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QT n. 17, 13 ottobre 2001 Cover story

Trento: l’ingombrante lascito di Dellai

Area Michelin, parco fluviale, Trento Nord, aree inquinate: il nuovo Piano Regolatore, stretto tra le aspettative della città, le pesanti eredità dell’era Dellai, le difficoltà progettuali. Le speranze, le polemiche, le prospettive.

"Ho chiesto la sostituzione dell’arch. Bocchi: che gli venga revocato l’incarico della progettazione della fascia lungo l’Adige" - ci dice a muso duro Aldo Pompermaier, consigliere dei Verdi (e quindi della maggioranza) al comune di Trento.

Il fatto che si sia arrivati - e dalle posizioni ambientaliste! – a un siffatto scontro con Renato Bocchi, consulente del PRG di Trento inviso alla speculazione, già autore dell’apprezzatissimo piano del centro storico oltre che del miglior libro sull’architettura della città, la dice lunga sulle difficoltà con cui procede il dibattito attorno al nuovo Piano Regolatore.

Il fatto è che il passato, anche recente, allunga le sue ombre sulla progettazione della città. Un passato segnato dal prevalere del partito della speculazione, che attraverso un rapporto – talora anche personale – molto stretto con i sindaci (quasi tutti), ha indirizzato l’espansione della città, un’espansione caotica, di scarsa qualità e vivibilità, che ha celebrato i suoi fasti nell’obbrobrio di Trento nord.

La città sperava, e spera tuttora, di trovare un riequilibrio, che estenda a tutto il territorio la bellezza, la vivibilità ora presenti nel suo bel centro storico e in alcuni quartieri di non recente edificazione. Due erano soprattutto le occasioni attorno a cui si erano accese le aspettative: la possibilità, attraverso le dismissioni di industrie e caserme, di riprogettare l’affaccio della città all’Adige, con la creazione di una nuova, ampia fascia di verde e servizi lungo il fiume; l’interramento della ferrovia, con l’eliminazione di una barriera, e la liberazione di nuove aree, importanti per tessere nuove relazioni tra parti della città.

Grandi le aspettative, quindi; accompagnate da un vago senso di insicurezza, o per lo meno di vigilanza: alla fine ci hanno sempre fregato, vuoi vedere che anche questa volta… Vediamo come stanno andando le cose.

Cominciamo dalla fascia lungo il fiume, motivo delle contestazioni a uno dei consulenti. Qui il problema si chiama area Michelin. "Lì c’è un peccato originale – spiega Roberto Simeoni, di Rifondazione Comunista – Una grande operazione culturale, di riorientamento della città è stata compromessa dal ben noto colpo di mano di Dellai nel luglio del ’98".

Abbiamo più volte riportato gli avvenimenti. Qui tiriamo le conclusioni: l’ente pubblico poteva entrare in possesso degli 11 ettari della ex-Michelin a un prezzo di favore (49 miliardi, cifra inferiore a tutte le stime) perché parallelamente forniva alla fabbrica francese il nuovo insediamento. Dellai, mentendo, in più riprese parlava di una spesa di 100 miliardi, a suo dire insostenibile; e cedeva l’opzione sull’area a una cordata di privati appositamente costituitasi, Iniziative Urbane, in cui confluivano i "poteri forti" dell’economia trentina (banche, associazioni, cooperative). Questa operazione, culminata nell’ordine del giorno approvato dal consiglio comunale del 31 luglio, accreditava definitivamente Dellai presso il mondo economico, che lo sosteneva nella successiva campagna elettorale: da allora, e per diversi mesi, i media locali lo avrebbero osannato come il grande leader in grado di salvare il Trentino. Un’operazione elettorale, personalistica, fatta sulla pelle della città.

Infatti, non avendosi voluto investire i famosi 49 miliardi acquistando l’area Michelin, da tutti ritenuta strategica, Trento si trova ora condizionata dagli interessi, a questo punto legittimi, di Iniziative Urbane. I privati di Iniziative Urbane non sono i classici speculatori (sul tipo di Pietro Tosolini, o del trentino Angelo Pallaoro, il cui appoggio peraltro Dellai si era assicurato con altre iniziative, da QT ampiamente documentate), però vogliono che l’investimento renda. E allora, nonostante le chiacchiere sulla "regia pubblica" l’area non è più destinabile a quei compiti che la città si aspettava: un grande parco con funzioni legate alla cultura, istruzione, sport, svago. No: l’area è di privati, deve rendere, quindi avrà funzioni residenziali e commerciali.

