Non per soldi...
Il boom dell’azzardo, fra gratta e vinci, superenalotto e videopoker; e le sue motivazioni
Una lunga serie di vetrine oscurate, loghi colorati, disegni di uomini accompagnati da belle donne e champagne, tanto champagne. Questo l’aspetto esteriore, una diversità immediata, e una conseguente curiosità; che si deve però arrestare di fronte alla totale impossibilità di scorgere qualcosa dell’interno. Da quelle vetrine non trapassa un filo di luce, e a chi si chiede come funzionino le cose lì dietro, senza il sole, senza punti di riferimento, non resta che entrare. Lì non troverà punti di riferimento, non ci saranno orologi, il senso del fluire del tempo verrà sospeso, la completa impermeabilità di quelle vetrine che demarcano così nettamente gli spazi normali da quelli in cui la normalità viene sospesa, sarà l’elemento essenziale della creazione di un nuovo mondo, quello del gioco e dei suoi giocatori.
All’interno delle sale, con grande disappunto di chi si aspettava le promesse atmosfere da casinò, ci sono soltanto slot machine. Alcune molto belle, per carità, ma rien ne va plus mica lo dicono. Le donne tendenzialmente non ci sono, di giovani belle e disponibili non se ne parla, e il barman che somministra champagne a destra e a manca è sostituito da un volgare distributore automatico di lattine. Da qualsiasi parte ci si giri, solo luminose slot machine, ognuna con il suo jingle ripetuto ad ogni partita, ognuna con le sue luci e la sua piccola narrazione che colora i pulsanti e che determina il tipo di simboli che si vedranno comparire sui rulli. In queste sale, prive di qualsiasi attrattiva per l’osservatore disattento che veda nelle slot machine delle semplici macchinette e nei giocatori dei sempliciotti, in realtà, ad ogni euro inserito si gioca una partita enorme. Premendo un tasto, si scatena un incrocio di forze cosmiche, intellegibili soltanto da pochi esperti attraverso cabala, amuleti, presagi, sogni e ignoranza statistica: sono solo pochi secondi ma, nonostante la parvenza di noia e ripetitività, sono in grado di lacerare l’animo di chi gioca, di portarlo a provare emozioni fortissime, di condurlo su su all’onnipotenza per poi scaraventarlo nel baratro della sconfitta. Il tutto premendo sempre lo stesso tasto. I soldi, in tutto questo, vanno e vengono, chiaramente molte volte vanno e poche vengono, ma hanno un’importanza relativa, sono un mero simbolo. Il giocatore non gioca per arricchirsi, gioca per sfidare la sorte, per avere un responso dall’oracolo circa il suo destino. La vincita serve per continuare a giocare, non è un fine in sé. È per essere in un certo senso fine a se stessa, che possiamo ancora chiamare quest’attività “gioco”, ed è per questo stesso motivo che il giocatore non va considerato come uno sciocco che tenta di arricchirsi nel modo sbagliato. Il lato economico è trascurabile, quel che conta è la propria posizione nei confronti del fato.
Il destino in tabaccheria
Oltre le sale da gioco dedicate, l’orda di giocatori seriali investe anche altri luoghi, come i bar; o le tabaccherie. Anche tra sigarette e francobolli si annidano le imperscrutabili forze del destino. Qui la questione muta sensibilmente, perché si trattano altri tipi di giochi, come le grandi lotterie nazionali e il superenalotto. Ma anche in questo caso, paradossalmente, la possibilità di una ricompensa economica, talmente infinitesimale da essere nulla, è del tutto secondaria rispetto alla voglia di sfidare il caso. Non è certo la spinta ad arricchirsi quella che muove un giocatore a partecipare ad un gioco in cui la possibilità di vincita è una su 600 milioni (superenalotto), altrimenti sì, potremmo dire che ogni giocatore è un babbeo. Si gioca così, per vedere come va. È altresì statisticamente noto che tendano a giocare di più individui con un basso livello culturale ed economico. Ma anche alla luce di questo dato, il gioco non deve sembrare tanto un modo per fare soldi. Il numero di probabilità di vincita è troppo, troppo esiguo per convincere una persona che quello è il canale giusto per diventare miliardario. Il gioco diventa quindi un modo per tentare di prendersi rivincite, sempre simboliche, e le giocate sembrano più una specie di protesta da outsider del sistema, di chi non può o non vuole sperare nella piena realizzazione di sé attraverso i canali tradizionali come il merito, o quello scivoloso delle conoscenze, e punta così nel colpo di fortuna abbandonandosi al caso e incrociando le dita. Non gioca chi ha pochi soldi, ma chi ha poche speranze.
