Dellai e il centrosinistra: l’amore è finito, restano gli interessi
Il fascino del “nostro leader” Dellai non c’è più, la base di sinistra lo contesta, gli ex-Dc lo aborrono. Lo sostengono, per interesse, le burocrazie di partito. Gli spazi che si aprono a una candidatura alternativa.
"Il dellaismo è una pericolosissima patologia della politica trentina; e la sinistra rischia di esserne un’escrescenza parassitaria." Con questa cruda immagine, volutamente ripugnante, il presidente di Italia Nostra, Giorgio Rigo, aveva messo i piedi nel piatto: non stiamo a menare il can per l’aia, il problema è il dellaismo. Quando poi sia Mario Raffaelli (già leader del PSI trentino) sia Gianni Kessler, deputato dell’Ulivo, si dichiaravano d’accordo con Rigo, e vi aggiungevano del proprio, il discorso era chiaro come il sole: la parte della sinistra trentina insofferente del Presidente della Giunta provinciale usciva allo scoperto.
Era questo il dato più rilevante della riunione della "Sinistra conciliare" tenutasi nei giorni scorsi a Sardagna, e faceva franare il tentativo dei promotori. Tentativo vagamente gattopardesco: cambiare tutto perché nulla cambi, inventare la nuova scatola "conciliare" per traghettare l’elettorato di sinistra a una rinnovata alleanza con Dellai.
Ci perdoneranno i lettori se entriamo in alcuni meandri della partitocrazia, ma lo riteniamo utile per capire tra quali aspri scogli navighi la politica trentina.
[/a]Dunque i "conciliari" (Giuseppe Ferrandi dei DS, e soprattutto il vice-presidente della Giunta Provinciale Roberto Pinter di Solidarietà, che provvedeva a finanziare il non economico appuntamento, buffet incluso) si prefiggevano l’obiettivo della convergenza finale su Dellai, in contrasto non solo con gli "estremisti" di Costruire Comunità (il raggruppamento di Passerini e Micheli) ma anche - anzi, soprattutto - con l’on. Olivieri.
Come mai? Perché Olivieri, diventato un ultras dellaiano ("Il leader ce l’abbiamo già, è Dellai e non si discute") da una parte è un serio concorrente alla vicepresidenza (e la sinistra trentina, nel suo degrado da "escrescenza parassitaria", si divide su chi dovrà essere il vicepresidente); e dall’altra postula un’aperta mutazione della sinistra stessa; che deve diventare non solo alleata della Margherita, ma come la Margherita, accaparrarsi lei le lobby, favorire lei le clientele. Per Olivieri la sinistra deve chiedere lei la Jumela e la PiRuBi; per Pinter la sinistra deve osteggiarle (salvo poi arrendersi quando Dellai pone tutti di fronte al fatto compiuto).
Ecco quindi l’obiettivo dei "conciliari": mantenere il patrimonio programmatico, serrare le fila, e poi andare più attrezzati a un confronto/contrattazione con il potente alleato.
Per essere credibili in questa proposta di riaggregazione a sinistra, occorreva però imbarcare qualcun altro: e l’unico disponibile era l’on. Mario Raffaelli, persona intelligente, capace, con tanta voglia di tornare alla ribalta politica, e attualmente isolato. Ma Raffaelli poneva una pregiudiziale: la sinistra conciliare doveva porre il problema delle primarie per individuare il leader dell’Ulivo, altrimenti lui con i conciliari non aveva nulla a spartire. Questi, di malavoglia accettavano, e nell’insipido documento di auto-presentazione inserivano tre righe pro-primarie. E qui cascava il palco.
Bastavano infatti quelle poche parole per far riemergere la questione base, sempre accuratamente nascosta sotto il tappeto: perché mai si dovrebbe ricandidare Dellai, responsabile di un governo inconcludente e disastroso (soprattutto per i tanto conclamati principi della sinistra)?
Questi i retroscena prima dell’appuntamento di Sardagna, che era diventato importante proprio per questo: avrebbe dovuto appurare quanta parte della sinistra era disposta a superare Dellai.
Dopo una breve introduzione di Ferrandi all’insegna di una scialba equidistanza, in cui non riusciva a pronunciare la parola "primarie", ci pensava Lucia Coppola, nelle vesti di insegnante, a portare nel dibattito la realtà: che erano le devastanti conseguenze sulla scuola, in particolare per le fasce sociali deboli, del previsto protocollo d’intesa con cui Dellai, in Trentino, anticipa la cosiddetta "controriforma Moratti" (vedi La “riforma” è un disastro: anticipiamola!).
Poi interveniva Rigo: "Il candidato naturale per una sanatoria verso corporazioni e gruppi di potere è Dellai; all’interno di una politica in cui il progetto, i programmi, sono solo decorazione; quello che contano sono gli accorpamenti partitici/corporativi. Mentre fuori c’è un mondo economico e sociale che sta inutilmente aspettando l’innovazione della politica."