"Questo è l’equivoco di fondo" - ci dicono sia Pompermaier che Simeoni. Come pure, allargando le braccia, i vari tecnici che abbiamo interpellato.

Ecco quindi che chi si mette a progettare l’area si trova fra l’incudine e il martello; da una parte le aspettative della città, dall’altra quelle di Iniziative Urbane. In mezzo stanno le prescrizioni stabilite dal famoso ordine del giorno: degli 11 ettari dell’area, almeno 3,7 dovranno essere a parco e l’edificazione non potrà superare i 200.000 metri cubi. Iniziative Urbane è forte, e sa fare pressioni: sui giornali piange per i suoi 49 miliardi fermi; nelle sedi opportune preme perché gli almeno 3,7 ettari a parco siano al massimo 3,7 ettari, tentando di computarvi anche le strade; e soprattutto vuole, fortissimamente vuole, delle residenze, e nelle localizzazioni migliori.

E’ in queste condizioni che Renato Bocchi ha progettato il lungofiume.

Per valutare il lavoro, bisogna considerarlo nel suo insieme: l’obiettivo, scrive Bocchi nella sua relazione, è "la costituzione di un ‘parco fluviale’ a più stadi, che accolga come attività primarie quelle legate al ‘loisir’ e al tempo libero: sport-svago-spettacolo-turismo (legato al paesaggio, all’arte e alla cultura)".

Vediamo la traduzione sulla carta. Con l’interramento di ferrovia e stazione il parco dovrebbe essere collegato con Piazza Dante: abolito il cavalcavia, si passerebbe con un percorso verde fino all’attuale ponte di San Lorenzo, e poi nell’area del’ex-gasometro riconvertita a verde (oggi vi si prevedono i nuovi uffici comunali, che invece verrebbero spostati a Piedicastello); quindi l’area verde avrebbe una prima brusca riduzione di fronte alla cosiddetta "finestra sull’Adige", il grande (e peraltro non spregevole) complesso che si affaccia su via San Severino, omaggio di Dellai allo speculatore Pallaoro.

A Piazzale Sanseverino si avrebbe l’affaccio della zona universitaria , con la nuova grande biblioteca (n° 1 in cartina), collegata, attraverso il boulevard sopra la ferrovia interrata, alla nuova sede di Lettere (in piazzale Tommaso Gar), al mulino Vittoria, e ad una serie di nuove costruzioni per l’Università (2) al posto delle ex-centrali ortofrutticole, che si affacciano su una nuova lunga piazza (3); di fronte allo stadio si costruirebbe il nuovo ponte sull’Adige (4), che passerebbe sopra la zona verde delle ‘roste’ dell’Adige e Adigetto, per formare, nel luogo dell’attuale stadio, uno svincolo, al cui interno (5) dovrebbe sorgere un edificio dedicato all’accoglienza dei turisti.

Piantina e visione prospettica dell'area Michelin come progettata dall'arch. Bocchi.
Piantina e visione prospettica dell'area Michelin come progettata dall'arch. Bocchi.

Lo svincolo dovrebbe smistare il traffico in entrata, a nord verso il boulevard, a sud verso la nuova via Sanseverino (6; quella attuale, a fianco dell’Adigetto verrebbe cancellata per non interrompere la continuità del verde) che passerebbe – interrata nella prima parte – tra le Albere e la ferrovia, innestandosi a metà di via Monte Baldo; le Albere (7) verrebbero completamente liberate: più spazio (ma non tantissimo, c’è lo svincolo al posto dello stadio) a nord, a ovest (non c’è più via Sanseverino), a est (la ferrovia e la nuova strada sono interrate, è ricostituito il percorso fino ai Tre Portoni), e a sud.

A sud appunto si arriva all’area ex-Michelin. Che è divisa in due parti dalla nuova via Sanseverino: verso la ferrovia, non più interrata, una serie di edifici longitudinali ospitano parcheggi, terziario, residenze (8); verso il fiume c’è una fascia a parco (9), e una (separata dalla prima da un corso d’acqua artificiale, 10) che ospita il nuovo Science Center (11), una multisala (12) per proiezioni e spettacoli (già oggi l’Opera Universitaria gestisce il cosiddetto teatro ex-Michelin) e una serie di edifici che formano una sorta di quartiere; sul corso d’acqua sono strutture legate al parco: albergo, caffè, servizi (13) e all’interno un quartiere residenziale di lusso (14).

