L’etica e la politica
Da Volani a Mengoni, da Malossini a Dellai. Gli anni '80, con la questione morale monopolio di QT, gli anni '90 con la vittoria di Tangentopoli e conseguente crisi, i nostri giorni con la critica al potere dellaiano.
"Un quindicinale senza bavaglio, per dire quello che gli altri non dicono" era lo slogan del lancio di Questotrentino nel settembre del 1980. Fin dagli inizi quindi, giornale di denuncia; che ipotizzava una società trentina dominata da un sistema di potere – quello doroteo – egemone e pervasivo, in grado di crearsi attorno, una rete protettiva fatta di complicità ed omissioni.
QT forse non sempre indagò con la dovuta serenità il lato "positivo" di questa egemonia – ossia la capacità dorotea di dare comunque risposte alla società; di sicuro ne affrontò di petto la parte "negativa": gli scandali, gli abusi di potere, le omertà. Di fronte ad un sistema compatto e articolato, che poteva contare su alcune decisive protezioni nella magistratura e una generalizzata sottomissione della stampa, un periodico libero e coraggioso, non ricattabile né comperabile, si trovava davanti spazi infiniti. "Nessuno può permettersi di alzare il telefono per dirmi quello che posso o non posso scrivere" ci dicevamo noi redattori: ed era una sensazione di libertà piena.
Libertà condizionata solo dalle discussioni in redazione, che tendevano ad inquadrare il giornalismo di denuncia, "scandalistico" secondo alcuni, in una visione più complessiva della società.
A tale proposito, fu decisivo l’apporto in redazione di Renato Ballardini. Già parlamentare di spicco, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera (nonché vice-presidente del Parlamento europeo), abbandonata la politica nazionale proprio perché schifato dall’involuzione morale del suo partito (il PSI di Craxi), Ballardini fornì il quadro generale di riferimento in cui inserire l’azione di denuncia del giornale.
In merito, è illuminante l’articolo "Sono gli elettori a dover giudicare gli amministratori" che riproponiamo. Scritto nel maggio ’83, è illuminante (quasi profetico) di vent’anni di storia italiana. Scritto a commento dei problemi giudiziari dell’allora assessore Pierluigi Angeli relativi ai discutibili contributi a un’azienda zootecnica puntualmente fallita, descrive con grande acutezza i meccanismi e il mondo della corruzione politica, che solo dieci anni dopo Tangentopoli rivelerà compiutamente; analizza le nascenti e benemerite reazioni della società e della magistratura; mette in guardia dagli eccessi del potere giudiziario, sia in termini di tentazioni antigarantiste, sia di invasione del campo proprio della politica, con la nascente pretesa di parte della magistratura di sostituirsi all’elettore (appunto il caso della vicenda Angeli) condannando il politico non per dei reati, ma per decisioni politiche sciagurate.
Su questa linea QT improntò il proprio lavoro di denuncia. Il primo caso clamoroso, dovuto al lavoro d’inchiesta del direttore Eugenio Pellegrini, fu quello dell’imprenditore roveretano Mariano Volani. Operante nel settore dei prefabbricati a livello internazionale, come pure in quello delle telecomunicazioni (sua era TVA, l’emittente più seguita della provincia; come suo un tentativo, forse prematuro, di lancio nazionale dell’home video), Volani, sorta di piccolo Berlusconi, era culturalmente agli antipodi di QT: il mito dei soldi e del successo, il culto dell’efficienza ad ogni costo che gli faceva licenziare gli handycappati, il primato del fare - anzi dell’apparenza del fare - su quello del sapere, che gli faceva infarcire la parlata di vacui inglesismi simil-manageriali. Tutte caratteristiche che avevano già solleticato la vena satirica del giornale. Poi venne la denuncia (Tempi difficili per l’impero): della prassi di Volani (per di più vicepresidente della Cassa di Risparmio) di arricchirsi dilazionando all’inverosimile i pagamenti a fornitori e subappaltatori, diversi dei quali erano andati in rovina. "A te il fallimento, a me i soldi" fu il titolo della serie di denunce, accolta con favore nelle stesse stanze della Confindustria trentina, dove si guardava con preoccupazione l’instaurarsi di tale perverso tipo di rapporti finanziari.
L’inchiesta si rivelò micidiale per la credibilità di Volani. E in seguito il suo impero industriale, costruito più sull’apparenza che su basi economicamente solide, non resse alla conseguente crisi di credibilità. Non era quella una strada per l’economia trentina.
