Rifiuti: l’assurda scalata / 2
Tutti i problemi della raccolta differenziata.
Nella prima parte di questo articolo, pubblicata sul precedente numero di Qt, abbiamo paragonato la gestione dei rifiuti a una scalata, dove la montagna è formata dalle 150.000 tonnellate l’anno di rifiuto trentino mandato in discarica (dato 2005) e la vetta può essere rappresentata dall’azzeramento della produzione della frazione indifferenziata, il cosiddetto secco residuo. Avevamo giudicato bizzarra tale scalata, perché chi l’amministra prevede che gli arrampicatori si arrestino prima della vetta, alla quota di 100.000 tonnellate l’anno (175 kg per ogni abitante equivalente), che è la quantità di residuo secco destinata ad alimentare l’inceneritore di Ischia Podetti. Nonostante questo, si era detto, tre arrampicatori procedono molto velocemente, assai più degli altri, come se proprio la vetta fosse il loro obiettivo. Ma è davvero tutto oro quel che luccica in questa loro corsa?
Chiacchierando coi nostri tre scalatori virtuosi – Azienda Ambiente nel Primiero, Fiemme Servizi in Val di Fiemme e AMNU in Alta Valsugana – sono emersi dei problemi che non si possono sottovalutare.
Uno riguarda la non corrispondenza tra la quantitàdi rifiuto indifferenziato che i cittadini producono, e quella che invece conferiscono alla locale azienda rifiuti. Spesso, infatti, i rifiuti secchi residui vengono buttati nei Comuni vicini, dove ancora esiste il cassonetto stradale (è il cosiddetto ‘turismo dei rifiuti’), oppure vengono abbandonati per strada, o ancora smaltiti impropriamente, bruciandoli in casa o all’aperto. Sono tutti stratagemmi che il cittadino s’inventa per non pagare la tariffa. L’AMNU, che l’ha introdotta dal 2005, si trova oggi a doverci fare seriamente i conti. “Il turismo dei rifiuti è stato consistente l’anno scorso, quando ancora servivamo solo una parte dei Comuni dell’Alta Valsugana, e lo spostamento dai Comuni serviti a quelli non serviti era più facile. - ci dice il Presidente dell’azienda Sandro Simionato - Nel 2006, abbiamo progressivamente esteso il servizio all’intero comprensorio, e il fenomeno si è ridotto”. La cosa è provata dal fatto che quest’anno è aumentata la quantità di residuo secco prodotta nei Comuni serviti fin dal 2005: ad esempio, a Baselga di Pinè si è passati da 55 kg/ab.eq./anno a 70, a Pergine da 84 a 98.
Il problema del turismo dei rifiuti ha dunque una soluzione: estendere ovunque il nuovo sistema di gestione, in modo tale che non vi siano più cassonetti stradali facilmente raggiungibili nei quali gettare il proprio residuo secco. Tuttavia, questo potrebbe portare ad una accentuazione degli altri due fenomeni: l’abbandono e lo smaltimento improprio. Che infatti in Alta Valsugana sono diventati quest’anno problemi seri. Le soluzioni trovate sono due: da un lato, è stato inasprito il sistema dei controlli (con sanzioni che possono arrivare fino a 300 euro), dall’altro si è deciso di introdurre l’obbligo di far pagare una franchigia minima, sulla base della presunzione che ciascuno produca una quantità minima di residuo secco l’anno (200 litri, grosso modo equivalenti a una ventina di chili).
“Ma non si tratta della strada giusta o, per lo meno, non di quella maestra”. A parlare è Fausto Nicolussi, del Comitato Per Un’Altra Pergine. “Da noi come negli altri Comuni serviti dall’AMNU la gente non è stata sensibilizzata a sufficienza: gestore e amministratori si sono limitati a un’informazione tecnica, che non basta a evitare gli atti di inciviltà cui assistiamo oggi”. “Sulla cultura si può e si deve sempre lavorare per migliorare”, è la risposta di Simionato.