Proseguendo a sud, oltre l’area Michelin, via Sanseverino ridiventa boulevard, con le stesse funzioni, e il corso d’acqua entra nello spazio delle attuali caserme, dove dovrà sorgere il lido, con piscine coperte e scoperte. A seguire, il nuovo ospedale, con il parco sempre nella fascia lungo-fiume. Quindi il verde è costretto ad abbandonare il fiume, e piega all’interno per connettersi alla zona sportiva delle Ghiaie.

Le contestazioni sono state molteplici. Innanzitutto dallo stesso Comune, che non vuole ritardare la costruzione dei nuovi uffici, e quindi persevera nella localizzazione all’ex-gasometro (anche se superata dall’interramento della ferrovia). Con questo va a monte il collegamento verde con piazza Dante. E a quel punto le opposizioni danno per persa tutta l’area verde a nord di via Verdi, e propongono, per dare più spazio alle Albere, un ritorno a una precedente idea del ponte in asse con via Verdi, con la formazione di una rotatoria sull’Adigetto, che verrebbe parzialmente coperto. Non ci sembra una grande idea: invece di avere un percorso verde fino a piazza Dante, si troncherebbe quello che storicamente è sempre arrivato fino alla funivia per Sardagna.

Ma il contrasto vero è sull’ex-Michelin. Guardando le cartine non si capisce infatti che c’entri con il parco il quartiere residenziale. Ha una sola funzione: far guadagnare Iniziative Urbane. Le opposizioni e i Verdi hanno innalzato le barricate. "Vogliamo che gli ettari di parco siano tutti lungo il fiume, e la residenza tutta verso la ferrovia" - ci dice Pompermaier.

"Non facciamo lo scherzo di far passare il verde attorno alle casette come parco pubblico" - aggiunge Simeoni.

"Poche chiacchiere: l’area Michelin è lunga 330 metri, per raggiungere i 37.000 mq. (previsti dal famoso odg del consiglio comunale del ’98, n.d.r.) il parco deve essere largo 110 metri – ragiona l’arch. Giuseppe Filippin, della Lega – Noi vogliamo che dall’Adigetto alle costruzioni ci siano 110 metri a verde, cosa che il progetto Bocchi non prevede." (vedi l’area indicata con il numero 9 nella cartina).

L’arch. Sergio Dellanna, assessore all’urbanistica ad Arco, allarga il discorso: "L’urbanistica va collegata al senso che si vuol dare a una città. L’area Michelin è effettivamente strategica, per la sua centralità e visibilità; il problema è se la comunità vuole usarla per dare un’immagine forte di sé, rivolta sia al visitatore come a se stessa. Se ci sono ragioni forti, si può superare anche l’odg del Consiglio. Altrimenti ritorna l’impostazione del precedente PRG, secondo cui non si tratta altro che far arrivare al fiume la città, con un suo pezzo come tanti altri: e allora si prevede una zona mista, con terziario e residenze, e si realizza la redditività. Ma d’altra parte una ragione forte, un biglietto da visita della città, non mi sembra certo lo Science Center: Trento non è una città della scienza, è inutile che cerchi di darsi questa immagine".

Forse il progetto originario, ricordato nella relazione introduttiva di Bocchi, era quello giusto: la fascia lungo-fiume come zona sportiva, ricreativa, legata all’istruzione e alla cultura. Questa è l’identità che Trento cerca di costruirsi: città bella e vivibile, d’arte, turismo, cultura. Peccato poi che quando si scende alle scelte pratiche spesso si perda il bandolo della matassa. E lungo il fiume si facciano quartierini e ospedali.

L’altro punto caldo del nuovo piano è la sistemazione di Trento Nord. "Mission impossible" avevano commentato i consulenti. "Ma come è stato possibile costruire in quel modo?" aveva detto Joan Busquets, osservando il groviglio di edifici dall’alto del Doss Trento.

L’architetto catalano si è messo al lavoro di buona lena, probabilmente stimolato proprio dalla problematicità dell’impresa.

Piantina di ferrovia e scalo Filzi dopo l'interramento, come da progetto dall'arch. Busquets.

I suoi progetti evidenziano una filosofia chiara. "Si vede che le idee ci sono, è una progettazione molto marcata. Che parte da un presupposto: riparare all’incoerenza attuale di Trento Nord, aggiungendovi nuovi pezzi di città che abbiano un disegno urbano definito" commenta Roberto Bortolotti, presidente dell’Ordine degli Architetti.