Contemporanea all’inchiesta su Volani, si sviluppò quella sulle Tre Torri. Si tratta dell’edificio per uffici provinciali situato a Trento Nord, costruito non in seguito a gara d’appalto come da norma, bensì acquistato chiavi in mano, con atto d’imperio, dal presidente della Giunta provinciale Flavio Mengoni. A prezzi incredibili. Contro questo procedimento si era scagliato in Consiglio provinciale il capogruppo del PCI Giorgio Ziosi, ottenendo solo pallidi echi sulla stampa. Ci pensò Questotrentino a riprendere, approfondire, rilanciare: con una serie incessante di servizi, in un arco di sei anni: contro il presidente Mengoni e contro il Procuratore della Repubblica Francesco Simeoni, che già si era distinto per una visione della giustizia acquiescente con i potenti e dura con i deboli; e che, in apposita conferenza stampa convocata proprio alle Torri, ne dichiarava la congruità del prezzo in base ad una perizia che però poi si rifiutava di rendere pubblica, accampando un improvviso segreto istruttorio (ripoponiamo il corsivo satirico La perizia sulla perizia, di Carlo Dogheria).
La campagna stampa di QT portò i suoi frutti: l’iter giudiziario proseguì, seppur attraverso acuti contrasti con il Procuratore, e la perizia, una volta resa pubblica, si rivelò nient’affatto assolutoria, sicché Mengoni fu rinviato a giudizio (vedi La caduta degli intoccabili). Fu poi assolto con una sentenza poco convincente; ma oramai, politicamente screditato, e peraltro rivelatosi un ingombrante ostacolo alle necessità di cambiamento evidenziate dalla tragedia di Stava (vedi 25 anni di impegno per l'ambiente: date e vicende), era stato destituito da Presidente ed estromesso dalla vita pubblica.
In quanto al dott. Simeoni, pur anatra zoppa, continuò a reggere il proprio ufficio fino a quando, all’esplodere di Tangentopoli, in concomitanza di voci di presunti favori ricevuti dall’Autobrennero, non decise di chiedere il pensionamento.
Questa attività del giornale non fu subìta passivamente dai potenti. Da Flavio Mengoni in giù, furono molteplici i querelanti, che talora riuscirono a trascinare in aula giudiziaria redattori e direttori, con richieste di condanne e di risarcimenti (fino agli 800 milioni chiesti dalla società PortoArco): ma la magistratura giudicante riconobbe la legittimità del nostro lavoro.
Lavoro che continuava su tutta una serie di casi e personaggi: il sindaco di Vermiglio Flavio Mosconi, braccio destro di Mengoni, boss della Cooperazione, oggi consigliere di Forza Italia; lo speculatore Pietro Tosolini e i suoi rapporti con Mengoni prima, con i sindaci Goio e Dellai e il presidente Malossini poi; l’acquisto del Mulino Vittoria da parte dell’università e il ruolo del senatore Kessler; la tragedia di Stava ei relativi esiti giudiziari; il caso Marilleva, ecc. ecc.
In alcuni casi la denuncia riuscì a bloccare sul nascere l’iniziativa sospetta. In altri fece comunque pagare un prezzo politico molto salato all’amministratore di turno. In altri ancora non si riuscì ad intervenire per tempo.
Si cercò di sviluppare anche un lavoro in positivo. Individuata come momento critico la pratica degli acquisti immobiliari da parte della Provincia (che si ostinava a non costruire in proprio, bensì ad acquistare – a prezzi pazzeschi – da imprenditori amici degli amici), si propose di regolamentarla: di qui una legge, proposta in ottica bipartisan dal presidente Malossini (sì, proprio lui) e dal capogruppo del PCI Alberto Rella, che rendeva tale pratica più ardua, e in ogni caso molto più trasparente.
Ma, nella lotta contro il malcostume, fu una vittoria di facciata. La corruzione aveva anche altri, cospicui canali.
