La candidata del segretario
Nei Ds trentini lo scontro sulle candidature; con il segretario Andreolli che a tutti i costi vuole alla Camera una sconosciuta, sua fedelissima.
Abbiamo trattato nel numero scorso il travaglio della Margherita, alle prese con una crisi di rigetto del suo sistema di potere, che dalla popolazione inizia ad essere ritenuto troppo pervasivo, invadente, inadeguato ai tempi. Una situazione di difficoltà, sottolineata dalle inchieste giudiziarie ma da esse in gran parte indipendente; cui i maggiori esponenti margheritini cercano soluzioni, anche singolarmente estemporanee, come le inopinate conversioni etiche: dopo quella di Dellai, c’è stata, ancor più clamorosa, quella dell’assessore all’asfalto e agli appalti Silvano Grisenti, che in inusitata simbiosi con l’ex direttore di Vita Trentina don Cristelli, ha dato vita a un’associazione cultural-politica dall’orizzonte vetero-cattolico ("valori, famiglia, difesa della vita ecc").
Esiti questi che ci sembrano molto limitati, anche se non spregevoli; comunque indicativi, dentro la Margherita, di una sana inquietudine. Che secondo noi dovrebbe portare a ben altri approdi - a iniziare dalla messa in discussione di un ormai cinquantennale sistema clientelare di far politica. Ma questi sono esiti ardui, faticosi. Cui dovrebbero contribuire anche gli alleati.
Purtroppo qui casca l’asino: la sinistra è – al solito – in altre faccende affaccendata. Guarda un po’, è affannata in discussioni interne, storie di potere e di poltrone. Di questo qui discutiamo.
Per quanto riguarda la Margherita si è trattato di alcuni campanelli d’allarme, anche gravi, sulla questione morale. E abbiamo visto un apprezzabile inizio di risposta, Dellai non ha minimizzato il problema – ci dice il senatore Giorgio Tonini, dei Ds – E così si è messo in discussione l’assetto del partito pigliatutto, specchio di qualsiasi realtà territoriale, assunta al proprio interno senza alcun filtro. Capisco che sia un ripensamento non facile; ed è significativo che si siano posti il problema, sembra con serietà."
D’accordo. Ma la sinistra, che apporto dà?
"Per la sinistra non è suonato alcun campanello. Però non può ignorare il tema della qualità della politica, della necessità di un progetto; altrimenti l’approdo è quello del partito di gestione, con meno responsabilità della Margherita e quindi con meno rischi di degenerazioni, ma anche meno influente: con la deriva della subalternità, o del mugugno, o di entrambi. Mi rendo conto, questo della progettualità della sinistra non sia un tema nuovo, ma in effetti non si affronta mai, c’è sempre un’altra più impellente scadenza. Il fatto è che a Trento gli interlocutori ci sarebbero, dall’Università al Mart le intelligenze ci sono; ma intersecano poco la politica."
Queste sarebbero le esigenze. Ma l’agenda politica è altra: di scena è il balletto delle candidature. Reso più truce dall’ultima "riforma" elettorale del berlusconismo. "Che ha aggravato i difetti del Mattarellum (la legge elettorale precedente, che aveva introdotto il maggioritario, in maniera parziale ma con esiti non disprezzabili ndr). Con l’ultimo ribaltamento proporzionale infatti – prosegue Tonini – non solo si costringono le coalizioni ad imbarcare tutti per vincere, ma si induce ogni partito a fare campagna per sé, aumentando la frammentazione; e con la sostituzione dei collegi uninominali con le liste bloccate, decise dai partiti, si è espropriato l’elettore delle scelte (che invece si stavano ampliando, attraverso la scelta dei candidati attraverso le primarie) e si è rafforzata la deriva oligarchica nelle designazioni".
Perché questo è quanto sta succedendo un po’ in tutta Italia: i candidati non devono più passare a un vaglio stringente come quello del confronto testa a testa nel collegio uninominale "e allora i partiti hanno visto ampliarsi la propria discrezionalità, e all’interno, lo spazio di cordate e componenti: è uno spettacolo poco edificante".
Ed è appunto quello che – a nostro avviso – sta succedendo a Trento, dentro i Ds.
Dove è accaduto un fatto finora anomalo: stabilito che il candidato doveva essere donna, il segretario Remo Andreolli ha posto il veto sulla candidatura più scontata, la vicepresidente della Giunta provinciale Margherita Cogo, per lanciare invece un personaggio sconosciuto pressoché a tutti se non a lui, tal Lucia Gatti, psicologa, di Riva.
La cosa ha creato nel partito prima sconcerto, poi sordo malumore.
"Il ruolo preminente di un partito è la selezione e l’orientamento della classe dirigente. Che avviene in due maniere – ci dice Sergio Dellanna, già membro delle segreteria diessina, poi dimessosi per radicali divergenze ai tempi della resa a Dellai sulla Jumela – La prima è la costruzione, la valorizzazione di capacità attraverso le esperienze amministrative, consiglio comunale, sindaco, consiglio regionale, assessore: è questo il caso di Margherita Cogo e, in parte, di Remo Andreolli. Oppure attingendo alla società civile, con la candidatura di personalità conosciute ed apprezzate dalla comunità: è stato il caso degli ultimi deputati, Schmidt, segretario della Cgil, e Kessler, giudice e delegato dell’Ocse per i paesi dell’Est europeo. Al di fuori di queste due strade altre non esistono."
