. Adesso il gaming è riconosciuto come un vero e proprio sport: il Coni ha recentemente dato incarico all’Anvi (Associazione nazionale videogiocatori italiani) di creare una federazione, da inserire nel movimento olimpico”.

Quali qualità sviluppa il videogioco?

“La concentrazione sempre, lo spirito di gruppo nei giochi a squadre. E poi un particolare tipo di intelligenza, quella detta multitasking: bisogna imparare a gestire contemporaneamente più cose, quando giocavo riuscivo a coordinare simultaneamente le attività anche di otto gruppi, per esempio un esercito che attaccava da un lato, uno da un altro, uno che difendeva una posizione, una flotta sul mare, l’economia delle città, le rotte commerciali, ecc. E poi gestire la squadra, capire la mappa, la strategia dell’avversario e trovare le soluzioni conseguenti. Degli studi hanno messo in evidenza come le qualità sviluppate dai videogiochi sono le stesse richieste al manager”.

Ma il professionista, che gioca tutte quelle ore…

“Non ha una vita facile. Devi giocare anche se non ne hai voglia. Come un atleta, che deve allenarsi, sempre. Occorre spirito di sacrificio, è un lavoro a tutti gli effetti.”

Tornerai a giocare a livello agonistico?

“Ora non ne ho il tempo. Il lavoro mi occupa veramente molto; viene apprezzato, dà risultati e quindi soddisfazioni. Forse tra un paio di anni la mia società non avrà più bisogno di un mio impegno assiduo; e allora potrò tornare a giocare”.

Per saperne di più

Per approfondire la tematica dei videogiochi online esistono numerosi saggi. Ci limitiamo a segnalarne alcuni considerati ormai classici, avvalendoci dei consigli di Matteo Bittanti:

David Kushner, Masters of Doom. Ovvero come due ragazzi hanno creato un impero e trasformato la cultura pop (disponibile su www.Multiplayer.it, 2005)

T.L. Taylor, EverQuest, Play Between Worlds: Exploring Online Game Culture. MIT Press, 2005.

Richard Bartle, Designing Virtual Worlds. New Riders, 2003.

Edward Castronova, Synthetic Worlds: The Business and Culture of Online Games. University of Chicago Press, 2006.

Mario Gerosa e Aurelien Pfeffer, Mondi Virtuali. Castelvecchi, 2006.

Alessandra C., Skill. Einaudi, 2004.

Philippe Mora & Stéphane Héas, Doom. Giocare in prima persona. Costa & Nolan, 2005.

Rolando Ciofi e Dario Graziano, Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi online e comunità virtuali. Franco Angeli, 2002.

Amy Jo Kim, Community Building on the Web: Secret Strategies for Successful Online Communities. Peachpit Press, 2000.

Accanto a questi, anche su Internet è possibile consultare gratuitamente saggi, blog, interviste e perfino seminari. Eccone alcuni:

Blog accademidco TerraNova: www.terranova.blogs.com.

Sito di Ralph Koster (www.legendmud.org/raph/gaming/), uno dei principali ricercatori del settore.

Seminario tenuto da Richard Bartle: www.mud.co.uk/richard/hcds.htm.

Sito di Richard Bartle (www.mud.co.uk/richard/), creatore dell’originale MUD (acronimo di Multi-User Dungeon)