Va da sé che visioni di questo tipo molto spesso possano accompagnarsi ad una forte fede nel destino, con il conseguente sviluppo di un’intricata cabala attraverso la quale leggere ogni istante del quotidiano, fino ad arrivare al fatalismo. E infatti fatalismo significa convinzione, più o meno esplicita, che le proprie forze nulla (o poco) possano nel determinare la propria vita. Insomma, ciò di cui un paese in piena crisi economica e sociale non ha assolutamente bisogno. È forse in questa chiave che il gioco può essere letto come un problema culturale italiano, coinvolgendo, almeno una volta l’anno, il 60% della popolazione. Certo non tutti si giocano lo stipendio, ma la tentazione di farsi una puntatina quando il jackpot del superenalotto è bello gonfio, è alta e i picchi di incassi in queste occasioni ne sono una testimonianza. A questo proposito sono piuttosto eloquenti i dati elaborati dal Censis, secondo cui in Italia, la spesa media pro capite in gioco d’azzardo si aggira attorno ai 1100 euro annui. Che oltre ad essere una cifra di tutto rispetto, ricorda vagamente lo stipendio medio mensile.
Dalla tabaccheria alla sala da gioco, il succo è lo stesso. Eppure una qualche differenza c’è, ed è di fondamentale importanza, ma non riguarda tanto le caratteristiche intrinseche del gioco, quanto la sua reperibilità. L’attività del gioco (intesa in senso ampio) non è caratterizzata soltanto dall’essere fine a se stessa, come abbiamo detto, ma da un altro elemento fondamentale, e cioè una precisa delimitazione. Il gioco inizia e finisce per definizione, ha un suo luogo e un suo tempo. Cessa di essere gioco quando sconfina nella quotidianità prendendo il sopravvento. È chiaro, dunque, che se le slot machine fossero confinate nelle sole sale, reperire quel luogo e quel tempo richiederebbe quantomeno una precisa volontà di giocare. La recente diffusione capillare di queste macchine però, rende il momento del gioco reperibile in ogni istante, diventando così uno svago non solo per gli amanti del genere, ma per tutti. Una cosa è infatti uscire di casa diretti verso una sala da gioco, altro conto è puntare qualche euro mentre il barista ti serve la birra, oppure giocarsi il resto delle sigarette dal tabaccaio per non avere spiccioli in tasca.
Il boom
Categorie di giochi | Spesa dei giocatori (miliardi di Euro) | Entrate erariali |
---|---|---|
Lotto | 6,8 | 1,7 |
Giochi numerici a totalizzazione nazionale | 2,4 | 1,1 |
Lotterie | 10,2 | 1,3 |
Giochi a base sportiva | 3,9 | 0,2 |
Giochi a base ippica | 1,4 | 0,1 |
Bingo | 1,9 | 0,2 |
Apparecchi | 44,9 | 3,9 |
Giochi di abilità a distanza | 2,3 | 0,1 |
Giochi di carte organizzati in forma diversa dal torneo e giochi di sorte a quota fissa | 6,2 | 0,04 |
Totale | 79,9 | 8,7 |
Anno | miliardi di Euro |
---|---|
2006 | 35,2 |
2007 | 42,1 |
2008 | 47,5 |
2009 | 54,5 |
2010 | 61,4 |
2011 | 79,9 |
Questa straordinaria diffusione non ha mancato, naturalmente, di generare utili consistenti. Nel 2011, la raccolta di denaro da parte delle slot e apparecchi elettronici certificati AAMS (Amministrazione autonoma monopoli di stato, che autorizza le imprese a fornire gioco d’azzardo legale) è stata di 44,9 miliardi di euro (vedi tab. 1) pari alla metà della spesa complessiva in gioco d’azzardo. È una fetta di mercato enorme, che surclassa i tradizionali lotto e scommesse sportive, specie se si pensa che, nel 2006 (quindi, prima della liberalizzazione delle slot), la spesa complessiva in gioco era di “soli” 35,2 miliardi di euro (vedi tab. 2). La quantità di gioco totale, insomma, ad oggi è più che raddoppiata, arrivando ad un totale di 79,9 miliardi di euro. Ma non è soltanto la liberalizzazione delle slot ad aver determinato questo enorme salto in avanti. Anche i giochi tradizionali si sono evoluti, e più in generale, l’offerta complessiva si è ampliata enormemente. Si pensi ai gratta e vinci (in tab 1 presenti come “lotterie”), le cui tipologie si sono moltiplicate per costo, probabilità di vincita e modalità di vincita (l’allettante rendita a vita), ma anche a un vecchio classico come il lotto, che da poco propone una varietà la cui estrazione avviene ogni 5 minuti, continuativamente dalle 7 del mattino a mezzanotte (“10 e lotto”). Il mondo va più veloce, consuma più velocemente, ci si deve adeguare, e il lotto non se lo filava più nessuno, bisognava cambiarlo.