E da fare ce n’è indubbiamente parecchio, anche in considerazione di un altro problema, che riguarda questa volta la frazione differenziata di rifiuto. I nostri tre gestori hanno raggiunto in poco tempo risultati quantitativi ragguardevoli, con elevate percentuali di rifiuto differenziato. Il dato quantitativo non può però essere valutato da solo, ma va sempre messo a fianco del dato qualitativo.
Tutti i dati della raccolta differenziata dei gestori trentini non tengono conto delle quote di impurità riscontrate a valle della raccolta.
Spieghiamo cosa significa con un facile esempio. Se io cittadino produco 10 unità di rifiuto, e ne conferisco 7 alla raccolta differenziata, il gestore comunica, nel mio caso, di aver avuto una differenziata del 70% e di aver prodotto 3 unità di residuo secco. Ma se tra quelle 7 unità da me differenziate ce ne sono, poniamo, 2 non riciclabili, il centro di riciclaggio (in Provincia è la Trentino Ricicla di Lavis) le rispedisce indietro, ed esse vanno ad ingrossare la frazione di residuo secco: il dato reale, nel mio caso, sarebbe allora di 5 unità di residuo secco prodotte, e non di 3. La domanda allora è: che qualità ha la raccolta differenziata dei nostri tre gestori virtuosi? Che percentuale di impurità vi si ritrova? Dal Servizio Gestione Rifiuti della PAT fanno sapere che stanno lavorando proprio su questo dato, che si potrà conoscere nel dettaglio dal prossimo anno.
Dall’Alta Valsugana la percentuale di impurità che arrivano alla Trentino Ricicla è piuttosto alta. Evidentemente, anche qui pesa in negativo l’introduzione, in un contesto ancora non del tutto preparato a recepirlo, del principio ‘chi più produce, più paga’. Per non pagare la tariffa, si può infatti anche decidere di buttare nei cassonetti di plastica, vetro e carta quanto non è riciclabile e dovrebbe finire nel residuo secco. Può del resto sempre incidere l’errore in buona fede. “Il nostro non è certo un sistema perfetto” ammette Simionato. “Per migliorare, dobbiamo riuscire a far passare, molto meglio di quanto ci sia riuscito finora, l’idea che una buona differenziazione non serve a pagare di meno, ma ad ottenere un beneficio ambientale” aggiunge il vice-sindaco di Pergine Mario Osler.
Per ovviare alla scarsa qualità della differenziazione può essere utile estendere il porta a porta a tutte le frazioni di rifiuto. In Val di Fiemme questa strada è già battuta, con buoni risultati: “Il materiale proveniente dalla Val di Fiemme – ci informa il direttore di Fiemme Servizi Andrea Ventura – rientra nella fascia più alta ammessa a contributo Corepla (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica), avendo una percentuale di impurità che rispetta i parametri fissati dalla convenzione tra ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) e CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi)”.
“Ma, in definitiva, anche per quanto riguarda il problema della scarsa qualità della differenziata, la radice non è di tipo tecnico: da noi in Alta Valsugana, l’introduzione del nuovo sistema di raccolta, al di là delle imperfezioni tecniche, non è stata fatta nella maniera adeguata, ovvero puntando prima di tutto a migliorare la cultura del cittadino in tema di gestione dei rifiuti”. Nicolussi punta il dito sulla scarsa convinzione di gestore e amministratori: “La sensazione è che non ci abbiano creduto e nemmeno ora ci credano fino in fondo. Troppe volte ho sentito dire: ‘Tanto la gente non capisce’. Nonostante questo approccio, i risultati sono comunque in buona parte arrivati, e questo la dice lunga sugli ampi margini di miglioramento che ci potrebbero sfruttare se ci si credesse di più”.
