Una legge uguale per tutti
Il "primato della politica" visto da sinistra (correttivo del mercato); e da destra (prevalenza del potere politico sugli altri e sulle leggi).
La politica non è molto popolare. Intendo nel senso che non è comunemente apprezzata. Anzi il tono prevalente con cui se ne parla è sprezzante. Non solo da parte dell’uomo qualunque, nei bar o nelle osterie, ma anche sulla carta stampata, nei dibattiti televisivi, nelle rubriche radiofoniche aperte al pubblico. "I politici" è un appellativo che spesso viene pronunciato con il tono con cui si proferisce un insulto.
Non è un sintomo positivo. Tradisce un diffuso sentimento di sfiducia, una primitiva estraneità alla prassi, con le sue ombre e le sue luci, della politica, un rifiuto ad impegnarsi per capire ed inserirsi nei meccanismi complicati e talvolta tortuosi di un costume democratico, Quali che siano le ragioni che determinano un tale diffuso stato d’animo, sta di fatto che serpeggia una acrimoniosa ostilità verso la politica.
E tuttavia sia da destra che da sinistra si proclama in più occasioni il primato della politica. Però questa uniforme invocazione del primato della politica ha significati radicalmente diversi a seconda se provenga da destra o da sinistra. Credo che sia, questo, un caso esemplare di come, con le stesse identiche parole, si intendano esprimere fatti totalmente diversi e persino opposti.
Per la sinistra il primato della politica è rivendicato come correttivo, addirittura come antidoto dell’economia. L’economia liberista, che si svolge secondo le regole di mercato, produce profitto e quindi ricchezza ( la "ricchezza delle nazioni" di Adam Smith), ma i mezzi usati per il suo esplicarsi ed i risultati ottenuti realizzano quantità enormi di sofferenze umane. I lavoratori dipendenti sono concepiti e trattati come impersonali anelli della catena produttiva e la ricchezza accumulata è distribuita in modo disuguale. La politica interviene a correggere e mitigare le inique distorsioni che sono congeniali ai meccanismi di mercato.
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è un portato della politica, e per esso il lavoratore è una persona titolare di diritti anche nel luogo di lavoro e non solo merce, insensibile fattore di produzione, prontamente sostituibile secondo i calcoli del padrone, come invece vorrebbe la logica di mercato. La salute, la cultura e la previdenza sono attività umane che, se organizzate secondo le regole di mercato, garantirebbero una adeguata tutela soltanto a chi le può pagare, creando vastissime zone di morbilità, ignoranza e miseria, se non intervenisse ancora la politica ad allestire i servizi sociali finanziandoli con i prelievi fiscali.
Il primato della politica dunque, secondo la sinistra, ha questo significato di alta civiltà, secondo il quale la politica appunto, è lo strumento attraverso il quale si affermano i valori di eguaglianza, fraternità e libertà per tutti, se non in opposizione certo in contrasto e contenimento degli effetti perversi del libero mercato.
Per la destra il rivendicato primato della politica ha un significato tutto diverso. Essa ha vinto le elezioni del maggio scorso. E quindi ha la maggioranza in Parlamento ed ha formato il governo della Repubblica. Queste sono le espressioni più alte del potere della politica, basate sul suffragio elettorale. Secondo il principio democratico tutto ciò e perfettamente giusto, giacché in democrazia è il consenso maggioritario del corpo elettorale che legittima il potere. Ma la destra non si ferma qui. Essa rivendica il primato della politica, cioè del suo potere, anche sugli altri poteri dello Stato. Sembra ignorare che il nostro non è soltanto uno stato democratico, ma liberal- democratico, cioè fondato sul principio democratico, vale a dire il suffragio elettorale, ma anche sul principio liberale della separazione e bilanciamento dei poteri, sul principio di legalità. Nessuno e nessun potere è legibus solutus, cioè al di sopra delle leggi. Anche il governo, anche la maggioranza parlamentare sono soggetti alle leggi, soprattutto alle norme costituzionali, principali fra queste le norme che sanciscono la separazione dei poteri e garantiscono l’autonomia dei magistrati. Quando la destra rivendica il primato della politica intende invece affermare appunto che il capo del governo, avendo ricevuto il voto della maggioranza degli italiani, non può essere giudicato da un tribunale della Repubblica per fatti commessi quando era un privato cittadino.
In questa arrogante pretesa è contenuto un pericolo micidiale per il nostro ordinamento liberal-democratico.
Su questa questione è pericoloso abbassare i toni dello scontro, come alcuni paludati e sedicenti saggi consigliano. Al contrario, è necessario elevare ancor più forte la denuncia, perché la legge deve essere eguale per tutti.