Occhio al transgenico!
La pacifica guerriglia urbana al Sait di Trento contro gli OGM, che già mangiamo senza saperlo.
In un brillante saggio, "La religione dei consumi" (il Mulino, 2000), il sociologo americano George Ritzer tesse azzeccati parallelismi tra le religioni e il moderno consumismo, confrontandone cattedrali, pellegrinaggi e riti, e giungendo alla conclusione che l’iperconsumismo è la moderna religione dell’occidente globalizzato. Stando così le cose, non ci si stupisce se chi lotta per la liberazione di un ambiente, di una mente e di un’umanità schiavizzate dalla legge del solo profitto vesta i panni dell’iconoclasta, osando toccare, deturpare, smascherare le reliquie di questa religione: i prodotti. Ed è così che veniamo a quanto successo sabato 21 aprile a Trento, nella centralissima piazza Lodron, fuori e dentro il supermercato Sait, in un’azione di disobbedienza civile contro la presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) nel cibo di tutti i giorni; certo in percentuali ufficialmente sotto l’1% (e quindi a norma di legge), ma certo anche senza che il cliente possa saperlo leggendo l’etichetta.
Partendo da piazza Italia, dove con proiezione di filmati, musica, burattini, punti d’informazione sulle multinazionali e dibattiti si stava svolgendo la Giornata di critica al neoliberismo organizzata dai Giovani Comunisti, un gruppo di una ventina di giovani, alcuni del PRC, altri dell’associazione Brentonico Free People (in trattativa con quel comune per uno spazio da autogestire) più un po’ di senzabandiera, si sono mossi verso il supermercato. Ad accoglierli, oltre a un vicedirettore visibilmente preoccupato (che era stato ovviamente avvisato dell’azione, rispetto alla quale aveva espresso una ferma contrarietà per quanto riguardava l’ingresso nel supermercato), c’erano stampa e televisione anch’essi avvertiti. Si installa un grande specchio con la scritta "Tipico esempio di persona che mangia OGM senza saperlo" in cui divertiti si specchiano i passanti, e un pupazzetto di polistirolo con una banana (vera) a mo’ di naso, dalla quale fuoriescono fili elettrici, simbolo della moderna industria alimentare, dopodiché si inizia a distribuire un volantino ai passanti e ai clienti del supermercato. Lo scritto, senza annoiare con lunghi discorsi sulla moderna industria alimentare, era un elenco delle principali marche, note a tutti, che rispondendo a un’inchiesta di Greenpeace non hanno negato di far uso di OGM. Il volantino è risultato efficace: nessuno l’ha buttato come comunemente accade, ma, al contrario, molti si sono fermati per leggerlo, leggermente sorpresi. Qualche signora, colta all’uscita del supermercato, si è perfino fermata a controllare nella borsa della spesa l’eventuale presenza di qualche prodotto in elenco. Il volantinaggio è proseguito per una mezz’ora, mentre a lato il vicedirettore e un organizzatore, Donatello Baldo, difendevano le proprie ragioni coi giornalisti.
Aun certo punto è arrivata Lidia Menapace (PRC), candidata alle politiche, la quale, chiedendosi perché fossimo ancora lì fuori, gentilmente ha chiesto di poter entrare. E così, mentre il cielo fuori si rasserenava e il vicedirettore s’incupiva, siamo tutti andati a fare la spesa...
Scortati dal responsabile, il gruppo si scioglieva in piccoli nuclei di azione, che muniti di piccoli adesivi con la scritta "Attenzione! Organismi Geneticamente Modificati" , si divertiva ad attaccarli sui prodotti compresi nella lista, passando dalle colombe pasquali alle merendine, ai cioccolatini, alle patatine, alle caramelle, a tutti gli altri prodotti che la pubblicità ci vende per genuini e "fatti come una volta".
Un altro gruppetto intanto infilava i volantini nei carrelli della spesa, o continuava a volantinare all’interno, trovando sguardi tra lo stupefatto e il divertito di commessi e clienti.
Il vicedirettore, che non sapeva cosa fare né cosa dire (ora voleva chiamare i carabinieri, ora diceva che non potevamo entrare, ora minacciava "Ti ho visto!" (e ci mancherebbe! Chi si nascondeva?), ora garantiva che i prodotti erano sicuri e che non erano della Nestlè ma del Sait, ora si chiedeva sconsolato chi mai avrebbe comprato quei prodotti...), si rassegnava infine alla determinazione dei dimostranti, e al fatto che in fin dei conti l’azione non era rivolta contro il Sait, scelto solo per la sua centralità.
Dopo una ventina di agitatissimi minuti, il gruppo è uscito, continuando ancora per un po’ il volantinaggio fuori dal supermercato, mentre qualche giornalista continuava le interviste di routine, ora al vicedirettore, che diceva che il Sait garantisce la sicurezza alimentare dei propri clienti e che noi avevamo rovinato la sua merce, ora alla Menapace, che rispondeva che finché il cliente non sa cosa contiene il prodotto nessuno può garantire alcunché, e che la salute, e non la merce, dev’essere un valore.
Qualche maligno dirà che l’azione fa parte della kermesse della campagna elettorale, vista l’illustre partecipante.
Ebbene, se contrastare con forme di disobbedienza civile l’inciviltà delle multinazionali è, in termini di campagna elettorale, più efficace di un buon fondotinta o di un mantra-slogan, chi scrive si permette di invitare i candidati delle altre bandierine al carpe diem dell’emulazione.