CGIL: la cultura, le correnti e il nodo Dellai
La Cgil a congresso: le lotte di potere, il confronto con la politica, e il grande sforzo di rinnovamento di un’organizzazione centenaria eppur in continua crescita.
Quando al Palazzetto dello Sport di Rovereto, Max Gazzè e Paola Turci hanno rivolto gli auguri alla CGIL per i suoi cento anni, il pubblico, di giovani e giovanissimi, è esploso in un’ovazione. Certo, perché il sindacato il concerto glielo stava offrendo gratis, ma i giovani, in fatto di sponsor, sono smagati; se si entusiasmano è anche perché, nella confusa Italia del 2000, la Cgil viene percepita come un punto di riferimento, magari ostico ma roccioso, affidabile, sostanzialmente integro. Forse è l’effetto della delusione da berlusconismo, forse delle incertezze da globalizzazione, o forse è il frutto della battaglia, solitaria eppur vittoriosa, dell’organizzazione di Cofferati contro l’attacco di tre anni fa – del centro-destra e della Confindustria di D’Amato – al mondo del lavoro (Roma: le emozioni e le ragioni ). Comunque l’organizzazione si è conquistata un patrimonio di credibilità, oltre che un non disprezzabile incremento degli iscritti.
Il punto è: come si gioca la CGIL questa situazione? Tenendo presenti due derive sempre incombenti: le lotte intestine di potere, fisiologiche in organizzazioni un po’ burocratizzate, ma che a Trento in un passato recente avevano raggiunto il livello di guardia; e la non facile convivenza con un governo locale teoricamente "amico", il centro sinistra di un Dellai sommo maestro di alti discorsi e pratiche discutibili.
Questi due temi avevano polarizzato già lo scorso congresso, salvato proprio dalla necessità di stringersi per contrastare l’offensiva forzista (Congresso Cgil: ringraziando Berlusconi - titolavamo nel gennaio 2002). E quest’anno, nel congresso del centenario, tenutosi al Mart di Rovereto?
Le "componenti" come le chiamano, oppure, con un eufemismo dolciastro, "le sensibilità", le correnti insomma, hanno giocato un ruolo pesante nel precongresso. Alla maggioranza, capeggiata dal segretario uscente Ruggero Purin, si sono contrapposte due minoranze, facenti capo a Mirko Carotta (Funzione pubblica) ed Ezio Casagranda (metalmeccanici); e il punto del contendere sono stati soprattutto i posti negli organismi dirigenti. Però, rispetto al congresso del 2002, dove si era giunti alle denunce di ammanchi, lo scontro è stato rose e fiori. E alla fine della fase precongressuale si è arrivati a una soluzione "unitaria": Purin candidato unico alla segreteria, "pluralismo", ossia dosaggio tra correnti nella distribuzione delle sedie; e un minimo di condizionamento sulla linea del segretario.
E qui arriviamo al cuore della questione, che più interessa i non addetti ai lavori. Il punto critico infatti è la figura del segretario, e il rapporto del suo sindacato con la giunta Dellai.
Ruggero Purin è infatti persona mite, impegnata, riflessiva; viene da un sindacato minoritario (l’articolazione della Cgil tra i bancari); è abituato a ragionare, non certo a infiammare platee con discorsi tribunizi; e nemmeno a condurre le trattative con la durezza che talora è ritenuta necessaria. Quello che parte del sindacato gli rimprovera è un’eccessiva arrendevolezza nei confronti di Dellai che, mellifluo e dilatorio, in buona sostanza se lo intorterebbe. Di qui una Giunta provinciale che ha approvato leggi contrastate con il sostanziale avallo sindacale (come la trasformazione dell’Itea in società per azioni) o con una sua sterile opposizione (il riordino della ricerca); e che prosegue imperterrita lungo la sua strada, attraverso le privatizzazioni e le esternalizzazioni; e tenendo in piedi solo il simulacro della cosiddetta concertazione.
