Cindia, paura e speranza
Cina e India: oltre tre miliardi di nuovi produttori e consumatori e una nascente leadership in hi-tech. La grande speranza per tutto il Terzo Mondo, il timore che il pianeta sia ormai troppo piccolo.
Poteva sembrare un argomento alla moda, dal sapore esotico; oppure, al contrario, un tema minaccioso: le merci cinesi che ci invadono, le fabbriche che chiudono, i lavoratori europei che tornano alle condizioni di un secolo fa. Il dibattito su Cina e India è stato invece appassionante, su un tema oggi centrale e domani probabilmente predominante. "E’ una storia semplicemente affascinante per tutto il Terzo Mondo. Per miliardi di persone è la grande speranza, significa che vincere l’arretratezza è possibile" - diceva l’inviato di Repubblica Federico Rampini.
Basti pensare a un dato: già oggi la Cina è il più grande costruttore di prodotti high-tech; e l’India il più grande serbatoio di operatori software (i Pc americani vengono riparati via Internet da tecnici di New Delhi o Bombay) e contemporaneamente la sede mondiale dei nuovi laboratori di ricerca. I due giganti, spesso complementari, talora alleati (in Nigeria hanno avviato un’operazione congiunta di sfruttamento energetico) stanno rivoluzionando la geografia economica mondiale.
Il primo relatore, l’economista cinese Fan Gang tendeva a fornire un’immagine tranquillizzante del colosso cinese. Noi esportiamo, è vero, ma importiamo altrettanto ("Il consumatore cinese è esterofilo, e sono in 100 milioni quelli di classe medio-alta, che possono permettersi l’Audi, le vacanze all’estero, i figli nelle università americane" precisa Rampini); e poi la maggioranza delle esportazioni viene da imprese straniere delocalizzate, e quindi in Cina rimangono solo i salari; tutta una serie di investimenti implicherà ulteriori importazioni, di tecnologie ambientali, per l’efficienza energetica, per le nuove urbanizzazioni...
Fan Gang appare evidentemente governativo ("Non esistono economisti cinesi non governativi, e se esistono non possono andare all’estero" - ci dice allargando le braccia uno degli organizzatori): la nostra è una storia di successi, dice Gang, tutto va bene, e a quello che non va (corruzione, invadenza della politica, disastri ambientali, sconvolgimenti sociali) si sta ponendo rimedio. Ma paradossalmente proprio il duplice ruolo di studioso\ambasciatore di Fan Gang indica la direzione della Cina, che si rende conto di essere un elefante che entra a spallate in un salotto, e cerca di trovare un accordo con i compìti signori che pensavano di restare tranquilli a farsi gli affari loro.
In effetti lo sconvolgimento sarà epocale, come sottolineato il giorno dopo da Rampini. Nel pianeta semplicemente non c’è posto per altri tre miliardi di produttori\consumatori al livello occidentale. Non ci sono fonti energetiche (e già si vede), né materie prime, ma nemmeno elementi primari come l’aria e l’acqua.
Quindi, all’emergere di Cindia, si pongono tre soluzioni. La più tradizionale è la guerra. D’altronde il pianeta va avanti così: di fronte alle risorse scarse, gli uomini si scontrano e i più deboli scompaiono. Una auto-limitazione dei consumi (potrebbe essere la "decrescita felice" di cui si è parlato al festival e riferiamo in Una felice decrescita (cominciando dallo yogurt)); ma è difficile vedere il propagarsi a livello generalizzato di quelle che sembrano utopie pauperiste. Oppure un nuovo riassetto della produzione, che implichi la compatibilità ambientale come vincolo. Come si sta facendo, in piccolo, con gli Euro 3-4, ecc, o con il protocollo di Kyoto: ogni produzione deve tendere a riutilizzare le materie prime e al minimo consumo di energia. Ciò implica una rivoluzione tecnologica, un riorientamento della produzione e della società, come del resto il capitalismo fece all’inizio del secolo scorso, con l’assunzione dei diritti e del benessere dei lavoratori). E istituzioni internazionali di controllo.
In Cina e India a che livello è il dibattito/consapevolezza su questi temi? "Entrambi rifiutano di essere additati come i responsabili dei problemi ambientali: sarebbe come accettare che alcuni paesi possono inquinare, altri no – ci risponde Rampini – Detto questo, si rendono conto che l’impatto del loro sviluppo è enorme e sostanzialmente insostenibile. Si pongono quindi il problema di cosa fare e, almeno a parole, in Cina la sostenibilità è diventata una priorità."
"Le nostre città negli ultimi 5-6 anni si sono molto sviluppate, ma l’inquinamento è rimasto fermo" aveva infatti rivendicato Fan Gang.
Rimane però il problema globale, il consumo di risorse del pianeta, la necessità di stringenti accordi e controlli internazionali.
"Su questo sono abbastanza in ritardo. Né l’una né l’altra hanno partecipato al trattato di Kyoto, che peraltro le esentava in quanto considerate paesi emergenti. Il fatto è che debbono ancora affrontare passaggi culturali e tecnologici che noi abbiamo già superato. Tokyo era una città inquinatissima, oggi non più. Cina e India sono come noi all’inizio della motorizzazione di massa. E non aiuta certo la posizione degli Usa, nella cui atmosfera arriva, pesante, l’inquinamento cinese, ma che devono solo tacere, perché pur essendo i primi inquinatori del mondo, con Bush hanno sabotato Kyoto, smantellato la legislazione ambientale interna e rifiutato, finché hanno potuto, i collegamenti tra inquinamento ed effetto serra".
Forse questo potrebbe essere un argomento da approfondire in uno dei prossimi festival.