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Il soccombente

Quando la passione della musica produce effetti patologici. Un racconto di Thomas Bernhard e la realtà vissuta da tanti giovani musicisti.

Questo lunedì sono andato a Milano per ragioni professionali a trovare quelle teste matte di Elio e le storie tese. Durante il viaggio tornavo indietro col pensiero alle spedizioni che, insieme ad altri giovani musicisti compagni di ventura, compivo sulla metropoli a un’età in cui è fisiologico nutrire sogni e speranze. Si partiva la mattina presto col treno delle 7 e 05 per arrivare puntuali all’appuntamento con i direttori artistici delle varie Ricordi, Poligram, CBS e presentare la cassetta con i provini. Il responso non era quasi mai negativo, a volte anzi pareva entusiastico… eppure da quella sorta di entusiasmo trapelava un certo manierismo di routine che già nel viaggio di ritorno ci faceva affiorare vaghi dubbi su una possibile evoluzione positiva del progetto. I presentimenti trovavano poi l’inesorabile conferma nel nulla di fatto dei giorni successivi. Quasi tutti i giovani musicisti hanno condiviso esperienze analoghe e sanno cosa significhi intraprendere questi piccoli viaggi della speranza con delusione annessa quasi garantita. E’ sempre stato così e tuttora è così: oggi al posto dell’audiocassetta i ragazzini portano il cd ma il rituale continua ad essere fedelmente rispettato nella sua fredda scansione di eventi reali e stati psicologici.

Thomas Bernhard.

La musica può essere una gran brutta bestia. Per alcuni che la praticano intensamente rappresenta una scorciatoia per ottenere la sospirata visibilità sociale, un obiettivo che non raramente scivola nel morbo quando diviene unica ragione di vita. Allora la musica lungi dal configurarsi in scorciatoia si rivela un labirinto che ti fa correre di qua e di là fino all’esaurimento. Ti attira con la sua capacità seduttiva, perché suonare è bello, creare un’opera o una canzonetta ti dà sensazioni nobili e potenti. Ma è pure una trappola per i poveri allocchi perché ti illude più di altre discipline umane. Lo sport non produce equivoci: se vinci i cento metri è perché hai tagliato il traguardo prima degli altri. Se Tyson ti pianta un cazzotto e tu stai lì rincoglionito al tappeto oltre il conteggio non ci sono balle: Tyson ha vinto e tu no. La musica è più subdola, non ci sono modi univoci per misurare il tuo talento: puoi desiderare di vendere tanti dischi come Pupo oppure snobbarlo come un inspiegabile errore antropologico; oppure puoi pensare che il riconoscimento del tuo talento artistico sia solo questione di tempo. L’arte si regge su valori opinabili ed è diabolicamente generosa nell’offrirti alibi per continuare a sognare.

Alcuni effetti iperbolicamente patologici (e devastanti) prodotti dalla musica sono mirabilmente descritti ne "Il soccombente", un libro curioso e acuto del narratore tedesco contemporaneo Thomas Bernhard. In un monologo interiore ironico e di alta efficacia narrativa Bernhard racconta spezzoni di vite parallele di tre pianisti amici. Uno dei tre è quello che, a parere di Bernhard (ma anche mio), è stato il più grande pianista del novecento: Glenn Gould. Lui è il vincente, il genio nato e vissuto, direi programmato dalla natura, per la musica. 

Glenn Gould.

Gli altri amici sono lo stesso Bernhard e tale Wertheimer, il soccombente. Il rapporto col talento di Gould è talmente sbilanciato da convincere Bernhard a vendere il suo pianoforte e questo suo senso della realtà gli permette di liberarsi da un vero e proprio regime psicologico, descritto con formidabile acume. Non è il caso di Wertheimer che invece da quel regime non si libererà mai e si toglierà la vita soggiogato da invidia, angoscia e senso di totale fallimento esistenziale.

La struttura del racconto, è per così dire, minimalistica: costruita su sequenze che si ripetono ciclicamente e quasi ossessivamente ma sempre aggiornate da nuovi elementi. E’ un po’ come sfogliare un carciofo: i pensieri di Berhard ruotano a spirale avvicinandosi sempre più al centro, in cui si confronteranno in un impari duello finale la follia autodistruttiva del soccombente Wertheimer e quella lucida, determinata e vincente di Gould. Lo stile semplice, quasi naif, del linguaggio unito a un intelligente uso della suspence fanno del Soccombente un libro avvincente e… istruttivo.

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