Infine il gioco online e la sua permeabilità pressoché illimitata, che ancora sfugge in parte al monopolio statale, causa la difficoltà di bloccare siti stranieri non autorizzati. In quei siti salta la certificazione AAMS, e le poche garanzie di trasparenza da essa garantite. In Italia, la registrazione di un utente ad un sito che fornisce la possibilità di giocare d’azzardo è piuttosto complicata, ci sono limitazioni settimanali alle puntate (comunque in un certo senso aggirabili), e bisogna infine inviare un documento d’identità valido per confermare la propria registrazione. Le barriere all’entrata ci sono, non è una cosa che si fa proprio in due click, e il giocatore occasionale sarà scoraggiato a registrarsi. Come ci dice Peppino Ortoleva, professore all’Università di Torino, con cui abbiamo parlato e che ci ha fornito alcuni degli spunti presenti in questo articolo, i siti italiani non sono molto importanti, non è li che si gioca. Gran parte del mercato di gioco online, insomma, non si lascia leggere nelle statistiche, rendendo parte del fenomeno difficile da quantificare. Quel che è certo è che anch’esso sta conoscendo una grande espansione, e che le potenzialità di questo settore sono molte.
Insomma, c’è un’offerta vasta, capillare, in continua evoluzione; dietro cui si cela un settore industriale particolarmente florido, in grado di rinnovarsi in continuazione. Diciamolo, con ironia, un pizzico di eccellenza made in Italy. Secondo dati forniti dalla Confindustria, l’intera filiera industriale che ruota attorno al gioco d’azzardo, dalla costruzione di apparecchi per l’intrattenimento, alla produzione di giochi come il gratta e vinci, ma anche alla produzione di servizi molto avanzati nel campo dell’informatica e della sicurezza online, raggruppa circa 1.600 aziende, con un fatturato per azienda di circa 4,1 milioni di euro. All’interno di questa filiera, troverebbero impiego dalle 13.000 alle 15.000 persone, e se si estende lo sguardo sino ai tradizionali canali di vendita (pubblici esercizi e tabaccai) si può stimare un’occupazione equivalente di circa 70.000/80.000 posti di lavoro. È un settore insomma che ha una certa rilevanza anche a livello occupazionale, propenso a molto investire e continuamente innovare.
Detta così, non si potrebbe desiderare di meglio, ma c’è qualcosa di più, e cioè, com’è noto, un bel ritorno in termini economici per il grande monopolista ingordo, lo Stato, che si è sempre approfittato della gran voglia di giocare dei suoi onesti cittadini per fare cassa. Basti ricordare come, in occasione del terremoto in Abruzzo dell’aprile 2009, con l’obiettivo di procurare fondi per la ricostruzione delle città terremotate, vennero liberalizzate proprio le macchinette, venne rinnovato il lotto e introdotto il gratta e vinci con vitalizio, che riscuote tutt’ora un bel successo. Ad oggi, l’entrata annuale netta per lo Stato è di ben 9 miliardi, cifra destinata ad aumentare assieme alla quantità di giocato (mentre, per inciso, L’Aquila rimane tutta da ricostruire).
