Da piazza Navona a piazza San Giovanni
Una bella giornata: emozioni e crescita civica. Forse i tantissimi giovani presenti avranno qualcosa per cui spendersi.
Eravamo in quattordici, lo scorso febbraio, a scendere da Trento a Roma, per una strana manifestazione sulla giustizia, convocata da alcuni parlamentari ulivisti scontenti dell’andazzo compromissorio e quindi in odore di eresia. Sarebbe stata la volta dell’urlo di Moretti, che salendo sul palco a gridare "con questa burocracsia perderemo per altre tre generazioni!" avrebbe dato un elettroshock a tutta l’opposizione (vedi La sera in cui la nomenklatura rimase nuda).
Allora eravamo in 14; questa volta, convocati proprio da Moretti, siamo in duecento nei pullman; e sappiamo di altri che a Roma ci stanno andando per conto proprio. In questa differenza di numeri sta un’abissale differenza politica: un’opposizione sociale che è cresciuta, una coscienza civica che si è risvegliata e diffusa nella società, un governo che si è screditato. Sono fenomeni veri. Ma quanto profondi? "Servirà a qualcosa?" è l’interrogativo che aleggia nei pullman. Questa giornata forse ci potrà dare una prima risposta.
Intanto, noi veterani fra gli autoconvocati, rammentiamo quella prima volta del febbraio scorso. I papaveri dei partiti che, dopo aver boicottato l’iniziativa ("così si perdono voti"), saputo che c’erano 5000 persone, si erano fiondati sotto il palco; e poi a forza di spintoni, vi erano saliti, schierandosi a semicerchio, come la nomenklatura del soviet supremo, D’Alema, Fassino, Rutelli, Cossutta, Bordon, Di Pietro; e si erano dovuti sorbire, con smorfie varie, gli attacchi degli oratori, Pancho Pardi e gli altri, tutti estranei ai partiti, che più gli davano sulla testa, e più venivano applauditi dalla piazza; e poi c’erano stati gli interventi "politici", di Rutelli e Fassino, che inserito il pilota automatico avevano fatto girare aria in bocca senza dire nulla e ammosciando tutti. E poi… e poi era finita, anzi no, "Nanni Moretti ha chiesto di portare due parole di saluto". E Moretti, pur stravolto dalla rabbia, aveva iniziato con calma: "Io in genere sono pessimista. Ma questa sera, al termine di questa bella giornata, ho cambiato idea, ho capito che possiamo essere ottimisti". Poi cinque secondi di pausa, e dietro i papaveri, un po’ tesi, si rilassavano, Fassino e Rutelli si davanno pacche sulle spalle "...Fino a che non ho sentito i due ultimi interventi! - urlava - Con questa burocracsia che sta alle mie spalle perderemo per altre tre generazioni!" La piazza esplodeva in un boato, che accompagnava tutto il seguito dell’invettiva, mentre la nomenklatura bastonata, mesta, sgusciava giù dal palco. Quando Moretti finiva era rimasto solo Rutelli, impietrito.
Oggi è diverso. Siamo ancora autoconvocati, di politici trentini con un minimo ruolo istituzionale si vede solo l’eretico Passerini (e a Roma ci aspetta Kessler). Però non si respira più la rabbia, la sensazione di essere abbandonati e traditi da un ceto politico autoreferente e in combutta, se del caso, con il nemico. Le battute sono tutte contro Berlusconi. E D’Alema, a suo tempo martirizzato a Piazza Navona, che ora, con la solita aria sprezzante, ha dichiarato di preferire la Festa dell’Unità? "Ma che ci vada, se vuole…"
Questa è una Festa di protesta, secondo il felice slogan degli organizzatori: una festa appunto, con gente determinata ma serena, non un raduno di arrabbiati e delusi.
Via via ci accorgiamo di essere proprio in tanti. Intasiamo gli autogrill, riempiamo i parcheggi, invadiamo la metropolitana. Quando riemergiamo troviamo l’on. Kessler ad aspettarci: è assieme a Nando Dalla Chiesa e ai parlamentari dell’Ulivo che a febbraio tentavano, con l’iniziativa di Piazza Navona, di imporre il problema giustizia all’attenzione di un’opposizione in stato confusionale.
Ora quel tema è centrale, c’è scontro in Parlamento (il deprecato "muro contro muro"!) e proprio per questo noi siamo qui in centinaia di migliaia. Eppure Dalla Chiesa, Kessler, ecc. qui hanno - e di buon grado accettano - un ruolo marginale: fanno apprezzati comizi volanti ma non saliranno sul palco, riservato a professori, intellettuali, uomini di spettacolo.
E’ la retorica della società civile? Forse. O forse è una sana divisione di compiti, un doveroso ridimensionamento: oggi la politica non parla, ascolta. E così faranno Fassino e il pur acclamato e osannato Cofferati.
Quando arriviamo in Piazza San Giovanni è il disastro: di troppo successo si può morire. L’organizzazione evidentemente non è all’altezza. La calca è indescrivibile, dopo un po’ perdiamo i contatti tra di noi. Mi ritrovo solo, lontanissimo dal palco, che non riesco neanche a vedere, e lontano anche dagli ultimi altoparlanti. Bambini che piangono, genitori che non sanno che fare, gente che si sente male.
Con la forza della volontà riesco a seguire, in qualche maniera, il discorso di Moretti. Un discorso vero, in quanto aperto: non una serie di battute contro gli orridi e ridicoli avversari, ma un argomentare pacato seppur accorato, rivolto a tutti, popolo dell’Ulivo, politici, cittadini non schierati. Una ferma ma pacata denuncia della deriva cui porta il governo: dicono che tra di noi ci sia gente che ha votato per il Polo; non hanno sbagliato a venire.
Quando Moretti chiude, il vostro cronista alza bandiera bianca. E diserta. Con gli SMS ci rintracciamo in una decina, e decidiamo che è inutile continuare a soffrire nella bolgia. Sono passate le quattro del pomeriggio, dodici ore che siamo in ballo, andiamo in centro, a ristorarci in una qualche trattoria all’aperto. Roma ci accoglie in tutta la sua bellezza settembrina.
Torniamo alle sette: il metrò, i viali, sono pieni, stracolmi di gente con le bandiere, che contenta defluisce dalla manifestazione. "Abbiamo fatto tardi, è ormai finita" - ci diciamo, con acuti sensi di colpa. E invece no. San Giovanni è ancora piena, ma ora vivibile. Sul palco ai discorsi seguono le canzoni: Vecchioni, Mannoia, De Gregori… Mentre cala la sera, il clima è magico, l’impegno civile e l’emozione si fondono e ci uniscono, noi, cento, duecento, trecentomila, chi sa? e quelli sul palco. Si finisce a cantare tutti "Bella ciao", stonati peggio di Santoro. Ma con gli occhi lucidi. Non basterà certo per abbattere un governo sciagurato. E neanche per preparare un’alternativa credibile.
Ma forse si è iniziato a ricostruire una cultura, un nuovo senso comune. I tanti, tantissimi giovani presenti (da vent’anni non si vedevano a una manifestazione politica!) avranno qualcosa in più su cui riflettere e per cui - forse - spendersi.