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La spesa intelligente

Di fronte alle incertezze dell’Europa, più sensibile agli interessi delle multinazionali che alla salute dei propri cittadini, il consumatore può comunque fare qualcosa per sottrarsi alle manipolazioni genetiche. E anche l’ente locale...

Come zona di periferia culturale, "chiusa", come l’ha definita perfino il presidente della giunta provinciale, Bolzano fatica a produrre geni. Ciò che si alza al di sopra dell’aurea mediocritas viene visto con sospetto e isolato dal tessuto sociale. Questo sentimento di rifiuto verso ciò che è estraneo comporta qualche volta l’espulsione di medici, manager, artisti, prima chiamati fra grande clamore a dirigere istituzioni e reparti ospedalieri e poi "disinvitati" fra accuse e polemiche. Tuttavia esiste un risvolto positivo del rifiuto dell’estraneità: la gente non vuole neppure mangiarsi i geni del biotech.

E la provincia di Bolzano, sollecitata in questo senso da molti anni da ambientalisti e verdi, ha da pochi giorni una nuova legge che permette alle consumatrici e ai consumatori di conoscere un po’ di più di ciò che va a mangiare. Sui prodotti alimentari locali verrà segnalato, dopo accurati controlli, che non sono modificati geneticamente e che non contengono sostanze modificate geneticamente.

La UE, le cui decisioni sono in questa materia influenzate molto più dalle multinazionali del biotech che dagli interessi della salute dei suoi cittadini, non impone l’applicazione ai cibi di etichette che indichino chiaramente che cosa contengono, né l’obbligo di scrivere se contengono sostanze manipolate geneticamente. In questo modo le/i cittadine/i consumatrici/tori europee/i non hanno garantito il diritto di scegliere se mangiare o non mangiare soia, mais, patate, fragole, uva e chi più ne ha più ne metta, contenenti geni di provenienza estranea, anche animale. E’ noto che le conseguenze di un’alimentazione con questi prodotti sono oggi ancora imprevedibili, e perciò la libertà di scelta appare tanto più indispensabile, e tanto più indegno appare il comportamento delle autorità comunitarie che persistono in un comportamento gravemente lesivo dei diritti delle persone.

Lo stesso comportamento che ha portato alla diffusione del morbo della "mucca pazza", scoperto già a metà degli anni Ottanta; da allora la Commissione europea ha rallentato controlli e misure di intervento, perché - come denunciò a suo tempo l’eurodeputato verde von Bahringdorf - si volle adottare come scelta politica una compensazione di interessi, fra quelli degli allevatori e quelli della salute pubblica. Ora si vedono le conseguenze: ogni giorno nuovi casi di bovini ammalati vengono denunciati (ora, oltre che in Gran Bretagna, Francia e Svizzera, comincia la Baviera) e forte è il timore che laddove non vi sono casi di malattia ciò dipenda dalla scarsità dei controlli.

In Italia, dove tutti si affannano a dire che il problema non esiste, sono stati nel decennio scorso importati 10.000 bovini inglesi e la carne francese è fra le più vendute nelle macellerie di Bolzano. Fra alcuni anni o decenni, dicono gli esperti inglesi e francesi, assisteremo a migliaia di casi della terribile malattia di Kreuzfeld-Jakobs negli umani.

Neppure di fronte a queste tremende conseguenze (anche economiche) della violazione del principio di precauzione, secondo il quale, in assenza di informazioni precise, è meglio astenersi, la reazione degli stati dell’Unione Europea sembra all’altezza del necessario. Ogni giorno vengono prese decisioni su ciò che si può vendere (e quindi mangiare) che contrastano con il più elementare buon senso: dal vino manipolato geneticamente, all’olio che rimane olio italiano anche se le olive vengono da altri paesi, al divieto di commercializzare formaggi locali di grande tradizione e qualità, per favorire quelli fatti con il latte di mucche industriali con enzimi spesso manipolati geneticamente e non segnalati neppure per evitare le allergie.

Mentre fra la popolazione cresce fortemente l’attenzione verso ciò che si mangia e che si dà da mangiare ai bambini, l’impegno della politica comunitaria a favore della trasparenza e del diritto alla libertà di scelta è secondario rispetto all’impegno a favore delle lobbies che fanno leva sul principio del libero mercato.

Dunque diventa di straordinaria importanza la promulgazione di leggi locali che introducono il marchio di assenza di manipolazioni genetiche nei cibi. Se molte altre realtà locali ne faranno uso per i propri prodotti alimentari, crescerà il mercato alternativo rispetto a quello senza segnalazioni. Fondamentale è che le persone che fanno la spesa controllino con attenzione le etichette. Per ora sulle etichette non c’è scritto abbastanza, ma questo è l’obiettivo della nuova legge: segnalare cibi che non sono geneticamente manipolati.

Sul mercato esistono già prodotti certamente liberi da manipolazioni genetiche. Sono quelli biologici. Attenzione, però. Non basta che ci sia scritto "bio" o "eco" o che abbiano la scatola verde: gli alimentari devono essere certificati da una delle associazioni del settore che fanno i controlli. Nella nuova legge, questi prodotti sono esentati da ulteriori controlli, ma non lo sono quei prodotti che si autodefiniscono biologici, senza sottoporsi ad controlli delle associazioni.

Non si può non ripetere tuttavia che questa importante battaglia che vede da una parte l’ottantacinque per cento delle consumatrici e dei consumatori in Europa ostili al consumo di cibi geneticamente manipolati e dall’altra le multinazionali intenzionate ad usare ogni mezzo di pressione economica e politica per diffondere i risultati delle loro ricerche peraltro prive del tutto di controlli da parte di organismi neutrali, è una battaglia che potrà essere vinta solamente dalle persone che vanno a fare la spesa e preparano da mangiare. Ci si deve abituare a guardare attentamente le etichette e a pretendere che le etichette siano trasparenti, contengano tutte le informazioni necessarie a garantire una scelta consapevole.

Le persone hanno diversi mezzi per favorire i prodotti (veramente) biologici e salvarsi dal biotech, di cui uno già ampiamente diffuso: pretendere che nelle mense delle scuole per l’infanzia e delle case di riposo vengano usati solo prodotti biologici e contrattare attraverso il sindacato che anche nelle mense aziendali il cibo sia sano e non "sperimentale".

La questione alimentare ha oggi un aspetto nuovo e globalizzato: nel Nord che mangia a sufficienza, si rischia di essere avvelenati; nel sud l’introduzione di coltivazioni manipolate geneticamente porta alla distruzione delle specie locali, alla fine della libertà dei contadini e alla sconfitta di ogni possibilità dell’autosufficienza alimentare. Mangiare richiede attenzione e impegno. L’esercizio consapevole del diritto di scelta da parte di chi non ha fame contribuisce a influenzare le scelte economiche a livello mondiale, con l’obiettivo di soddisfare in modo sano il bisogno di nutrirsi di tutti gli abitanti della Terra.

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