Insomma non si può candidare un’illustre sconosciuta (la Gatti, come esperienza di alcuni anni fa può portare la presidenza dell’Ordine degli psicologi trentini, un po’ poco) solo perché amica del segretario.
Perché, teniamolo presente, si parla di candidare un deputato. "E un deputato non è un consigliere circoscrizionale – ci dice Melchiorre Redolfi, figura storica dei Ds trentini, e appunto presidente di un consiglio circoscrizionale – Io non sono certo contrario alle novità, ma con il senso delle proporzioni. La politica non deve agire così."
La cosa ha fatto poi imbufalire le donne diessine: con il segretario maschio che sceglie lui la candidata donna che più gli aggrada. "La Gatti ha zero esperienza. Anteponendola a noi tutte, vuol dire che noi, dalla Cogo in giù, valiamo meno di zero – ci dice una di loro, che ci ha chiesto l’anonimato.
"Siamo in pieno patriarcato: per emergere una donna deve essere cooptata dal maschietto al potere, in base alle sue imperscrutabili valutazioni. Non lo possiamo accettare – ci dice Aida Ruffini, già assessore al Comune di Rovereto, promotrice di una raccolta di firme a sostegno della candidatura Cogo.
Il punto vero non è tanto il niet alla Cogo (la motivazione di Andreolli - ognuno porti a termine il proprio mandato, e la Cogo quello di vice-presidente – non è campata per aria; molto meno quella per cui il trasferimento di Cogo a Roma provocherebbe un rimpasto della Giunta difficilmente governabile: anzi un riassetto e rimotivazione del governo provinciale, proprio per quanto detto in apertura, sarebbe doveroso); il punto dolente è la candidatura della sconosciuta.
"Il no alla Cogo da parte del segretario è stato un errore, però rientrato – ci dice Tonini – Ora i candidati si presentano agli elettori attraverso un’operazione ascolto: dove potranno esser valutati, quelli già noti e quelli non ancora conosciuti. E poi si potranno trarre delle valutazioni. Ma con serenità."
E qui arriviamo a due punti critici: la serenità nelle decisioni e l’"operazione ascolto".
Quest’ultima è una strana operazione. E’ stata presentata come le primarie interne ai Ds. Stranissime primarie: in cui i candidati si presentano in una serie di assemblee, ma non vengono votati. Alla fine del tour sarà il partito, cioè la direzione a decidere cosa hanno pensato le assemblee. Una cosa da ridere: "primarie truffa" "pseudo primarie" "primarie di Carnevale", gli sberleffi si sono sprecati.
E allora, da "primarie" ad "operazione ascolto". Che però cozza contro il secondo elemento invocato da Tonini: la serenità. Perché serenità nei Ds ce n’è proprio poca, le ultime decisioni di Andreolli, in una parte consistente del partito sono viste con apprensione: "Il metodo è senza capo né coda – ci dice fuori dai denti Redolfi – Ne salta fuori solo la volontà del segretario di affermare che quello che comanda è lui".
La posizione di Andreolli (che invano abbiamo cercato di contattare per un’intervista) è a questo punto difficile. Una parte consistente del partito è in subbuglio, e rischia di arrivare fortemente demotivata alle elezioni.
E questo ha messo in allarme la stessa Margherita. Perché Margherita e Ds alle elezioni politiche sono insieme, nell’Unione per Prodi. Se i militanti diessini non si mobilitano, è l’intera Unione che perde voti. E qui scatta un meccanismo antipatico.
Infatti secondo gli accordi tra i partiti, nella lista per la Camera, l’Unione si presenterà con questa formazione della lista, in ordine progressivo
1) Margherita (l’on. Bressa, bellunese, ospite)
2) Ds (Gatti o Cogo o altra donna)
3) Margherita (Piccoli o Molinari)
4) Margherita (tutto da vedere)
I sondaggi prevedono tre posti (quasi) sicuri: il quarto molto in forse. Ora è chiaro che se l’Unione perde voti diessini, a rimetterci è il quarto candidato, che è della Margherita; e se le cose andassero proprio male, ci rimetterebbe anche il terzo, ancora della Margherita. La quale a questo punto dà comprensibili segni di nervosismo.
Anche perché c’è un ulteriore aspetto: Margherita Cogo si è caratterizzata (pressoché unica nel mondo politico locale) come paladina della laicità, in questi tempi non proprio caratterizzati da tale valore. Ma i laici, si sa, ci sono, probabilmente anche molto più numerosi degli integralisti cattolici; e stanno perdendo la pazienza; non a caso dentro la coalizione prodiana il nuovo partito della Rosa nel pugno cerca di caratterizzarsi come loro nuovo approdo. Ed ecco allora che la rinuncia alla candidatura della Cogo, non sostituita da un nome di altrettanta attrattività per i laici, scopre pericolosamente l’Unione su quel lato: l’elettore laico può decidere di migrare verso la Rosa nel pugno, o i Verdi, o Rifondazione. Il che affonderebbe il quarto candidato di lista, e metterebbe a rischio il terzo: entrambi della Margherita. Dove sono sì cattolici, ma i voti laici li apprezzano, e molto.
Ed eccoci quindi al paradosso finale. Nel momento della crisi della Margherita, questa non solo non trova un supporto di stimoli, di idee negli alleati; ma si vede da essi, dai loro giochetti interni, sabotata nei suoi immediati interessi elettorali. Non è un bell’esito per nessuno; e soprattutto per la sinistra.