Raffaelli: "Non ci sarebbero problemi se venissimo da quattro anni di buon governo, partecipato e condiviso. Invece non è così. Si dice ‘Con Dellai si vince’. Ma il problema è per cosa si vince, con quali prospettive per il Trentino."
Kessler: "Veniamo da quattro anni di politica debole, di veti, di riforme che non si fanno, di vittorie dei gruppi forti (vedi i 14 milioni di euro regalati alle Casse Rurali) e delle corporazioni di valle. Questa non è una politica che ci porta verso il futuro. E allora lo sbaglio maggiore sarebbe limitarsi a stilare due-tre punti programmatici che sarebbero le nostre bandierine, da portare al tavolo delle trattative, e poi far gestire al prestigiatore leader. E’ da rifiutare lo schema per cui la sinistra pensa all’ambiente, ai servizi sociali, e gli altri governano. O, ancor peggio, discutere e dividerci su chi nella coalizione rappresenti la sinistra come vicepresidente."
PPoi intervenivano i "governativi", coloro che hanno la seggiola e pensano di mantenerla grazie a Dellai: il sindaco Pacher e gli assessori Pinter e Andreolli. Pinter, in esplicita polemica con Kessler, ne rifiutava l’idea di un programma globale, rivolto all’insieme della società: "La sinistra cerchi gli elementi per una propria unità, per poi presentare il programma per una mediazione nella coalizione." Ma questa parzialità, questo sistema, non è già naufragato in questi tre anni?
Di fronte a questa constatazione i "governativi" annaspavano. Sulla scuola Pinter (che in sede di partito dice "non vorrete mica che rompiamo sulla scuola?") ammetteva "problemi", ma cercava corresponsabilità "nel sindacato, nella sinistra che non può difendere l’esistente" (dimenticandosi che in sede locale esiste un progetto Passerini e a livello nazionale una riforma Berlinguer); sui milioni graziosamente regalati alle Casse Rurali ammetteva "riserve sui metodi", però "non possiamo sottrarci ai problemi di un Trentino che non vuole essere travolto dalla competizione" e così lo rafforziamo con i regali di mamma Pat.
Pacher invece invitava a "far sì bilanci dell’azione di governo, ma senza flagellarsi"; ma poi come esempi di risultati positivi non trovava che "la variante al Piano Urbanistico Provinciale predisposta da Pinter, che fa male a non valorizzarla" (in realtà la variante, peraltro discutibile, non è stata approvata né lo verrà, perché sabotata - come confermava dieci minuti dopo Wanda Chiodi - dalla stessa Margherita) e "l’impulso alla ricerca" (quando tutto il settore tecnologico, da Informatica Trentina a Infostrutture è bloccato, per la politica dellaiana del carrozzone parapubblico gestito dai suoi fidi). Come prospettiva, Pacher proponeva di perdere tempo: "Diamoci alcuni mesi, per un grande confronto sul territorio, per sentire la gente".
La debolezza di queste posizioni, l’indifendibilità dell’esperienza di governo, veniva compensato con una sotterranea aggressività. Non nei confronti di Rigo (gli ambientalisti sono dati per persi) né di Raffaelli (considerato isolato), ma di Kessler, che è il deputato di Trento, e gode di troppa stima, nel popolo di centro come in quello di sinistra. Pinter tentava di essere velenoso: "Il bilancio dell’attività dovremmo chiederlo anche ai nostri parlamentari: ad esempio, cosa hanno fatto per opporsi alla legge Fini-Bossi?" come se Kessler invece che all’opposizione di Berlusconi, fosse - come lui con Dellai - al governo.
Così la "sinistra conciliare" franava. Era evidente l’impossibilità di tenere sotto lo stesso cappello chi contesta l’esperienza dellaiana, e chi vi si è accomodato come il topo nel formaggio. E se qualcuno ancora non capiva, il concetto veniva ripreso il giorno dopo da Kessler in un’intervista sul Trentino: "E’ emersa la differenza tra chi ha qualcosa da perdere (vicepresidenza, assessorati, o anche degli strapuntini qualsiasi) e chi non ha posti di rendita o di potere e lavora invece per il rinnovamento".
E infatti subito una riunione dei mini-burocrati dei partiti e partitini della sinistra incoronava Dellai come "candidato naturale" per il 2003. Con delle ambiguità: "candidato al 99%"; "a leggerla bene, la dichiarazione non è una candidatura definitiva"; "i discorsi si riaprirebbero se ci fosse un’altra candidatura..." - si affrettavano poi a commentare, per ripararsi da eventuali contraccolpi da una base assolutamente insoddisfatta.