Si arrivò così agli anni ‘92-’93 e all’esplodere a livello nazionale di Tangentopoli, che in Trentino significò anzitutto Malossini. Azzoppato da un’inchiesta de L’Adige (finalmente i quotidiani si davano una mossa) sullo scandaloso progetto della metropolitana (affidato dal Presidente a ingegneri amici ma incompetenti, che infatti avevano partorito un progetto monstre, costosissimo e irrealizzabile, tanto quello che importava era la parcella di 5 miliardi), Malossini era stato messo alle strette anche da QT (I conti in tasca a Malossini: in cui si dimostrava come il presidente, altrimenti nullatenente, avrebbe dovuto impegnare tutti i suoi emolumenti presenti e futuri per pagarsi la villa al Casteller. Malossini rispondeva che "sulla casa io e la mia famiglia abbiamo investito tutto", e allora QT elencava il tourbillon di automobili che la famiglia Malossini aveva cambiato nell’arco di tre anni, per un valore ancora eguale o superiore alle entrate ufficiali); e poi destituito dalla DC, che ormai riteneva indispensabile prenderne le distanze. Alla fine dell’anno la magistratura, prendendo le mosse da una nostra inchiestao, e completandola grazie ai propri mezzi (perquisizioni e interrogatori), acquisiva prove di reato che ne richiedevano l’arresto (Evviva lo scandalo di Paris e Zacchi).
Seguiva la vicenda dell’Autobrennero, l’incriminazione del grande elemosiniere Enrico Pancheri, l’emergere di un autentico sistema corruttivo, che veniva a lambire anche l’Associazione Industriali.
Questotrentino, che già tre anni prima, per la penna di Michele Zacchi titolava "L’Autostrada, i poteri del presidente Pancheri, i soldi (tanti) di cui dispone; ma chi li controlla?" aveva dunque ragione.
Era il momento di massimo fulgore per QT. E contemporaneamente il momento di svolta.
Le condizioni degli anni ’80 cambiavano radicalmente: il sistema di potere DC, pur non scomparendo, andava tuttavia in pezzi; la stampa quotidiana si svegliava dal lungo torpore e scopriva di poter impunemente parlare delle malefatte dei politici; la magistratura svolgeva pienamente il proprio compito.
Tutto bene. Ma Questotrentino perdeva il monopolio della denuncia. E si trovava a dover ridefinire i motivi della propria specificità. Anche perché la dissoluzione della DC aveva cambiato lo scenario complessivo: non c’era più un potere pervasivo, ritenuto (a torto o ragione) di ostacolo allo sviluppo del Trentino, e quindi da denunciare e combattere, disvelandone il marciume. Ora, più che picconare, bisognava costruire. E di qui la perdita di centralità del momento della denuncia, che nel giornale permaneva, ma in posizione non più preminente.
Rimaneva il problema dei rapporti tra etica, potere, politica, che veniva affrontato da due punti di vista. Il primo era quello di far seguire alla denuncia la riflessione, il dibattito: sugli esiti di Tangentopoli (due titoli tra i tanti: "7 anni da Tangentopoli, i cambiamenti della società trentina"; "I corrotti rialzano la testa: è inevitabile?"); su questione morale, potere, ruolo della stampa; sugli antidemocratici meccanismi di governo nei partiti; sulle perduranti lottizzazioni nelle nomine negli enti pubblici (Le poltrone e le nomine: la teoria e la pratica).
Il secondo era l’analisi dell’emergere di una nuova aggregazione di potere, dai contorni discutibili, attorno a Lorenzo Dellai. Quando ancora "il principe" era da tutti osannato, Questotrentino ne metteva in luce sia i rapporti con la speculazione ("Dellai come Goio, soldi a Tosolini" nel ’96) sia quelli più "innovativi", come il coinvolgimento/regalo ai poteri forti delle aree dell’ex-Michelin (Area Michelin: la grande occasione, i grandi affari). Non solo: il giornale seguiva il formarsi di un nuovo potere, con le nomine di sottopancia del Presidente nelle società parapubbliche (o fittiziamente privatizzate), negli interessi delle quali poi si provvedeva ad orientare la politica complessiva della Provincia (Dellai, i suoi disegni, e quelli che cercano di fermarlo). Un esempio: la SIT, e la politica dei rifiuti provinciale orientata verso l’inceneritore e i conseguenti introiti della società.
Ancora una volta, ai tempi di queste prime denunce, QT si trovava solo (anzi, pesantemente osteggiato pure a sinistra, ne parleremo in altro capitolo il prossimo numero). Solo ma anticipatore: oggi il dellaismo, ossia la concrezione di potere personale attorno al presidente, è un tema riconosciuto dalla stampa e dalla politica, anche se non affrontato coerentemente. Ma questo è un altro discorso.