Tutto ruota intorno all’interramento della ferrovia, e allo spostamento dello scalo Filzi. Ma le nuove aree così acquisite, non vengono, se non in parte secondaria, destinate a verde, come ci si sarebbe aspettato. Ci sarà il boulevard alberato (n° 1 nella cartina a destra), d’accordo; verrà ampliata e organizzata l’area a verde sportivo che oggi corre a ovest della ferrovia, nella zona del campo Coni (2); spazi a parco sono previsti nelle aree inquinate. Ma il grosso delle superfici liberate sono destinate a nuove costruzioni, coerentemente organizzate, ad iniziare dalla fascia che a est della ferrovia costeggia via Brennero (3).

Piantina e visione prospettica della nuova rotatoria, sostitutiva dello svincolo a Centochiavi, come progettata dall'arch. Busquets.
Piantina e visione prospettica della nuova rotatoria, sostitutiva dello svincolo a Centochiavi, come progettata dall'arch. Busquets.

Così per l’attuale svincolo di Centochiavi, per Busquets una schifezza. Lo riprogetta, sostituendolo (vedi cartina a fianco) con una rotatoria multipla. Circondata però da tutta una serie di nuovi, anche imponenti edifici: in maniera da creare una sorta di "effetto piazza", che dovrebbe costituire la Porta Nord della città. E così, le intersezioni delle varie strade di accesso, tangenziali, vengono sottolineate da edificazioni di impatto, sorta di visibile limite esterno della città.

"Sono interventi che ‘fanno luogo’ – commenta l’arch. Dellanna – A Trento Nord, dal momento che l’edilizia attuale è recente e quindi non sostituibile, Busquets procede per aggiunte; e bisogna dire che nel mondo professionale europeo è una delle personalità più qualificate a operare con questo metodo. A Barcellona ha rivoltato e riqualificato la città; ma vi ha lavorato per 15 anni; spero solo che il suo lavoro a Trento non sia una toccata e fuga."

Finora la città le ipotesi di Busquets, non le ha discusse. Probabilmente non le ha neanche percepite, dal momento che l’attenzione è tutta sull’interramento della ferrovia. Il fatto è che le due cose sono legate: la progettazione di Busquets (a differenza di quella di Bocchi) sta in piedi solo se c’è l’interramento. Ma anche viceversa: "l’interramento si potrà fare solo se si autofinanzierà in percentuale consistente – rileva Dellanna – Vale a dire se si edifica sulle parti che si liberano; se pensiamo di fare solo parchi e viali alberati, l’interramento è meglio che ce lo scordiamo."

E qui arriviamo a un altro tasto dolente: "A questo punto l’interramento è decisivo, senza di esso il piano Busquets non esiste – afferma Bortolotti – Ma questo intervento ha sì raccolto moltissimi favori, ma pochissimi studi e approfondimenti."

Infine le aree inquinate (n° 4 nella cartina sopra). Gli ultimi studi hanno fatto ancora salire il costo delle opere di disinquinamento: 300 miliardi, se si vuole una bonifica integrale. Il che è difficilmente comprensibile. Il livello di disinquinamento (e il costo conseguente) dipende dalle destinazioni dell’area: più l’area sarà frequentata (residenze) più si dovrà spendere per ripulirla, minor frequentazione (parco e parcheggi) minor spesa. Dopo le abominevoli proposte di Dellai da sindaco (il nuovo ospedale nell’area inquinata di proprietà di Tosolini,) neanche il sindaco Pacher scherza: disinquinamento totale, lì si deve costruire quello che si vuole. Naturalmente paga Pantalone, e ci guadagnano gli speculatori che quelle aree se le sono comperate per una manciata di miliardi.

Ma perché mai si dovrebbe disinquinare in maniera radicale?

"All’interno della complessiva visione di Busquets, le aree Sloi e Carbochimica sono la conclusione del boulevard. E’ quindi logico utilizzarle al meglio, nella visione del progetto generale – afferma l’arch. Bortolotti - Solo che non è detto che l’amministrazione questi soldi debba spenderli subito. Intanto lì si progetta la città, la realizzazione verrà a tempo debito."

"Mah, la politica ha deciso che per forza deve essere una bonifica integrale, e allora per forza si dovranno spendere 300 miliardi, che è una cifra pazzesca – sostiene Dellanna – Spero solo che a questo punto si proceda all’esproprio del terreno, e al suo valore attuale, che è tendente a zero; e non a quello post-bonifica."

Logico. Ma la vedete voi l’attuale Giunta comunale espropriare Tosolini & C, ottimi amici di Dellai?