Gli effetti collaterali
Sembra tutto più o meno in ordine. Il gioco d’azzardo genera movimento nell’imprenditoria, occupazione e investimenti, svaga le persone e in più diventa una specie di tassa ad adesione volontaria che può rimpinguare l’esangue portafogli statale. La sua legalizzazione lo toglie dalle mani delle organizzazioni criminali, e offre anche qualche garanzia in più al consumatore. Tutto ciò è verissimo, ed è certamente un bene che una certa forma di gioco d’azzardo venga tollerata dallo Stato. Personalmente preferisco una scommessina su una corsa di cavalli piuttosto che su un combattimento clandestino di galli. Tuttavia non bisogna dimenticare che si ha a che fare con un gioco, nel vero senso della parola. Non è una tassa, non è una possibilità di salvezza per gli esclusi. E come ogni gioco, porta con sé il grande coinvolgimento emotivo di chi vi partecipa. E questo elemento c’è sempre, è condizione necessaria, altrimenti la persona non giocherebbe, e si dedicherebbe ad altro. Quando questo coinvolgimento emotivo, che tutto travolge e sovrasta (pensiamo a quanto è in grado di emozionare una partita di calcio), trascina con sé una componente ambigua e preziosa come il denaro, allora si rischia di generare infelicità, gettando la persona in un vortice di problemi e infine di dipendenze.
Come abbiamo detto, le variabili che incidono sul giocato e sui potenziali giocatori sono moltissime e, a mio avviso, non è possibile ridurre la questione ad un piano di libera scelta individuale, della serie nessuno ti impone di giocare, e se sei così sciocco da farlo tanto meglio, ché lo Stato incassa. Il gioco è un’attività tentatrice e coinvolgente, crea dipendenza, ed offrirla così, a tutti, a cuor leggero, è un po’ disonesto. Prima di tutto perché lo Stato non solo permette il gioco, ma lo incentiva. E non solo attraverso la pubblicità, ma con la permissione stessa, se priva di valori ed educazione di sfondo che ne ammortizzino gli effetti. La raccomandazione dell’AAMS gioca con prudenza, non pare sufficiente.
In secondo luogo il gioco d’azzardo è un elemento culturale che già permea la nostra società, è già in alcune sue forme pienamente accettato e condiviso. I telegiornali da sempre annunciano l’arrivo di un jackpot alto, e poi qualcuno se lo ricorda ancora il compianto Peter Van Wood, quando canticchiava “Ho giocato tre numeri al lotto, 25, 60 e 38”. Sdoganare ulteriormente il gioco, come è stato fatto, porta ad avere i dati sopra riportati, con tutte le conseguenze sociali, economiche e culturali che ciò comporta.
La tassa sugli stupidi
“Il gioco d’azzardo ha una funzione economica del tutto positiva: separa i soldi dagli stupidi” diceva non so quale sociologo americano. Concorderei in pieno. Senonché, con la diffusione di massa delle slot machine, si è andati ben oltre il nazionale Totocalcio e il folkloristico lotto, peraltro già a suo tempo correttamente definito “tassa sugli stupidi”: si è introdotta una autotassazione in grado di diventare una dipendenza feroce, che genera crisi e spesso drammi, individuali e famigliari.
Ci si può ridere sopra. La cultura che ci sta dietro fa però paura. Basta pensare alle lotterie, ultimamente fiorite nelle più diverse modalità. Sono dei Robin Hood alla rovescia, i poveri che si autotassano, anche duramente, per creare un ricco; con lo sceriffo di Nottingham (in genere lo Stato) che ci fa sopra una cresta del 90%.
Nel servizio di Luca Marchese, pur rilevando la scarsa istruzione del prototipo del giocatore compulsivo, giustamente si sottolinea come non sia la (demente) speranza di arricchire la molla principale. È la solitudine, la sfiducia in sé, la voglia di un brivido in una vita noiosa. Problemi culturali immensi, che sono però anche personali, e meriterebbero rispetto. Fino a che non diventano problemi sociali.
Io vi vedo profonde analogie con la tossicodipendenza. E credo che, per la ludodipendenza, analoga debba essere la risposta. Astenersi dal criminalizzare (come invece si è fatto per le droghe, con i noti rovinosi risultati) ma combattere culturalmente, e con durezza.
E allora diciamolo alto e forte: chi gioca d’azzardo è uno sfigato.
E. P.