"La concertazione dovrebbe consistere nel considerare il mondo del lavoro una componente importante nel momento decisionale, perché porta un punto di vista proprio, significativo. La giunta Dellai invece vive questo momento solo come un passaggio in più, e quindi inutile e fastidioso. E la concertazione la intende come presentazione di proposte già confezionate, della serie prendere o lasciare – ci dice un delegato – Poi Dellai viene a dirci che "la concertazione è importante" e si autocritica: "Forse abbiamo sbagliato, ma da ora in poi...". Ma oramai non ci crede più nessuno. Il punto è se Purin ci crede ancora".
La relazione di Purin al congresso è un bel malloppo. Letta con voce (troppo) pacata, è durata due ore.
Molto interessante la parte nazionale: un j’accuse implacabile e documentatissimo all’essenza del berlusconismo, una "politica dissennata e classista", che ha minato le basi del sistema economico e sociale. "L’Italia rassomiglia più al Sudamerica che non all’Europa. Il 10% della popolazione con reddito più alto guadagna dodici volte di più del decimo di popolazione a reddito più basso, un rapporto 12 a 1. In Francia e Germania lo stesso rapporto è di 5\6 a 1 ed in Scandinavia di 3\4 a 1".
E ancora: neicinque anni del berlusconismo "i redditi dei lavoratori dipendenti sono cresciuti dell’1,6%, mentre per gli autonomi la crescita è stata del 10,1%".
Ma il tema principale del sindacato trentino – anche se una parte degli iscritti CGIL alle ultime elezioni ha votato a destra (AN, per la precisione) e il dato di per sé non è negativo, tutt’altro, indica un sindacato capace di rappresentare opinioni diversificate; e anche se siamo a due mesi dalle elezioni – il tema principale dicevamo, non è né l’Italia né Berlusconi, ma il Trentino e Dellai.
Su questo punto, a nostro – e non solo nostro – avviso, la relazione di Purin è stimolante ma non omogenea e presenta contraddizioni interne, forse dovute alla necessità di tener conto dei punti di vista delle minoranze.
Il Trentino, in particolare nell’economia, è visto a un bivio "tra crescita qualitativa o declino". E qui, accanto alle potenzialità, vengono indicati i punti critici, consistenti nella tendenza del sistema economico alla chiusura protetta e ai facili investimenti immobiliari; e a una politica della Provincia insoddisfacente.
I punti su cui Purin si scaglia sono innanzitutto due: riforma istituzionale ed esternalizzazioni. Perché la riforma istituzionale, con la creazione "di un terzo ente intermedio..., un’ulteriore stratificazione dell’apparato amministrativo e burocratico", è "una riforma che premia il ceto politico... e non sarà a costo zero" e pertanto, in una fase di contrazione delle risorse, verrà pagata dalla qualità dei servizi, del welfare, del lavoro, perché si cerca di risparmiare esternalizzando, cioè rivalendosi sui lavoratori. Sulla riforma istituzionale, in sede di dibattito, ancor più duro sarà il segretario della UIL Ermanno Monari, arrivando a proporre addirittura il referendum abrogativo.
Di seguito Purin affronta, articolatamente, un ampio ventaglio di temi: e su ognuno la critica alla politica provinciale risulta precisa, ma tutto sommato smorzata. Soprattutto su quello che è il core-business del sindacato, l’economia e il lavoro. Risultano quindi un po’ incongruenti le conclusioni, che – in grassetto nel testo, e con voce un pelo più alta al congresso – reclamano "un forte segnale di discontinuità", perché "troppe sono le cose che ci trovano in contrasto e questo ci preoccupa molto".
La platea è rimasta fredda. Ancora abituata al sindacalista-tribuno (con indubbio coraggio solo con Cofferati, a livello nazionale, si è sganciato il discorso sindacale dalla passionalità, per puntare soprattutto sul ragionamento), l’assemblea troppo pacati ha valutato i toni, e non ha apprezzato locuzioni come "siamo preoccupati" invece di "siamo contrari". E poi, nella successiva tavola rotonda il pubblico, ha vistosamente rumoreggiato quando Dellai ha potuto tranquillamente assicurare di proseguire con le esternalizzazioni, e Antonello Briosi (presidente della Metalsystem) ha inconsapevolmente provocato, definendosi "più operaio di voi, perché io opero per più ore"; e la mancata replica di Purin che, per non apparire ospite sgarbato e polemico, ha preferito far finta di niente, proprio non è piaciuta. Dettagli, si dirà. Non proprio. La dignità di chi lavora in posizione subordinata è un dato tutt’altro che scontato; e il pretendere rispetto sempre, e soprattutto quando si è a casa propria, è semplicemente giusto.
