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Non un complotto: un colpo di Stato

Gli errori dei giudici, la verità su Tangentopoli, l'uso di potere esecutivo e legislativo per limitare (a fini privati) il potere giudiziario.

Giudicare è difficile. Per farlo bisogna prima conoscere, e già questo è un impegno gravoso e ad esito incerto. Ma molto più arduo è valutare, soppesare, distinguere le conoscenze acquisite, e quindi concludere con un giudizio. Giudicare implica una consumata familiarità con le regole della logica ed una matura conoscenza etica. E’ dunque perfettamente normale che l’esercizio di una così delicata funzione sia esposto al rischio dell’errore. E’ per questo motivo che il nostro ordinamento giudiziario prevede ben tre gradi di giudizio, nella ovvia supposizione che un triplice vaglio dei fatti renda l’errore meno probabile.

Io ho passato e passo buona parte del mio tempo a "censurare" le sentenze dei giudici. Vale a dire a criticare l’uso che essi hanno fatto delle loro attitudini intellettuali, a denunciare gli errori che mi paiono contenuti nelle loro decisioni. E’ questo il cammino rischioso ed affascinante della giustizia umana, ove accusa e difesa portano al giudice le opposte motivazioni di una scelta che infine deve essere fatta da uomini che non sono infallibili. Da quanto sento dire pare che vi sia un solo giudice infallibile, quello che troveremo nella valle di Giosafatte quando saremo chiamati al giudizio universale, ove non avremo appunto nemmeno la magra consolazione di un inutile difensore di ufficio. Gli altri,quelli di questo mondo, possono sbagliare.

Ma quando cadono in errore lo fanno in buona fede.

Naturalmente è anche accaduto che vi siano stati giudici mossi da motivazioni politiche. Quelli che processarono Socrate, l’autorità romana che condannò Gesù, i tribunali della Sacra Inquisizione, il consiglio di guerra che condannò l’ebreo Alfred Dreyfus, i giudici bolscevichi dell’era staliniana, i membri dei tribunali speciali fascisti, tutti questi sono esempi clamorosi di giudici politici. Ma noi, dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, viviamo in un ordinamento democratico che garantisce l’indipendenza dei magistrati, anche di quelli inquirenti, da ogni altro potere e dispone che essi sono soggetti solo alla legge e alla loro libera coscienza. Ciò non ha eliminato, come è ovvio, il rischio dell’errore. Ma per certo ha escluso ogni possibilità di sottoporre il singolo magistrato ad influenze politiche.

Vero è che all’inizio degli anni ’90 vi è stato un improvviso rigoglio di indagini e processi contro persone che avevano occupato posti importanti nella gerarchia del potere politico. Si dice che la magistratura con tali iniziative invase il campo della politica, quando invece è vero soltanto che i politici e gli uomini d’affari avevano essi sconfinato in un sistematico costume di illegalità penale. Si dice che le indagini erano a senso unico, trascurando che Burlando si fece qualche mese di galera, che a Milano furono indagati anche esponenti del PCI, che a Venezia il pubblico ministero Nordio perlustrò con inesausta tenacia le viscere più recondite della Lega delle Cooperative, che Greganti fu spremuto come un limone per mesi e mesi di accanita pressione. Se il PCI (o PDS) non fu travolto, come invece lo furono DC e PSI, non è perché sia stato risparmiato da una magistratura rossa, ma semplicemente perché il contagio che aveva subito era stato di gran lunga minore di quello che aveva infracidito i partiti che nella prima Repubblica avevano la gran parte del potere.

Oggi questa semplice verità sulla stagione di Mani Pulite è quasi del tutto ignorata. Persino da parte della magistratura viene una reazione timida e quasi impaurita agli attacchi che le vengono mossi. Non è vero che assistiamo ad un "complotto per delegittimare la magistratura". Ciò che avviene è assai peggio. Il proprietario di un’impresa che ha corrotto la Guardia di Finanza accusa i magistrati di avere scatenato la guerra civile e di avere condannato senza prove. Lo stesso personaggio, circondato da una corte di stretti collaboratori schiacciati sotto il peso di sospetti infamanti, è a capo del Governo e con i suoi avvocati difensori, portati in Parlamento, sfrutta la larga maggioranza di cui dispone per manipolare le leggi che lo avrebbero incriminato. Questo non è un complotto, è un colpo di Stato. E’ un attentato eversivo all’ordinamento costituzionale. Quando il potere esecutivo e legislativo vengono usati a fini privati per limitare il potere giudiziario si scardina l’ordinamento costituzionale, che non esiste senza separazione e bilanciamento dei poteri.

Un altro pernicioso rischio di questa scriteriata "guerra" contro il terrorismo è che, sotto l’emozione, l’enfasi patriottica e le paure da essa provocate resti coperta ed invisibile l’immonda molecolare metamorfosi del nostro ordinamento che è già iniziata. Se dopo il controllo delle televisioni, del Parlamento e del Governo anche la magistratura sarà ammansita, il cerchio eversivo sarà chiuso.