Leaders
Centrosinistra e problema del leader.
La sinistra "unita e plurale" della nostra provincia mi sembra sempre meno unita e sempre più plurale. Prima c’erano i DS, Rifondazione, il PCDI, lo SDI, la Rete, Solidarietà, i Verdi ed il nostro direttore, Ettore Paris, che quanto ad intransigente ortodossia non la cede a nessuno. Ora abbiamo anche Costruire Comunità e, ultima arrivata, la Sinistra Conciliare riunitasi a Sardagna. Stringi, stringi, riuscendo con una certa fatica a decifrare il linguaggio piuttosto ermetico con il quale un po’ tutti si esprimono, si può scoprire che sulla sostanza dei programmi vi è una sufficiente ed incoraggiante armonia, anche se su enunciazioni ancora generiche come solidarietà, valorizzazione delle tipicità del nostro territorio, privilegiare più la qualità che la quantità dello sviluppo, senso del limite, snellimento burocratico e dell’autonomia. Con però un punto che resta, a mio avviso, abbastanza ambiguo: la civetteria della modernizzazione, che può avere anche contenuti reazionari, e che desta qualche sospetto quando è applicata soprattutto al mercato del lavoro. E’ evidente comunque che un progetto di Trentino futuro va meglio precisato, sullo sfondo di un’Europa e di un mondo sempre più invasivi anche delle nostre valli, ma penso che su questo terreno un confronto leale sia possibile e foriero di conclusioni unitarie.
Ciò che invece costituisce il casus belli mi sembra sia il problema del leader. Non tanto del leader della sinistra, quanto della coalizione, dell’Ulivo.
E’ su tale questione che le posizioni divaricano anche dentro la sinistra "unita e plurale". Ad essere maligni verrebbe fatto di pensare che la questione sia tenuta calda dall’inconfessata ambizione di qualcuno, dentro la sinistra, di candidarsi al ruolo di leader dell’intera coalizione. Se così fosse, sarebbe bene che ciò emergesse, perché il problema del leader si pone concretamente soltanto quando vi sono almeno due aspiranti. A me pare di vederne per ora solo uno. Se ve ne sono altri si facciano avanti.
La scelta del leader della coalizione è operazione importante e complicata. Importante perché le prossime elezioni provinciali attribuiranno al leader vincente un potere enorme. Complicata perché la politica da noi ha ancora una organizzazione imperfetta. Le primarie negli Stati Uniti hanno una consolidata disciplina che è impensabile poter improvvisare per il caso nostro.
La designazione del leader nelle democrazie mature europee spetta ai congressi dei partiti che competono in sistemi bipartiti. Noi invece, come in Francia, siamo ancora nella fase primordiale delle coalizioni, che appunto non tengono congressi unitari. Ciò comporta che la scelta del leader è affidata ai negoziati fra i vertici dei partiti. Non vedo come si possa uscire da questa strettoia.
Ma cos’è poi questo leader? Non è un comune dirigente, è qualcosa di più. E’ una guida, un capo, racchiude nella sua persona una sintesi di valori, è un simbolo. Deve avere una capacità di attrazione ma anche di comando, esprime un progetto di governo che media le contraddizioni dei suoi seguaci.
Ve ne sono di due tipi. Il primo è il leader nato, dotato di un temperamento volitivo, con scarso senso autocritico, assorbito interamente dal suo ruolo, nel suo intimo sprezzante del prossimo, spregiudicato nell’uso dei mezzi che ritiene utili ai suoi fini. Limitando la rassegna ai tempi nostri tali sono Berlusconi, Bossi e lo stesso Boso. Il secondo tipo è invece il leader costruito, espressione artificiale e talvolta artificiosa di un gruppo dirigente variamente omogeneo, che risponde più ad esigenze tattiche di breve periodo che a prospettive strategiche. Tale è Rutelli, o avrebbe potuto essere Amato.
Il primo tipo è certamente più efficace, ma anche più pericoloso per la democrazia. Infatti tutte le democrazie mature hanno leader di breve durata, del secondo tipo. Negli Stati Uniti addirittura per obbligo di legge, che vieta la terza candidatura presidenziale. A quale di questi due tipi appartiene Dellai?
La sua natura è un caso di sconcertante ibridismo. E’ una combinazione casualmente dosata di elementi propri di ambedue i tipi. Nella sua fase nascente, in dimensione municipale, erano prevalenti i caratteri del primo tipo: una naturale propensione ad occupare la scena, una dedizione esclusiva all’impegno assunto, un precipuo talento nel filtrare gli umori dei suoi accoliti ed esprimerli in efficaci e nobili formule ed iniziative di governo. Sull’onda di questo carisma accumulato nel noviziato comunale è divenuto il leader concordato della coalizione di centro- sinistra per l’assalto al palazzo di piazza Dante. Vinta la partita, dopo un esordio piuttosto maldestro, è iniziata la stagione degli attriti e delle frizioni con la sinistra: Jumela, aeroporto, Valdastico, da ultimo la scuola e l’inceneritore. E’ apparso assai più come leader della Margherita che di tutta la coalizione. E in questa sfasatura va ravvisata la fonte dei malumori che serpeggiano a sinistra nei suoi confronti.
Ma è colpa del leader o la causa di ciò va ricercata nelle differenze culturali che attraversano i partiti della coalizione? E’ il leader incapace di superarle componendole in una linea condivisa da tutti, o siamo di fronte a divergenze inconciliabili? Dellai come Rutelli ultima maniera, dunque. Un leader democratico e non populista deve tener conto di tutta la coalizione. Se no è inevitabile che la parte estraniata lo contesti.