Una valanga di notizie
Informazione: tanto, di tutto e a qualsiasi ora.
Dopo un iniziale smarrimento, dovuto in parte al fatto che, al pari del cibo, le notizie vengono offerte ad ogni angolo di strada, mi sono dovuta ricredere: il New York Times non è l’unico quotidiano a disposizione dei cittadini. Sicuramente però è il più diffuso e, tristemente, non il migliore.
In un tranquillo week end di metà febbraio, reso più lungo dal lunedì di festa (si festeggiava il President’s Birthday, anche se ho riscontrato che non a tutti è chiaro di quale presidente si tratti), mi sono impegnata a leggere con attenzione alcuni quotidiani e settimanali. La prima cosa che mi ha impressionato è stato il costo dell’operazione: fra New York Times (75 centesimi, ma l’edizione domenicale, con inserti di vario genere arriva a costare tre dollari), New York Observer (75 centesimi), USA Today (50 centesimi) e le riviste (New Yorker, Life, People, Newsweek e Time Out), sono arrivata a spendere circa venticinque dollari. Considerato che un pasto decente si rimedia con 4 dollari e un cd appena uscito può costarne al massimo 18, risulta evidente che l’informazione ha un prezzo che la avvicina più ai beni di lusso che a quelli di consumo. Tesi che viene avvalorata nel riscontro televisivo; anche in questo campo, infatti, i telegiornali con approfondimenti interessanti sono offerti solo da televisioni a pagamento. Non che la situazione sia grave. I telegiornali dei canali "free" riportano tutte le notizie, inoltre per i canali "pay", non si parla di cifre astronomiche. Il servizio della televisione via cavo fornisce ben 100 canali per 39 dollari al mese. Tuttavia ciò che colpisce, ancora una volta, è il surplus. Come per il cibo, c’ è tanto di tutto, dappertutto e a qualsiasi ora.
100 canali, ma la maggior parte offre programmi che nessuno guarda. Ben 11 pagine di USA Today in pubblicità su 31 complessive. I telegiornali sono i veicoli patinati dai quali i giornalisti televisivi (ma qui si chiamano anchormen e anchorwomen e del giornalista hanno poco) bombardano lo spettatore con notizie tutte urlate e tutte indistinte. Un aspetto veramente positivo dell’informazione americana è che i fatti vengono ricordati ogni singola volta che il servizio viene proposto, quindi non si rischia di non capire cosa è successo o come si sta sviluppando la storia.
Nonostante l’attenzione fosse catalizzata dai giochi olimpici, attraverso le numerose pagine dedicate allo sport, un intrigante dibattito si offriva al pubblico: "A cosa porta spendere denaro pubblico per le scuole private?" .
In Ohio, fin dagli anni settanta, si sperimenta ciò che il ministro Moratti vorrebbe per il sistema scolastico italiano. Al fine di offrire la possibilità di scegliere una scuola privata per i propri figli anche alle famiglie di basso reddito, lo Stato fornisce un finanziamento fino a 2.500 dollari l’anno. A quanto pare, però, questo esperimento non ha avuto molta fortuna; infatti la Corte Suprema, il più alto organo giudiziario americano, si trova a dover decidere sulla incostituzionalità di tale finanziamento. Quello che sembrava un buon metodo per dare una chance in più agli studenti, si è trasformato in una trappola d’ignoranza:il dipartimento di Cleveland ha le più basse percentuali di diplomati di tutta la nazione. La maggior parte delle scuole in cui questi finanziamenti convergono appartengono a diversi ordini religiosi. I programmi spesso mischiano cultura e credo e i libretti pubblicizzano l’impegno a rinsaldare la fede. Ralph G. Neas, portavoce del movimento People for the American Way Foundation, contrario ai finanziamenti alle scuole private, commenta che ognuno ha diritto di vivere la propria religiosità, ma che è ingiusto chiedere agli altri contribuenti di pagare perché ciò avvenga. La discussione "A cosa porta..." occupava nell’edizione del 19 febbraio lo stesso spazio dedicato al viaggio di Bush in Asia.
L’Afghanistan è sempre di più un capitolo chiuso, un altro Paese da ricostruire dopo averlo salvato. Bush scatena ironia e critiche sia per gli azzardati discorsi sul prosieguo della guerra al terrorismo, sia per il previsto costo delle future operazioni militari, siano esse di attacco o di difesa. Qualcuno si è stufato di sventolare la bandiera, ma l’autocritica non si spinge fino al punto di domandarsi se non sia da cambiare qualche aspetto fondamentale dell’American way of life nell’assumersi il compito di unica superpotenza del pianeta.