E poi c’è il dato politico: la forza con cui si intende confrontarsi con un potere politico determinato eppure, finora, sfuggente.
Forse anche per questi motivi Purin ha vinto, ma con una votazione non certo travolgente: 3 astenuti e 17 contrari, che – per le liturgie sindacali – non sono pochi.
Ma se il mix di problemi rapporti tra le correnti/relazioni con la Giunta, non ha reso il congresso facilissimo, l’asse portante che rende la CGIL forte, è rimasto confermato. Non è un caso che nell’Europa attuale il sindacato italiano sia l’unico in crescita; e questo per due tratti distintivi, oggi ancor più preziosi: l’autonomia dalla politica, per cui ieri vedevamo Cofferati scontrarsi con D’Alema e oggi si discute non se, ma quanto Purin si distanzi da Dellai (mentre invece i sindacati tedeschi e inglesi, per fare due esempi, si annullano quando al governo è l’Spd o i laburisti); e la confederalità, cioè il convergere delle categorie in un disegno complessivo, che fa del sindacato il difensore non solo dei diritti aziendali, ma anche di quelli sociali, in un’epoca in cui il welfare è tutto da ridisegnare.
E’ in questo contesto che si inserisce il modello di sindacato di Purin, che intende non tanto opporsi, ma intervenire, incidere sulle politiche economiche e sociali. Attraverso un rapporto intenso con il mondo imprenditoriale (in Trentino, da anni più collaborativo che non a livello nazionale) e con il potere politico (che poi risponde come si è visto, ma questo non mette in discussione la scelta strategica).
Certo, per ricoprire questo ruolo, la CGIL dovrebbe meglio attrezzarsi dal punto di vista culturale. Al suo interno ha degli ottimi elementi, in grado di studiare la società ed elaborare proposte (da Antonio Rapanà a Paolo Burli, a Franco Ischia, allo stesso Purin), ma sono impegnati in mille attività di routine. Ci sarebbe bisogno di un vero Ufficio Studi, si dovrebbero soprattutto tessere rapporti più intensi con l’università, che oggi latitano, ed è grave. Sono strumenti imprescindibili, se si vuole seguire con coerenza la linea segnata, intervenendo per tempo e con proposte vere, invece di inseguire le proposte altrui, magari affidandosi a slogan.
E’ un’esigenza sentita, si vedrà. Per ora c’è da registrare come le nuove assunzioni vedano, a fianco di chi ha fatto la gavetta in fabbrica, anche giovani formatisi soprattutto sul fronte intellettuale (alcuni nomi che i lettori di Questotrentino forse conoscono, in quanto a vario titolo nostri collaboratori, come Andrea Grosselli, Roberto Grasselli, Franco Ianeselli).
E sulla cultura in effetti la CGIL in questi ultimi anni ha dimostrato di credere e investire. Non è un caso, come è stato più volte ripetuto, se il congresso si è svolto al Mart. E in contemporanea nelle sale del Museo, sponsorizzata dalla CGIL, veniva presentata una bella mostra fotografica sul lavoro (vedi la recensione Il lavoro in mostra ); e nelle sale teatrali di tutto il Trentino gira, con grande successo, “Sloi Machine", l’ottima performance di Andrea Brunello sulla tragedia della fabbrica dei veleni; e poi i libri, le ricerche... E’ un discorso sulla cultura operaia, sul lavoro e la sua storia che viene con fermo orgoglio proposto a tutti i cittadini affinché lo facciano proprio, in un più evoluto concetto di cittadinanza e società.
Sono semi; che forse han già iniziato a germogliare, se i giovani al Palasport si entusiasmano augurando lunga vita a un vecchio sindacato.