Ancora sulle rogatorie
La nuova legge voluta dal centro-destra ci allontana dall’Europa e rischia di vanificare anni di attività giudiziaria.
L’importanza della nuova legge in materia di rogatorie è sfuggita alla maggioranza dell’opinione pubblica, nonostante il clamore suscitato, sia perché non è stato spiegato il significato del termine, sia perché i commentatori non sono entrati nel merito della questione con esempi concreti. In tal modo lo scandalo si è consumato nella sostanziale indifferenza, e si è fatto un altro passo verso l’instaurazione di un regime che ci allontana dall’Europa.
Rogatoria significa richiesta e deriva dal latino "rogare" che vuol dire appunto domandare. Ogni Stato è competente per l’attività giudiziaria all’interno dei propri confini, non all’estero. Ma i rapporti commerciali e l’economia, così come la criminalità, sono diventati sempre più fatti transnazionali, specie ora con la globalizzazione, e le loro interazioni sono sempre più veloci: i miliardi ricavati da un traffico di stupefacenti o di armi possono essere trasferiti in pochi secondi da New York a Parigi o a Tokyo.
Qui nasce il problema: come si fa a perseguire un crimine quando l’imputato o le prove sono all’estero? Si utilizza l’istituto della rogatoria, cioè la richiesta al giudice straniero di compiere sul suo territorio alcuni atti giudiziari. Per esempio: interrogare l’imputato, arrestarlo, perquisire la sua casa, procedere a una intercettazione telefonica, sentire testimoni, verificare l’esistenza di conti in banca ecc., e di trasmettere i rispettivi atti. Salvo casi speciali e urgenti le rogatorie non avvengono direttamente tra i giudici dei vari Stati, ma devono passare per via diplomatica tramite il Ministero di Giustizia. Le rogatorie erano regolate dal vecchio codice di procedura penale dagli articoli 656 e seguenti. Dal 1989 vi provvede il nuovo codice di procedura con gli articoli 696 e seguenti, insieme con la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, le varie convenzioni con gli Stati esteri e, per quanto riguarda la Svizzera, con l’Accordo 10 settembre 1998.
Se la giustizia italiana è lenta, le rogatorie erano lentissime, quasi immobili, e rappresentavano a volte ostacoli insormontabili per colpire la delinquenza nazionale e internazionale. Il problema era ed è dunque di togliere gli ostacoli e di velocizzare le procedure. L’Italia c’era riuscita almeno con la Svizzera, durante il governo dell’Ulivo, con l’Accordo di Roma del 10 settembre 1998. Da allora lo scambio di atti e di informazioni avveniva senza particolari formalità, anche via fax, direttamente fra magistrato e magistrato, consentendo di colpire la delinquenza in "tempo reale", con enorme vantaggio per i processi di mafia, di riciclaggio, di corruzione, di compravendita di sentenze, di traffico di armi o di droga.
Tutto ciò ora è finito, almeno fra Italia e Svizzera, con la scandalosa legge approvata dalla maggioranza di centro-destra in Parlamento il 3 ottobre 2001 fra le roventi ma confuse polemiche riportate dalla stampa e dalla TV. Per dimostrarlo mi limiterò solo a qualche esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, essendo la materia molto tecnica e di non facile comprensione neppure per un magistrato o un avvocato.
La prima osservazione riguarda la strumentalità della legge: il Parlamento doveva limitarsi a ratificare o meno l’Accordo con la Svizzera del 10 settembre 1998, e invece ne ha approfittato per modificare gravemente alcuni articoli del codice di procedura penale, vanificando l’effetto dell’Accordo. Là dove si voleva raggiungere velocità e immediatezza, abolendo ostacoli e formalismi inutili, si ottiene lentezza o addirittura immobilità, ristabilendo alcuni ostacoli e creandone di nuovi che di fatto impediranno il raggiungimento della prova e la condanna dei colpevoli. Consideriamo per esempio l’art.729 della procedura modificato dalla nuova legge: essa stabilisce che la violazione anche solo formale (sbaglio di indirizzo, mancanza di una firma o di un timbro) "riguardante l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova (interrogatori, intercettazioni telefoniche, perquisizioni, testimonianze, n.d.r.) a seguito di rogatoria all’estero comporta l’inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova".
