Evviva lo scandalo
Le reazioni alla notizia dell’arresto di Mario Malossini
La notizia dell’arresto di Malossini è stata accolta in due maniere opposte: nei bar la gente brindava, sulla stampa i commenti erano funerei.
Partiamo dal secondo aspetto, la "fine dell’Autonomia" paventata dall’emergere di una Tangentopoli trentina. E diciamo subito che non siamo d’accordo. Innanzitutto perchè ci sembra il rimpianto dello struzzo cui qualcuno ha tolto la testa dalla sabbia. Che la corruzione stesse anche da noi sempre più prendendo piede era cosa nota, se ne parlava in tutte le sedi (soprattutto private) e in tutte le occasioni (soprattutto non pertinenti). Che questa consapevolezza sia ora manifesta e incontrovertibile è un fatto grandemente positivo. "Oportet ut scandala eveniant" affermava qualche secolo fa non un popolano arrabbiato, ma un pontefice: è bene che gli scandali emergano. Per poter innanzitutto circoscrivere l’infezione sanzionando e reprimendo; e poi per poter prendere provvedimenti di più largo respiro.
Quello che infatti più stupisce nella vicenda di Malossini e della villa di Torbole, è la tracotanza, la presunzione di assoluta impunità, che porta l’allora assessore al Turismo ad apporre la propria firma in calce a un documento che in mano a qualsiasi giudice non connivente significa una automatica condanna. Per di più (e la cosa è ancora più grave, perché significa che non ci si trova di fronte alla follia del singolo) con la consulenza e la collaborazione - questa almeno l’accusa - di uno dei più esperti avvocati della provincia, evidentemente anch’egli coinvolto in un più generale convincimento che tutto è possibile perché tutto è destinato a rimanere impunito.
Dalla scoperta di questo clima, di questa non circoscritta sottocultura dell’impunità, viene l’ulteriore conferma di come l’episodio acclarato sia solo uno dei tanti, e del fatto che Malossini si trovi in folta compagnia; e di come da noi ci sia stato (e per alcuni versi ancora permanga) un problema magistratura: in tutti questi anni, almeno in alcuni snodi decisionali decisivi, così inetta, da non essere stata nemmeno considerata un possibile ostacolo alla più sfrontata consumazione dei reati. E allora appaiono ancora più motivate le recenti polemiche verso e all’interno del palazzo di giustizia trentino.
Certo, il quadro complessivo che emerge da questa prima parte delle indagini, non è quello della Tangentopoli milanese, con il suo scientifico ed efficiente meccanismo di spoliazione e ripartizione del bene pubblico. Qui appaiono invece dei meccanismi più artigianali, frutto più che altro di iniziative del singolo; ma che subito si trovano intorno un mondo immediatamente contiguo di affaristi e trafficoni: una sottocultura, abbiamo detto, un ceto, che in questi anni si è andato via via espandendo, con il concreto rischio di sempre più contaminare la sfera dell’industria e della produzione.
Si sa, pecunia non olet, il denaro non puzza: quando rende molto ma molto di più investire in pelose speculazioni, a rischio zero se si agganciano i personaggi giusti, chi te lo fa fare di investire nell’azienda?
Ed ecco quindi la nostra situazione: non ancora Tangentopoli, ma una fase di poco precedente, con incipienti guasti sociali di devastante gravità. Ben venga lo scandalo quindi, a rivelare anche ai ciechi una situazione giunta al livello di guardia.
Veniamo al secondo aspetto, la reazione popolare: di aperta, conclamata e generalizzata soddisfazione, pur senza gli eccessi filocarcerari che contraddistinguono per esempio l’odierno anticraxismo (la gente in fondo non ce l’ha con il Mario Malossini come persona, che non è mai risultata né antipatica né più di tanto arrogante).
Diciamo subito che non siamo d’accordo con chi questa reazione la osserva con la puzza sotto il naso, perché chi adesso racconta la barzellettaccia prima si prostrava per il contributo, perché i quadretti con la foto "del Mario" testimone di nozze ora passano in soffitta, ecc ecc.
No. Perché se è vero che la gente non va mitizzata, non va nemmeno presa per i fondelli.
E se uno è costretto a chiedere per avere un diritto soddisfatto, se poi si incazza fa solo bene. C’è, nessuno lo nega, tutta una cultura del contributo, del favore, da sradicare; ma è proprio nell’attuale insofferenza verso favoritismi e prevaricazioni, che si possono trovare i presupposti per questo cambiamento culturale.
E la nuova sfida dell’Autonomia (ve lo ricordate l’orrido lessico malossiniano, in voga fino a una settimana fa?) il problema che abbiamo di fronte, è proprio questo: saper raccogliere questa protesta, questa grande e generosa disponibilità a cambiare. Perché cambiare bisogna, ormai lo abbiamo capito tutti.
29 gennaio 1993