Argentina, trent’anni dopo il golpe
Così Buenos Aires ha ricordato l’anniversario del golpe.
Sono passati trent’anni dal 24 marzo 1976, dalla notte tragica in cui venne portato a compimento il colpo di stato militare che instaurò il terrorismo di Stato in Argentina.
Buenos Aires ha voluto ricordare quella data indimenticabile con una manifestazione imponente, che ha visto riversarsi nelle strade cittadine più di centomila persone. Una marcia della memoria e della testimonianza, in cui la rabbia e il dolore sono ancora ferite aperte e gridano giustizia. Non solo striscioni dipinti con il nome e i simboli dei diversi gruppi politici o associazioni, non solo cartelli fitti di slogan, citazioni, parole d’ordine. Qui, tra le decine di migliaia di manifestanti, sfilano in silenzio, alte sulle nostre teste, migliaia di fotografie in bianco e nero, volti giovani, sorridenti e nei cui sguardi sembra di poter intravedere un mondo vivo di voci, di affetti, di richiami, un mondo ancora ignaro ed estraneo all’orrore che li travolse e li fece scomparire nel nulla.
Clara Mendez, nata il 23 giugno 1956. Scomparsa il 12 luglio 1976. Leggo questo nome e queste due date nella prima fotografia che vedo davanti a me. Mi basta girare lo sguardo per rendermi conto che assieme a Clara, nella lunga marcia che va da Piazza del Congresso alla storica Plaza de Mayo, sono presenti migliaia di suoi compagni e compagne. Oggi e sempre, a Buenos Aires, da trent’anni, in ogni corteo, in ogni manifestazione. Una foto, un nome, due date.
Continuo a camminare facendomi largo a fatica tra la folla, Per la Avenida de Mayo non si riesce a camminare, devo imboccare una strada laterale. Da molto tempo a Buenos Aires non si vedeva una manifestazione di queste proporzioni. Finalmente riesco ad arrivare a Plaza de Mayo, infilandomi tra un gruppo del Mas (Movimiento al socialismo) e uno del Partido obrero. Intanto cala la sera, e dal palco cominciano a dare lettura della "Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta Militare", la lettera che Rodolfo Walsh inviò il 24 marzo 1977 alle redazioni dei principali giornali nazionali e a diversi corrispondenti di giornali stranieri, nel primo anniversario del golpe militare. Il giorno dopo Rodolfo Walsh venne sequestrato e da allora rimase desaparecido. La lettera denuncia i crimini commessi dal governo militare, le detenzioni illecite, i sequestri, le torture, gli omicidi, E denuncia con sconcertanti precisione e lucidità quale fosse la finalità prioritaria della dittatura militare: l’imposizione di piani economici imposti dal Fondo Monetario Internazionale, piani che, riducendo il paese alla miseria, potessero favorire gli interessi di alcuni monopoli internazionali oltre a quelli delle vecchie e nuove oligarchie locali.
La piazza gremita segue in silenzio la lettura della lettera aperta. I dati e le cifre riportati da Rodolfo Walsh sono agghiaccianti. La lettura finisce, ma dal palco e dalla piazza, come un antico richiamo, si sente un solo grido, una sola voce. "Trentamil desaparecidos! Presentes! Trentamil desaparecidos! Presentes!". E penso ai tanti racconti che ho ascoltato nell’intimità di serate trascorse tra amici attorno a un bicchiere di vino, la paura delle retate improvvise, il terrore di chi si è visto costretto a scendere da un autobus insieme a tutti gli altri passeggeri, è stato spinto contro un muro e si è salvato solo perché ricordava a memoria il numero della propria carta d’identità. Eppure aveva quindici anni. Le irruzioni della polizia nelle case, i saccheggi, le devastazioni. E i morti. Il dolore irrimediabile di chi si è visto strappare il figlio, la figlia, la madre, il padre, la sorella, il fratello. E non sono più ritornati.
Un lungo applauso. Viene letto un documento firmato da 300 fra associazioni politiche e associazioni dei diritti umani. Si critica la politica dell’attuale presidente Nestor Kirchner, si torna a parlare della situazione attuale del Paese. Ma intanto non posso evitare di riflettere sull’assenza delle figure istituzionali in questa grande manifestazione popolare. Nessun rappresentante dei partiti presenti in Parlamento ha preso parte alla marcia, i movimenti politici presenti sono tutti gruppi o partiti di sinistra che non arrivano ad avere una rappresentanza parlamentare. Le figure istituzionali hanno svolto la loro celebrazione dei trent’anni dal golpe in contesti ufficiali. La stessa mattina il presidente Kirchner ha presieduto una celebrazione ufficiale nella sede del collegio militare di Palomar, nella provincia di Buenos Aires. E’ stata una cerimonia importante. Kirchner ha esortato la corte Suprema a dichiarare l’incostituzionalità dei procedimenti di grazia accordati dall’ex presidente Menem tra il 1989 e il 1990 a beneficio dei più alti comandanti militari condannati nel 1985 per crimini di lesa umanità. Ha voluto inoltre che fosse posta, all’interno del collegio miliare, una targa commemorativa con questa iscrizione: "Mai più colpo di stato e terrorismo di Stato. Per sempre rispetto della Costituzione nazionale. Verità e giustizia. 1976-2006". Ma i luoghi del potere continuano ad essere distanti dai luoghi del concreto esercizio della democrazia. Né leader della maggioranza, né leader dell’opposizione, né leader sindacali prendono parte o hanno mai preso parte alle grandi manifestazioni di piazza, sul palco a Plaza de Mayo non c’è nessuno che abbia ricevuto un mandato democratico di rappresentante della società argentina o di alcuni suoi settori, e che possa farsene portavoce.
Ventitré anni sono pochi per la costruzione di una democrazia. Le vecchie connivenze e i nuovi compromessi con la vecchia classe dirigente sono cosa nota. E nessuno si aspetta di trovare nei politici, nei leader sindacali, a nessun livello dell’apparato dello Stato, dei veri interlocutori.
I due maggiori giornali del paese han dato notizia delle celebrazioni ufficiali facendole comparire in prima pagina, ma con scarso rilievo alla manifestazione popolare che pure ha visto una partecipazione straordinaria. Intanto il 24 marzo è stato dichiarato, da quest’anno, giorno non lavorativo, in memoria del golpe militare. Ma molte associazioni di diritti umani, fra cui Las madres de Plaza de Mayo, hanno manifestato il loro disaccordo.
Il 24 marzo doveva rimanere giorno della memoria e non festivo, perché potesse divenire opportunità di confronto, di discussione, di conoscenza nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università. Là dove la democrazia realmente si costruisce giorno dopo giorno.