Si obbietta che la modifica normativa è dettata dalla legittima preoccupazione riguardante l’autenticità del documento o della prova. Se così fosse, a me pare che a fugare ogni dubbio sulla provenienza, legittimità e autenticità del documento o della validità della prova sarebbero state sufficienti le attuali norme del codice di procedura che già regolano la formazione della prova e la produzione dei documenti, senza perdere inutilmente tempo prezioso. Ma evidentemente era proprio questo lo scopo che la maggioranza perseguiva, insieme con la vanificazione dell’atto. Basti pensare che l’inutilizzabilità per vizio formale, anche solo estrinseco (indirizzo erroneo), determina la totale invalidità dell’atto, che non può essere semplicemente "regolarizzato" (correggendo l’indirizzo, apponendo il timbro o la firma mancante), ma deve essere rifatto ex novo.
Domanda: come può essere rifatta una intercettazione telefonica, che per sua natura è irripetibile perché occasionale ed effimera? Risposta: è impossibile, e la prova è annullata per sempre. Le stesse considerazioni valgono per le perquisizioni (che per esempio hanno portato alla scoperta di stupefacenti, che ovviamente sono stati sequestrati e la casa dove erano stati trovati è rimasta vuota: rifacendo la perquisizione non si trova nulla), o per l’esame di un testimone che nel frattempo è morto. Tutti atti inutili, perché per esempio sono stati indirizzati erroneamente alla Procura di Venezia anziché a quella di Padova.
La cosa gravissima è che queste nuove norme, che si muovono in direzione contraria a quella delle altre legislazioni europee, e sembrano fatte apposta per rallentare e bloccare la battaglia giudiziaria contro la criminalità organizzata (compreso il terrorismo di Bin Laden), non cominciano a valere da oggi per tutti i processi che hanno inizio, ma si applicano subito anche ai processi in corso, in qualunque grado si trovino, magari incominciati 10 anni fa. Lo stabilisce l’art. 18 della nuova legge, con conseguenze devastanti che porteranno col tempo all’estinzione di migliaia di processi e alla liberazione dei colpevoli. E’ vero che grazie all’opposizione dell’Ulivo si è riusciti a introdurre la norma che se gli atti inutilizzabili o nulli possono venir rinnovati "i termini di custodia cautelare possono essere sospesi", e lo debbono necessariamente nel caso dei reati più gravi (mafia, terrorismo, ecc.). Ciò però non impedisce, come è evidente, la vanifìcazione delle prove irripetibili.
E’ inoltre vero che anche la prescrizione resta sospesa durante il rinnovo degli atti ma, guarda caso, solo per coloro che si trovano in carcere, in base all’art. 18 della nuova legge che fa riferimento ai commi 3 e 4. Per coloro invece che si trovano in libertà (anche se accusati di reati gravissimi) per effetto di un particolare status personale (per esempio il deputato per cui la Camera ha negato l’arresto) la prescrizione continua a decorrere. Strano, non è vero?
Alla lettura del comma 5° dell’art. 18 della nuova legge il pensiero corre inevitabilmente a Previti che il Parlamento ha salvato dall’arresto e che ha ora un processo in corso, insieme con Berlusconi, con rogatorie in Svizzera per l’accusa di avere corrotto alcuni giudici e avere comprato la sentenza. In democrazia tutti dovrebbero essere uguali di fronte alla legge. Nei regimi nascenti, invece, cominciano le eccezioni, di solito riservate al capo tribù e allo sciamano di turno, ai nani della corte e alle ballerine, e naturalmente agli uomini d’onore.
A parte la battuta, voglio concludere queste prime riflessioni con la dichiarazione unanime della Associazione Nazionale Magistrati (che comprende anche la corrente di centro-destra): la nuova legge sulle rogatorie internazionali "ci allontana dal processo di costruzione di uno spazio giudiziario europeo" e rischia "di vanificare per l’ennesima volta anni di attività giudiziaria, incidendo su processi in corso".