Prodi, il ritorno del liberatore
Come Romano Prodi ha incarnato l’anti-Berlusconi. Cronaca, partigiana ma critica, della convention romana dell’Ulivo.
Vogliamo vivere": queste parole di Enrico Morando possono essere il riassunto più conciso della due giorni di convention della lista unitaria dell’Ulivo tenutasi a Roma. In particolare il senatore dell’area liberal dei democratici di sinistra si riferiva alla querelle del gruppo europeo di riferimento per la neonata lista e per le ritrite frasi del tipo "non voglio morire socialista" (pronunciate da Rosi Bindi) o "non vogliamo morire democristiani", proponendo di non guardare al passato ma sperare in un futuro che non solo permetta di essere vivi ma anche vincenti. Ma era tutta la coreografia e la stessa aria che si respirava nel palazzetto dello sport all’EUR a voler dare l’impressione che finalmente, dopo un lungo sonno comatoso, l’Ulivo ritornava in vita al termine di un durissimo inverno. Prima vivere, dopo filosofare: prima esserci come progetto, poi verranno le diatribe politiche che, tuttavia, restano sullo sfondo.
Il ritorno di Prodi sulla scena politica, come è stato detto da vari commentatori, ha assunto le forme dell’apparizione di un liberatore, dell’epifania dell’unico uomo che potrebbe salvarci dall’altro di Arcore autoproclamatosi messia e unto dal Signore.
Molti potrebbero dire che anche Prodi ha voluto gareggiare sullo stesso terreno di Berlusconi, quello dell’immagine e dello spettacolo. E così il professore ha fatto un’entrata trionfale sulle note di "Una vita da mediano" (la canzone di Ligabue) per segnare una netta contrapposizione, non solo politica, ma esistenziale tra i due leader; un diverso modo di concepire la vita e di guardare ai problemi dei cittadini.
Forse si può vedere anche da questo come l’Italia non sia un paese politicamente maturo e che la sua democrazia sia ancora zoppicante, poiché lo scontro politico diventa quasi duello personale e vitale. Tuttavia, in effetti Berlusconi è stato votato in nome di quella sua immagine virtuale di sogno e di positività, di scaltrezza e di abilità, di paternalismo e di speranza. Tutto ciò è ovviamente artefatto come il suo lifting, ma per qualche tempo è servito; ora però gli italiani cominciano ad essere stufi delle barzellette, delle pacche sulle spalle e dei violenti attacchi contro tutti. Per questo Prodi ha dovuto incarnare anche fisicamente l’alternativa di stile e di visione del mondo.
Ma Prodi è riuscito anche a parlare di politica, ponendo per la prima volta in maniera netta e inequivocabile la distanza con il Polo del demagogico Cavaliere. E così la platea si è infiammata quando Prodi ha affermato: "Da una parte noi, gli europeisti, dall’altra parte loro, gli euroscettici". E ancora: "A chi dipinge scenari a tinte fosche e a chi prospetta e in realtà vuole il ritorno alle contrapposizioni ideologiche degli anni della guerra fredda noi rispondiamo che questa è una descrizione di una fantasia malata". Basta dunque inciuci, bicamerali o accordi sotterranei che durante i governi dell’Ulivo hanno incredibilmente favorito non solo economicamente il Cavaliere (che nel quinquennio di centro-sinistra è riuscito a salvarsi dai debiti e a rilanciare Mediaset), ma anche - quel ch’è peggio - politicamente, presentandolo come un leader normale con cui magari incontrarsi e accordarsi. Una bella rivincita per Prodi anche nei confronti degli altri esponenti dell’Ulivo, in primis Massimo d’Alema, che ha dovuto di nuovo applaudire quel professore che cinque anni fa aveva sostituito a Palazzo Chigi.
Gli anni del nuovo governo Berlusconi hanno fatto forse capire ai dirigenti di centro-sinistra che il governo di destra fa (per sé, non per gli italiani) sul serio e che appare sempre di più un pericolo per il paese. Sembra così che il centro-sinistra abbia trovato per un momento un orgoglio e una passione che certo non sono sufficienti a costruire una politica vincente, ma sono certamente indispensabili. L’orgoglio di rappresentare le migliori tradizioni politiche e culturali del paese è stato uno dei leitmotiv della convention ed è stato molto applaudito un passaggio dell’intervento di Rosa Russo Jervolino che senza mezze misure affermava: "La destra non ha storia e quando ce l’ha è una storia di cui si dovrebbe vergognare".
