New York tra insicurezza e orgoglio
I postumi dell’attentato, il World Economic Forum, i manifestanti, la polizia. Niente a che vedere con Genova...
In questi giorni a Manhattan si sono fatte le prove generali per un possibile stato di emergenza. L’efficienza americana ha dispiegato tutte le sue armi.
Come se non bastassero i percorsi oscuri dietro al crollo dell’Enron, notizia che domina da più di una settimana le prime pagine di tutti i giornali, i cittadini si sono dovuti preoccupare anche dei personali percorsi quotidiani; infatti tutta la zona attorno al Waldorf-Astoria, dove si teneva l’incontro del World Economic Forum (WEF) era sotto il presidio delle forze di polizia, mentre dalla radio provenivano insistenti raccomandazioni riguardo al comportamento da tenere in prossimità della zona blindata, e anche scegliere di usare uno zainetto poteva essere inteso come una sfida alla sicurezza. Più volte sono stati ricordati i disordini di Seattle e di Genova, in parte per esorcizzare la possibilità che si ripetessero. Né i newyorkesi, né i manifestanti, però, sembravano aver bisogno di eccessive raccomandazioni.
Questo è un Paese incredibilmente provato dall’11 settembre, sia da un punto di vista economico, come si può notare dai molti appartamenti in affitto, dai negozi fuori attività e dai prezzi alle stelle, ma soprattutto minato nella certezza della propria capacità di difesa.
I treni della metropolitana sono ancora tappezzati di "pubblicità progresso" che reclamizza aiuti terapeutici per affrontare il post-attentato, piccoli fogli con i ringraziamenti dei bambini ai pompieri o la scritta "Amo New York ora più che mai".
Il pericolo può annidarsi dappertutto e le misure di massima sicurezza scattano anche per manifestazioni come il "Giorno della Marmotta" (una manifestazione che trae origine da antiche tradizioni europee, durante la quale si attende la reazione di una marmotta alla vista dellla propria ombra per dedurne la data d’inizio della primavera), durante la quale, peraltro, non sono mancati riferimenti alla situazione internazionale, anche pericolosamente autoelogiativi e acritici.
La popolazione si dimostra unita nel desiderio di reagire ai problemi che l’attentato ha scatenato. La polizia cittadina, in altri tempi criticata per l’eccessiva durezza, gode di riflesso dell’incredibile popolarità dei vigili del fuoco, quindi è generalmente ben vista. Non spaventano le uniformi blu, che spesso forniscono indicazioni a turisti sperduti: soprattutto se chi si rivolge a loro è bianco e ben vestito.
Le reazioni degli americani non sono comunque così monolitiche e ottuse come si pensa in Europa, o come si potrebbe sospettare nel vedere dappertutto stelle e striscie.
Molte voci critiche si levano contro Bush, contro le operazioni militari, anche se i grandi network privilegiano il punto di vista del governo, che diventa l’unico, considerata la mancanza di approfondimenti critici, soprattutto nei notiziari televisivi. Così accade con molta più facilità di sentire critiche in piccole radio locali che non alla NBC o alla PBS. Anche per quanto riguarda il WEF, quindi, questi due aspettti presenti oggi nella società americana hanno giocato la loro parte. Nessuno voleva gettare New York nel caos, ma nello stesso tempo la tanto vantata democratica possibilità di esprimere le proprie opinioni andava esercitata in pieno.
Le misure di sicurezza sono scattate giovedì 31 gennaio, ma il culmine delle manifestazioni era previsto per sabato 2 febbraio. I cortei di protesta avevano un discreto numero di organizzatori principali, dei quali il più serio sembrava "Another World is possible". Gli altri gruppi sembravano per lo più decisi a fornire un’occasione di impegno divertente, l’equivalente di un club del libro con degustazione di vino e formaggi, o di yoga all’aria aperta.
Quali che fossero i loro intenti o i modi scelti per manifestare le proprie opinioni, si trattava di gruppi legalmente autorizzati.
Tutto all’insegna del massimo ordine. Una situazione affascinante, soprattutto per chi ha visto le immagini di Genova. Tutti sapevano che non era ammessa nessuna infrazione. La polizia era in assetto anti-sommossa, ma in realtà alle manifestazioni ufficiali nessuno si azzardava a compiere atti di violenza; del resto è stato detto chiaramente "Zero Tolerance" ed i poliziotti avevano il permesso di sparare.
La maggior parte degli arresti sono avvenuti fra sabato e domenica, con accuse di vario genere, come tentare di bloccare il traffico, o per assembramento non autorizzato.
Il sistema di spionaggio attuato dalla polizia ha permesso di stroncare sul nascere queste azioni, tanto che gli agenti parevano comparire dal nulla.
Oltre ad essere presente sulla strada quasi un poliziotto per manifestante, il dipartimento di New York poteva contare infatti su agenti in borghese, telecamere disposte intorno al Waldorf-Astoria ed elicotteri in volo sopra la città: uno spiegamento imponente.
Sui giornali, luoghi e orari di incontro dei "contestatori" sono stati pubblicati accanto al resoconto superficiale degli argomenti trattati dai magnati dell’economia mondiale.
Apertamente ci si vanta di aver dato la possibilità alla protesta di avvenire, di avvicinarsi più che in passato al WEF e di non aver sconvolto la città. La generale soddisfazione si accompagna ad un certo intento autocelebratorio, che conferma una volta di più una caratteristica degli americani. Che la gente comune sia d’accordo o meno, infatti, per i media questa è la terra dei buoni e dei coraggiosi, dove pace e tolleranza regnano incontrastate.
Sebbene la marcia di sabato sia stato l’evento più pubblicizzato, ci sono stati anche convegni, dibattiti e feste, come viene riportato in molti articoli del New York Times, dai quali emerge l’immagine di un popolo di manifestanti candido e idealista, quasi come se fosse un gruppo di bambini. Molte persone comuni che hanno cantato e urlato, si sono "mascherati" da Statua della Libertà, ma la loro voce è giunta attutita alle orecchie dei circa 3.000 ricchi e potenti che si affannavano ad arrivare alle varie riunioni fra ascensori intasati e cellulari vibranti.
La polizia afferma che il numero dei manifestanti si aggirava intorno ai settemila, mentre gli organizatori dei cortei parlano di un numero più vicino a 25.000 (ma senza fornire stime precise). Sia in un caso che nell’altro, cifre esigue rispetto ai 50.000 di Seattle e ai 200.000 di Genova.
I poliziotti impegnati erano circa 4.000: 201 persone sono state arrestate, ma uno solo deve affrontare serie accuse.
Le cifre sono importanti in questo caso, perché racchiudono tante risposte e raccontano tutta la storia, come nessuna parola può fare.