Sciopero generale, un grande successo. E ora?
All'indomani dello sciopero: la Cgil e gli altri sindacati. E le prospettive per l'Ulivo, oggi latitante e senza bussola.
E’ andata bene. E’ andata bene per la partecipazione allo sciopero e alle manifestazioni. E’ andata bene per il clima che si è respirato nei cortei, a Trento e nel resto d’Italia. Un risultato che non era per niente scontato. E molti sono state le preoccupazioni e inquietudini umane e organizzative dentro la CGIL nei giorni che hanno preceduto lo sciopero. Per la prima volta da più di trent’anni in preparazione di uno sciopero generale la CGIL si è ritrovata sola; nelle fabbriche ai volantini che motivavano lo sciopero se ne contrapponevano altri che invitavano a disertarlo. Lo sciopero generale veniva dopo la serie di manifestazioni di protesta contro la politica del governo Berlusconi, che si sono succedute in questi mesi con ritmi incalzanti. E si sa che non è facile mantenere a lungo a livelli alti la tensione ideale e organizzativa.
E’ andata bene per tutti. Per la CGIL c’è stata la garanzia che il suo ruolo di rappresentanza non può essere bypassato dalle furbizie del governo e dalle manovre all’interno dello stesso schieramento del centro sinistra.
Per quanto possa sembrare paradossale, è andata bene anche per la CISL e la UIL, che lo sciopero lo avevano avversato, vivendolo come manifestazione volta prevalentemente contro di loro e la loro scelta di sottoscrivere il "Patto per l’Italia".
In realtà qualsiasi contenimento della confusa politica liberista del governo non può passare per la sconfitta della parte più rilevante del sindacalismo italiano. Se la CGIL fosse stata messa in angolo non avrebbero vinto gli altri sindacati, ma si sarebbe solo aperta una drammatica crisi di rappresentanza del sindacato in Italia. E’ andata bene per i DS che possono dimostrare di mantenere un retroterra sociale vasto e resistente; e per tutto il centro sinistra, che da un fallimento dello sciopero del 18 ottobre avrebbe tratto solo ulteriori elementi di polemica e di risentimento, da aggiungere ai molti che si sono accumulati dai giorni della sconfitta elettorale nella primavera del 2001.
Questa valutazione positiva non è stata condivisa da molti nel giorno dello sciopero e in quelli seguenti. La CISL si è lasciata andare al ruolo che di solito svolgono le questure: quello di minimizzare le adesioni, quasi non fossero visibili a tutti le piazze piene e la voglia di partecipazione di una parte rilevante della società italiana che lì si esprimeva.
Si è sostenuto, prima e dopo lo sciopero, che la CGIL aveva fatto una scelta sbagliata proclamando uno sciopero politico: un tributo che doveva essere l’ultimo alla linea d’intransigenza di Cofferati. Un’ipocrisia evidente, poiché uno sciopero generale ha sempre una valenza politica: non lo aveva forse anche quello d’aprile che aveva visto l’adesione di tutte le confederazioni sindacali?
Lo sciopero, nelle motivazioni di chi ha partecipato alle manifestazioni, è andato oltre la piattaforma sindacale per cui era stato proclamato? Sicuramente sì.
Nei cortei e nelle piazze c’erano i lavoratori dipendenti sui cui direttamente pesano le scelte del governo. Partecipavano soprattutto tanti cittadini che aggiungevano a quelle ragioni un impasto forte di sentimenti e di reazioni per una crisi internazionale drammatica dove la teoria della guerra preventiva si sovrappone alla lotta al terrorismo; per la discriminazione razziale che si rende concreta con l’attuazione della legge Bossi-Fini; per il perdurare dello scandalo di un Parlamento bloccato sulle leggi in difesa di Previti e dei destini giudiziari del clan Berlusconi.
E’ compito del sindacato rappresentare questi sentimenti?
Certo, dovrebbe farlo l’Ulivo, che ha la rappresentanza politica dei milioni d’italiani che un anno fa hanno votato per le liste e gli uomini del centro-sinistra; ma l’Ulivo latita, si accapiglia, dà spettacolo d’indecorosa "politica politicante." Chi altri può in una simile situazione, svolgere una funzione di supplenza?
E’ sorprendente, e qualche volta impudente, che l’accusa al sindacato di debordare dal proprio ruolo istituzionale venga da chi ha dimostrato e continua a dimostrare di non riuscire a svolgere in modo efficiente e convincente il proprio ruolo.
Si è detto, in modo esplicito da parte della Margherita, ma anche fra i DS si sono avuti su questo molti mal di pancia, che lo sciopero non doveva essere fatto perché non era uno sciopero unitario. Un’altra foglia di fico per coprire le miserie del centro sinistra: il sindacato non vive, infatti, in una torre d’avorio avulsa dal mondo politico di riferimento.
Se l’Ulivo è in frantumi, con i colonnelli che tirano la coperta della coalizione da tutte le parti, come è possibile immaginare che il sindacato faccia il miracolo di passare indenne per le contrapposizioni e le divisioni della politica? Quando mai questo è successo nella storia lontana e recente?
La lettera scritta, non spedita, ma resa pubblica, di cinquanta e passa parlamentari dell’Ulivo che invitavano la CGIL a fare dietrofront è il capolavoro di questo modo di coprire le proprie inettitudini scaricandole sul sindacato. La dichiarazione in "salsa trentina" del presidente della giunta Lorenzo Dellai, che ha liquidato lo sciopero come la bega di un sindacato contro gli altri, dà la misura di quanta miseria strumentale vi sia anche nella valutazione di un movimento di lotta che ha interessato milioni di cittadini italiani. Pochi hanno replicato alla lettera dei parlamentari ulivisti, nessuno alle dichiarazioni del presidente della giunta trentina.
L’unità sindacale è un obiettivo indispensabile per qualsiasi svolta sociale e anche politica in Italia, ma non si raggiunge con gli atteggiamenti cerchiobottisti. Non si ricomporrà un’intesa finché sul sindacato peseranno i vuoti del centro sinistra, che hanno portato la CISL e la UIL a cedere alle sirene di un governo che ha perso il bandolo dell’economia nazionale. Un governo che è riuscito a scontentare contemporaneamente la CGIL che lo aveva frontalmente contestato e la Confindustria che lo aveva platealmente appoggiato, costringendo il maggior sindacato ad una esposizione di ruolo e di funzioni necessaria per non tradire se stesso, ma difficile da mantenere all’infinito, malgrado il buon risultato del 18 ottobre.
Le puntuali repliche della cronaca dell’economia italiana, che costantemente disvelano l’inesistenza di una linea economica del centro-destra, e all’interno di queste la drammatica crisi della Fiat, hanno portato i metalmeccanici a proclamare giornate di lotta per il prossimo mese di novembre. Giornate unitarie, sostenute da tutte e tre le confederazioni. A rimarcare come lo sfarinamento della politica governativa ha tagliato le gambe alle ipotesi di un sindacato che si legittima per gli accordi con il governo.
Nell’Italia del 2002, per tutti (partiti, sindacati, categorie) il problema è costruire una nuova politica di rapporti economici, che prescinda dagli estemporanei dilettantismi dell’attuale governo.