E tocchiamo così quello che sembra essere il punto chiave di tutta la faccenda: la reale volontà di svoltare. Quanto davvero si sta facendo per raggiungere la vetta? Chi tra gli scalatori ha come obiettivo l’azzeramento del rifiuto residuo, cioè dello smaltimento in discarica? Probabilmente nessuno. Di certo, non chi ha già deciso che sarà una macchina a finire il lavoro.
L’opzione zero rifiuti, che permetterebbe di fare a meno dell’inceneritore, si realizza combinando due modalità d’azione: riciclaggio e riduzione. Anche gli scalatori più impegnati hanno puntato finora solo, o comunque in netta prevalenza, sul riciclaggio. Ciò è bastato a ridurre anche di molto la produzione di residuo secco. Ma la differenziazione delle frazioni da sola non basterà mai, e lascerà sempre una frazione ancora consistente di rifiuto non riciclabile da avviare oggi in discarica, domani all’inceneritore.
La prima cosa da stabilire è dunque quanto residuo secco rimarrebbe in Trentino se su tutto il territorio venisse attuata una raccolta differenziata come quella praticata in Primiero, Val di Fiemme e Alta Valsugana: si scenderebbe o meno al di sotto di quelle 100.000 tonnellate annue che rappresentano la quantità minima in grado di garantire l’economicità dell’inceneritore?
Nei tre territori considerati restano un centinaio di kg/ab.eq./anno di residuo (ai quali bisogna aggiungere 35 kg/ab.equiv./anno di rifiuti speciali assimilabili e rifiuti ospedalieri). Da una parte, i problemi di cui si parlava poc’anzi, ovvero turismo dei rifiuti, abbandoni, smaltimento improprio e cattiva differenziazione, suggeriscono di prendere il dato con le pinze. Dall’altra parte, va osservato che anche in tali realtà più virtuose ci sarà ancora chi, per sbaglio o noncuranza, getta rifiuti riciclabili nel residuo secco.
Se dunque ipotizziamo un miglioramento da entrambe le parti, possiamo pensare che la frazione di residuo secco che non verrà più smaltita impropriamente – e dunque da aggiungere al centinaio di kg/ab.eq./anno di cui parlano oggi i dati ufficiali – possa essere compensata da quella di rifiuto riciclabile che non verrà più buttato nel residuo – e che dal centinaio di kg/ab.eq./anno del dato ufficiale attuale andrà quindi sottratta. I dati odierni potrebbero quindi non essere sballati, ma anzi essere considerati realistici. Addirittura, visto che siamo ancora in fase di rodaggio, si potrebbe anche ipotizzare un loro possibile futuro miglioramento.
Tuttavia, il punto dirimente è piuttosto un altro, ovvero capire se un risultato di tal genere (un centinaio di kg/ab.eq./anno più i 35 kg di speciali assimilabili e ospedalieri) si possa ottenere anche nel resto del territorio trentino. Se così fosse, le tonnellate da avviare all’inceneritore sarebbero assai meno di 100.000 all’anno. Caduto l’argomento turisti, a chi sostiene che risultati come quelli dei nostri tre scalatori veloci non siano ripetibili a livello provinciale resta solo quello che fa leva sulla difficoltà di gestire la raccolta nei grandi centri urbani. Pergine, coi suoi 98 kg/ab.eq./anno, non basta certo a far cadere da sola questo argomento: per questo, bisognerà aspettare i risultati dell’introduzione del porta a porta a Trento.
Ma già da ora possiamo anche ammettere che, con molta probabilità, pur estendendo il sistema di gestione dei nostri tre scalatori veloci (ovviamente perfezionato) a tutto il territorio provinciale, non si riuscirà in effetti a scendere sotto i 175 kg/ab.eq./anno. E questo per una questione molto semplice: i sistemi di gestione dei nostri tre scalatori veloci ancora non integrano a sufficienza gli sforzi di differenziazione, assai elevati, con quelli di riduzione, del tutto insufficienti.
