Illegalità “democratiche”
Tutti percepiscono, con diversa e magari contrastante emotività, le conseguenze devastanti provocate dalla guerra illegale (Kofi Annan) contro l’Iraq: la morte di migliaia di civili, la distruzione fisica del Paese, il moltiplicarsi dei sequestri che finiscono spesso con lo sgozzamento o la decapitazione dei prigionieri, il moltiplicarsi vertiginoso del terrorismo.
Ma l’effetto più pericoloso resta nascosto, sotterraneo, inavvertito ai più. Si tratta dell’affievolimento nelle coscienze dei diritti umani e delle garanzie che li proteggono. La maggior parte delle persone inorridisce di fronte alle torture o al massacro di innocenti, ma non coglie la causa profonda che sta dietro a questi fatti. L’11 settembre 2001, l’attacco scellerato del terrorismo contro gli USA, è stato un fatto terribile dalle conseguenze funeste, perché ha fatto riaffiorare l’antica massima "occhio per occhio, dente per dente". Ciò è avvenuto nella nebbia delle informazioni, nella parzialità o nella distorsione delle notizie, in un clangore propangadistico che ottunde la ragione e facilita l’oscuramento quasi totale dei principi che devono governare le società umane. Il magistrato Roberto Olivieri del Castillo, in un bell’articolo apparso su "Diritto e Giustizia", ci ricorda che " le democrazie devono reagire agli attacchi secondo le procedure e nel rispetto delle regole del diritto interno e internazionale, non violandole sistematicamente".
Come sappiamo, il Congresso USA ha attribuito al presidente Bush i poteri di guerra dopo l’11 settembre, sotto una spinta emotiva fortissima. La decisione del Congresso ha violato gravemente la Carta dell’ONU ed ha posto i presupposti di decisioni illegali: il Patriot act e i Military orders del novembre 2001, con l’attribuzione a Bush di poteri di guerra straordinari. Sono queste decisioni illegali che "hanno causato l’intervento militare in Afghanistan e in Iraq in contrasto con le delibere dell’ONU, e le procedure di internamento di Guantanamo, Abu Ghraib, Bagram ecc., in contrasto con le Convenzioni di Ginevra e della Costituzione americana, nei confronto di esseri umani sulla base del mero sospetto".
Le persone arrestate sono state sottoposte a tortura. L’articolo 1° della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 stabilisce che per tortura si intende "ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una persona dolore o sofferenze gravi, sia fisiche che mentali, allo scopo di ottenere da essa o da un’altra persona informazioni o una confessione, per punirla per un atto che essa o un’altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione". E’ ciò che hanno fatto sistematicamente Americani, Inglesi e non solo loro.
Il rapporto del generale Tabuga, pubblicato sul New York Times, parla chiaro, e così il rapporto della Croce rossa internazionale. Ciò che è grave è che il Pentagono e il Presidente sapevano ben prima delle rivelazioni della stampa e della televisione.
Secondo il magistrato Olivieri del Castillo anche gli Italiani non hanno le mani pulite. In un articolo che è rimasto pressoché isolato si raccontava del fatto che alcuni sospetti fermati dai Carabinieri dopo la strage di Nassirya erano stati tenuti "chiusi in cella, al buio, inginocchiati, senza acqua né cibo per quattro giorni" e si precisava che "la procedura seguita dai Carabinieri è quella imposta dagli Stati Uniti" (Corriere della Sera, 1° dicembre 2003, pag. 5). Si chiede il giudice Olivieri del Castillo se la cultura occidentale non stia ritornando all’epoca medievale, "quando si riteneva normale infierire sul corpo di chi si trovava nella signoria di fatto e di diritto di un indagatore, fosse esso civile, penale, militare o religioso, il quale cercava di ottenere informazioni per una causa giusta, fosse la guerra all’eresia, al nemico , o il contrasto ai delitti più efferati".
Non è una domanda peregrina, dato che è in discussione alla Camera dei deputati della Repubblica italiana la reintroduzione della tortura col pretesto di abolirla: un emendamento all’articolo 613 bis, proposto dalla maggioranza, prevede che per essere qualificata tortura "la sofferenza psicofisica debba essere causata da violenze e minacce gravi e reiterate". Ciò significa che se un agente della Polizia di Stato infligge una sola scarica elettrica ai testicoli del detenuto, non c’è tortura perché manca la reiterazione. Incredibile! Sembra di essere tornati ai tempi di Papa Innocenzo IV (1252!).
Osserva giustamente Olivieri del Castillo che "ciò che distingue le democrazie dai totalitarismi è non solo il ricorso a libere elezioni non truccate nella scelta del ceto politico dirigente, ma la forma che assume il rapporto tra autorità di Polizia e chi ne è assoggettato. Abdicare alle garanzie dell`habeas corpus" vuol dire estinguere il confine tra totalitarismo e democrazia".