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Sull’orlo del videopoker

Sparizioni, suicidi, vite azzardate in un gioco da bar.

Paolo Graziani

Ha senso rovinarsi la vita sperando di sbancare una macchinetta truccata? La risposta parrebbe scontata ma c’è chi lo fa, ed è sempre meno un caso isolato. Il video poker non è più solo un argomento su cui si scatena la solita rapida, fracassona e inconcludente sarabanda dei media. E’ un dramma reale, uno dei tanti tunnel artificiali in cui si trovano immerse persone di ogni età, dal ragazzino col primo lavoro in tasca al pensionato frastornato dalla solitudine, dalla casalinga frustrata all’artigiano col mutuo da pagare.

Entrate in un bar, uno qualsiasi, e troverete almeno una di queste infernali macchinette, più spesso tre, quattro, cinque, dipende solo dalle dimensioni del locale; ma soprattutto vedrete davanti ad esse qualcuno convinto di poterla spuntare, di fare il colpaccio. La gabbia gli è già calata intorno, quando si sveglierà sarà probabilmente troppo tardi.

Quattro storie, alcune anonime ma tutte vere, per far capire a che punto stiamo. Un ragazzino, poco più che ventenne. Alla sera ha appuntamento con gli amici per la discoteca. Passa mezz’ora, un’ora, lo aspettano, non si presenta. Così la sera dopo, e quella dopo ancora. Finalmente gli chiedono: cosa sta succedendo? Crolla: nell’ultimo mese, dopo una vincita occasionale mai più ripetutasi, confessa di essersi giocato sette milioni, ed aver aperto un mutuo con una banca per poter far fronte al debito.

Un artigiano di Bagnacavallo, Bruno Forni, scompare nel nulla; da tre mesi lo cercano tutti, tv, giornali, carabinieri, nessuna traccia. Di lui si sa solo che in pochi mesi ha dilapidato al video poker i proventi della vendita di una casa. Finito in fumo insieme al suo piccolo gruzzolo: fuggito, suicida?

Un ex tossicodipendente esce da una comunità apparentemente recuperato, ma evidentemente la fragilità è ancora sua compagna. Scopre i video poker e in trenta giorni lascia nelle macchinette trenta milioni. Torna in comunità per disintossicarsi da una nuova dipendenza; pochi giorni e poi fugge, di lui più nessuna traccia.

Un uomo, già con tendenze depressive, cade nella trappola psicologica del video poker. In poco tempo perde molti soldi: è la goccia che fa traboccare il vaso. Al culmine della disistima di se stesso si toglie la vita.

Storie limite, di individui già predisposti al crollo? No, storie di un fenomeno preoccupante che sta divenendo piaga sociale, tollerata e sottovalutata. Non dalle forze dell’ordine che stanno attuando controlli e interventi sul territorio; ma le armi a disposizione sono poche: il gioco è legale, ciò che è vietato è pagare in contanti le vincite, che dovrebbero essere tramutate in buoni consumazione. Ma è proprio qui che nasce un rapporto fiduciario, una collaborazione fra vittima e carnefice. Al giocatore piace riscuotere il denaro e al barista conviene pagare in soldi, perché sa bene che buona parte della vincita, se non tutta, tornerà ad essere fagocitata dalle sue macchinette. E proprio sulla gestione degli apparecchi si sta concentrando l’attenzione degli investigatori.

Alcuni baristi addirittura se le comprano. Potendo disporre così della chiave d’apertura del vano denaro, possono tarare il gioco sul taglio di banconote che vogliono. La legge proibisce i grossi tagli, dalle 50.000 lire in su, ma spesso questa regola viene violata. Per cui risulta difficile un controllo incrociato fra crediti maturati (conteggiati dalla macchinetta) e consumazioni, perché è falsato il rapporto reale delle vincite. I baristi inoltre non sono tenuti a conservare un registro delle vincite pagate in consumazioni, per cui risulta impossibile qualsiasi controllo. E’ punita solamente la flagranza di reato, ovvero quando il barista paga in denaro la vincita all’avventore in presenza di un tutore dell’ordine. Il che capita assai di rado.

La maggior parte delle macchinette viene data a noleggio da ditte specializzate. Pare si stia realizzando un vero e proprio controllo del territorio da parte di queste ditte, che si stanno spartendo le zone di competenza, riducendo così la competitività fra loro e realizzando profitti sempre più alti. I gestori più grossi sono non più di 2-3, tutti localizzati comunque nella nostra provincia. Quasi mai, per invogliare il barista, fanno pagare il noleggio della macchinetta, che si paga abbondantemente da sé ogni costo. Di solito la percentuale lasciata all’esercente va dal 20% fino al 30%.

Come reagire? Molto potrebbe essere fatto in chiave legislativa per scoraggiare la diffusione delle macchinette mangiasoldi; e poi sarebbe buona cosa inviare qualche segnale. Perché ad esempio i circoli Arci non cominciano per primi a dare il buon esempio togliendo dai loro locali queste macchinette?

Diversamente suona beffardo occuparsi di problemi sociali, ragionare di soluzioni e massimi sistemi, quando nella realtà la gente comune, oltre a dibattersi nelle ansie quotidiane, deve difendersi da trabocchetti subdoli disseminati ad ogni angolo.