Non si è parlato quasi per nulla di conflitto di interessi, ma il tema è stato plasticamente (e televisivamente) messo in scena da una sapiente regia che ha visto nell’intervento esterno di Enzo Biagi uno dei momenti più intensi dell’incontro. Si è così riusciti a vivacizzare l’assemblea alternando i discorsi ufficiali dei politici con interventi di cittadini comuni (gli operai delle acciaierie di Terni e i lavoratori della Parmalat, per fare un esempio) e con intermezzi, anche discutibili, per creare emozione, come nella presentazione di un fratello di uno dei carabinieri caduti a Nassirya.
Fin qui l’aspetto meno politico (e forse proprio per questo più riuscito) dell’assemblea; quando invece si passava ai nodi più programmatici e alle reali difficoltà del progetto di lista unitaria i toni si facevano più sfumati e passibili di diverse interpretazioni. Il problema ora è vincere le europee, questo è chiaro, e probabilmente non ci si poteva attendere molto da una convention progettata più come evento mediatico che come tradizionale congresso di partito.
Chi ha messo i piedi nel piatto sono stati paradossalmente sia i fautori della costruzione di un partito liberal–riformista (come possono essere i socialisti di Boselli e una parte dei Democratici di Sinistra), sia chi avversa questa prospettiva, come vari esponenti presenti trasversalmente in partiti, movimenti e associazioni, che vorrebbero incisive prese di posizione, primo fra tutti, sul tema della pace.
Ambedue queste posizioni presentano gravi inconvenienti: se la prima prospettiva, quella per intenderci "riformista", è certamente più chiara e più compiuta dal punto di vista politico, essa non fa però i conti con la sensibilità prevalente del centro-sinistra, che non vede certamente in Tony Blair il paradigma su cui costruire un Ulivo vincente. D’altra parte anche la prospettiva di un soggetto plurimo e pluralistico che potremmo definire "democratico", e che potrebbe costituire una terza via tra popolari e socialisti o tra liberali e conservatori, è ancora allo stato embrionale e presenta notevoli zone d’ombra. E’ chiaro che questa seconda ipotesi è coltivata maggiormente dalla Margherita e probabilmente anche dallo stesso Prodi, che potrebbe così egemonizzare anche culturalmente questo nuovo progetto.
Su questo punto D’Alema ha glissato in maniera forse volutamente evidente, affermando che dopo le elezioni europee viene l’estate e c’è quindi tutto il tempo per decidere come proseguire il cammino della lista unitaria. I nodi verranno dunque al pettine e saranno davvero di difficile soluzione. Ovviamente se si vince alle europee, altrimenti tutto va a monte.
Un accenno sui possibili contraccolpi del varo della lista unitaria in ambito trentino. Mi sembra troppo facile prevedere che non ci sarà alcuna novità di rilievo qui da noi: si troverà, con i soliti valzer di potere e nei soliti tavoli semioscuri, un candidato comune da votare e chi si è visto si è visto: un’altra occasione sprecata per cambiare qualcosa in questo centro-sinistra trentino.
Una visione pessimistica? Sarei davvero contento di essere smentito, ma le prime diatribe sul nome del candidato, senza un minimo di coinvolgimento dei pochi cittadini che vorrebbero impegnarsi, non lascia presagire nulla di buono.
L’unico elemento di novità è rappresentato dalla ritrovata fede ulivista del presidente Dellai che, stando a varie indiscrezioni, vorrebbe ritornare a frequentare con più assiduità la politica romana; in caso di vittoria dell’Ulivo nel 2006 potremo forse di nuovo avere - queste almeno le voci - un ministro trentino. Chi scrive spera che il ben noto fiuto politico di Dellai abbia colto ancora nel segno: nel senso che possiamo sperare di nuovo che l’Ulivo torni a vincere.