Mentre mi documentavo per scrivere questo articolo, ho scoperto che la penna che uso per prendere appunti è fatta d’un materiale plastico che non viene riciclato. Io che tanta attenzione metto nel differenziare i miei rifiuti, buttavo nella plastica qualcosa che doveva invece finire nel residuo secco. Poco male, mi sono detto: da oggi comprerò solo penne fatte di materiale riciclabile. Decisamente più facile a dirsi che a farsi. Sul mercato praticamente non se ne trovano: dovrei usare una penna stilografica. Possibile, mi sono chiesto, che si mandino sonde su Marte e non si riesca a produrre e distribuire penne a sfera fatte di materiale riciclabile?
Questo piccolo esempio credo basti a inquadrare la questione. La frazione di residuo secco che rimane anche coi migliori sistemi di differenziazione si può ridurre solo cambiando gli attuali sistemi di produzione e consumo. Il “bad industrial design” di cui parla il padre della strategia Rifiuti Zero, lo statunitense professor Paul Connett (vedi QT del 17/6/2006), può diventare un “good industrial design”, capace di garantire la totale riciclabilità dei prodotti, solo se produttori e consumatori si accordano per andare con decisione verso questa direzione.
E’ in genere a questo punto che il dibattito si avvita su se stesso senza portare da nessuna parte. Il primo passo spetta ai consumatori! No, spetta ai produttori! Io produttore vorrei, ma poi il consumatore non compra… No, sono io consumatore che vorrei, ma poi il prodotto sullo scaffale del supermercato non lo trovo… (una situazione simile è stata descritta, a proposito della commercializzazione del latte, su QT del 20/5/2006). E avanti così, mentre i rifiuti si ammucchiano e le discariche si esauriscono…
La cosa triste è che tecnologie produttive e tecniche di distribuzione per uscire da questa impasse ci sarebbero, se solo le si volesse davvero impiegare. Lo dimostrano i nuovi modi di produrre e consumare che, nella logica della riduzione dei rifiuti, vengono messi in pratica qua e là in maniera sporadica. “La riduzione dei rifiuti, di quelli non riciclabili come di quelli riciclabili, fa parte della nostra mission aziendale. - ci dice il direttore di Fiemme Servizi Ventura - La stiamo perseguendo attraverso varie iniziative rese possibili dal dialogo coi produttori e coi distributori locali. Il ‘progetto latte’ prevede che il consumatore riutilizzi contenitori per il latte portati da casa, mentre l’accordo con una quindicina di punti vendita Coop prevede la sostituzione delle borse per la spesa di plastica con quelle di stoffa e la possibilità di rifornirsi di detersivo alla spina”.
Del resto, lo stesso Piano Rifiuti Provinciale, nel suo terzo aggiornamento, prevede diverse campagne, da realizzare nel triennio 2007/09, che vanno in questa direzione, come ad esempio la campagna Ecoacquisti, da attuare entro la metà del prossimo anno. Essa prevede, come si può leggere a pag. 12 del Piano, la “promozione nei cittadini di comportamenti e acquisti più corretti attraverso un manuale per una spesa ambientalmente corretta (ad esempio, vuoto a rendere, meno imballaggi, frutta e verdura fresca, uso delle ricariche, non acquisto di prodotti usa e getta…); stimolare i commercianti a: usare e vendere prodotti eco-compatibili con minor quantità di imballaggi, ridurre i prodotti ‘usa e getta’ e mettere a disposizione anche borse per la spesa in materiale naturale; stimolare i produttori a produrre beni maggiormente eco-compatibili”.
D’altra parte, l’assessorato provinciale all’Ambiente, da noi interpellato, ci fa presenti i problemi ben noti connessi all’andare in fondo su questa strada: “Il cambiamento dei sistemi produttivi, ma anche dei criteri di progettazione, contrasta con logiche di mercato che rendono impossibile il recupero (ad esempio un’automobile è costruita con materiale recuperabile per oltre il 90% ma i costi per smontarla completamente sono insostenibili). L’esperienza di altre realtà (in particolare estere) di imporre con legge divieti o obblighi ha aperto una lunga serie di contenziosi perché, comunque la si guardi, cambiamenti rilevanti nell’attività produttiva comportano notevoli investimenti”.