"Cosa abbiamo a che spartire con un progetto basato su pilastri – PiRuBi, inceneritore, centri di potere, corporazioni di valle – che sono in contrapposizione frontale con il Trentino della qualità, della democrazia, con lo sviluppo alpino?" chiedeva a Sardagna Walter Micheli di Costruire Comunità.
E in effetti l’associazione di Micheli e Passerini, in quanto realtà (blandamente) organizzata, ma politicamente ferma e determinata, è la variabile che non torna nei conti della partitocrazia. Apprezzata nella base di sinistra, viene infatti elogiata in pubblico dai vertici ("utile momento di stimolo critico") ed esorcizzata in privato ("sono quattro estremisti" o, peggio, "non vorranno per caso presentare una loro lista?"). Lo stanco appiattirsi delle burocrazie sul dellaismo, ora apre a Costruire Comunità spazi immensi.
"Abbiamo di fronte un Trentino disponibile; pronto a sostenere un programma di sviluppo come quello contenuto nella Convenzione delle Alpi, continuamente citato e continuamente tradito - ci dice Micheli - Ma ora non dobbiamo più rivolgerci solo alla sinistra: noi dobbiamo rappresentare la parte di società che vuole il Trentino della qualità e non accetta le imposizioni di burocrazie e corporazioni."
Per andare avanti su questo percorso, Costruire Comunità ha indetto un’assemblea il prossimo 22 giugno, nella quale dovrebbe iniziare a configurarsi l’alternativa al dellaismo come alternativa di centro-sinistra, quindi oltre l’ambito(la sinistra) in cui finora ha soprattutto operato l’associazione.
Il punto è che anche nel centro, nel vasto mondo dei cattolici e dei popolari, corre ampia la disillusione per Dellai e il suo governo. Specialmente nel mondo del volontariato. "C’è un esteso malessere - ci conferma Piergiorgio Cattani, giovane impegnato nell’area della politica cattolica, autore del libro "Ho un sogno popolare" sul disincanto di quell’esperienza - vengono soprattutto imputati i metodi, le finalità spartitorie dalla Trento-Malè alla SIT, la consapevolezza che non viene perseguito un nuovo modo di governare."
Questo mondo, che tanto gli ha dato in termini di appoggio anche elettorale, è stato abbandonato da Dellai, che ne ha di fatto delegato la rappresentanza a Pacher: è il (vice)sindaco per esempio, all’uopo convertitosi, che tesse i rapporti con i Focolarini, va alle loro riunioni, segue Chiara Lubich fino a Roma, ecc. E Pacher non trama per il potere, sa parlare di idealità: però questo passaggio di consegne è un’altra spia dell’erosione del consenso di Dellai.
"Dobbiamo stare attenti a non attaccare Dellai - ammoniva infatti a Sardagna l’assessore diessino Remo Andreolli - perché il suo rapporto con il volontariato cattolico oggi regge grazie a noi; se noi ci separiamo, lo mettiamo in difficoltà con il suo elettorato". Traendone quindi la paradossale conclusione che la sinistra dovrebbe coprire le porcherie di Dellai che lo squalificano presso il suo elettorato, invece che denunciarle e sostituirsi come punto di riferimento.
Ma il popolarismo non si esaurisce nel volontariato. E il punto è che il dellaismo è entrato in conflitto anche con l’essenza dell’anima democristiana. La quale è stata sempre federale; la DC era un partito sintesi di boss e di correnti, di ispirazioni e di interessi contrastanti, con un’innata tendenza al complotto e al regicidio (tutti i presidenti della Giunta provinciale, da Kessler a Mengoni, fino a Malossini, sono stati detronizzati quando erano diventati troppo potenti). Questo era sì il sintomo di una degenerazione, ma anche di una sana e democratica insofferenza verso il potere del singolo: ora Dellai, che ha distrutto qualsiasi istanza democratica interna (la Margherita non esiste se non come gruppo di fedeli del capo) e annullato ogni dibattito, che irride alle primarie, che modella tutto il settore parapubblico a proprio feudo personale, è l’antitesi di questa storia democristiana. Ed infatti dai democristiani doc è detestato.
Su questo lui sta lavorando: e cerca di comperarsi, con favori, posti, promesse, contributi, tutti quelli che sono comperabili. Ma è un discorso che riguarda l’establishment, e non tutto. L’elettorato popolare, ex-DC verace, può facilmente sfuggirgli.
E’ per questi motivi che una lista di centro-sinistra, con un candidato (o meglio un ticket, presidente e vice-presidente) che sappia con programma e credibilità personali venire incontro alle tante aspettative di questa ampia area, avrebbe spazi e possibilità notevoli. Anche a prescindere dai veti delle peraltro screditate segreterie.
Vedremo.