In effetti, non si tratta tanto di imporre il cambiamento al sistema produttivo, quanto di indurlo, ad esempio cominciando dall’evidenziare la cosiddetta verità dei costi, che tiene conto anche di quelli ambientali, ed è in grado di rendere economicamente sostenibile, come insegna il citato prof. Connett, persino lo smontaggio di un’automobile.
La strada della riduzione dei rifiuti, con l’obiettivo di avvicinarsi all’azzeramento di quelli non riciclabili, va percorsa con convinzione tutti assieme: troppo spesso, oggi, le scelte che vanno verso tale direzione sono di nicchia e a volte solo di facciata. “Se davvero si volesse andare verso tale direzione, anzitutto si congelerebbe immediatamente l’ipotesi di stanziare soldi per un inceneritore, e poi si dovrebbe ripensare la gestione dei rifiuti partendo da un’analisi merceologica seria della frazione di secco residuo oggi prodotta”.
Adriano Rizzoli, portavoce di Nimby trentino, fa una precisa richiesta agli amministratori provinciali: “I dati merceologici ci sono stati promessi ed ora vogliamo che ci vengano forniti in dettaglio, con l’individuazione di azioni specifiche e pianificate per la riduzione di ciascuna tipologia di resideuo secco”.
Ma perché è così importante conoscere i dati merceologici?
“Non è importante, è fondamentale. Come si fa a non sapere a causa di quale tipologia di rifiuti si sta prendendo la dissennata decisione di costruire l’inceneritore? Quanti di essi si potrebbe fare a meno di produrre? Quanti di essi si potrebbero rimpiazzare con del materiale riciclabile grazie a un’appropriata progettazione?”. Ad esempio, nel 2005, ben oltre la metà del residuo secco prodotto in Provincia era materiale riciclabile. Nella parte non riciclabile, d’altronde, è molto consistente, ad esempio, la presenza dei poliaccoppiati, tipo tetrapak, per intenderci. Allora non si potrebbe spingere per la totale sostituzione dei contenitori in tetrapak con contenitori di materiale riciclabile? Un’altra frazione importante del residuo secco non riciclabile è quella dei tessili sanitari: e chi sa che anche i pannolini, se prodotti in un certo modo, non si possono riciclare?
Il buon senso suggerirebbe in effettidi guardare i dati dell’analisi merceologica prima, e solo dopo, sapendo quanto residuo secco rimarrebbe anche a seguito del massimo sforzo di riduzione, si dovrebbe decidere se pianificare o meno un inceneritore, che rappresenterebbe una soluzione rigida e irreversibile.
“Invece – prosegue Rizzoli – in Trentino s’è fatto esattamente il contrario: prima s’è frettolosamente previsto un mega-inceneritore da 300.000 tonnellate l’anno, poi s’è aggiustato il tiro rimpicciolendolo di volta in volta man mano che si sono constatati i frutti della differenziazione. Se si avesse la pazienza e l’onestà di aspettare anche gli effetti della pianificazione ed implementazione di una raccolta differenziata spinta in tutta la provincia e poi delle azioni di riduzione, alla fine, ne sono convinto, non si potrebbe che decidere di abbandonare per sempre l’idea di costruirlo. Perché - vale la pena ricordarlo - per rendere l’inceneritore assolutamente diseconomico non sarebbe necessario arrivare ad azzerare il residuo secco, ma basterebbe anche solo scendere non di molto al di sotto dei 175 kg/ab.eq/anno. Con la precisazione che noi comunque vogliamo arrivare in cima alla vetta, portandoci a quota zero rifiuti da smaltire in discarica, per il bene nostro e delle future generazioni trentine”.