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QT n. 19, 28 ottobre 2000 Cover story

Casa in cooperativa da sogno ad incubo

Il dissesto della “Servizio Casa” affossa il modello della cooperazione edilizia a proprietà indivisa. L’aut-aut ai soci: o compri, o paghi un canone doppio. Altrimenti si rischia di perdere tutto.

La casa in cooperativa è stata ed è ancora per tante famiglie l’unico modo per realizzare l’aspirazione ad un’abitazione propria. E nessuno può negare l’efficacia di questa formula, sostenuta dai contributi a fondo perduto e dai mutui agevolati elargiti dalla Provincia. Una particolare funzione, di nicchia, è stata poi svolta dalle cooperative a proprietà indivisa, le quali non trasferiscono la proprietà dell’alloggio ai soci, ma garantiscono loro il godimento del bene a tempo indeterminato e la possibilità di trasferire questo diritto d’uso agli eredi. Funzione sociale che trova un riconoscimento esplicito in un più consistente ammontare del contributo pubblico. In provincia di Trento questa nicchia di mercato, forse anche per via di una propensione ideologica, è stata occupata dalla Cooperativa Servizio Casa (C.S.C), aderente alla Lega delle Cooperative. Se non che l’apparente, brillante andamento di questa cooperativa, si è improvvisamente palesato nel suo contrario e sono emerse crepe finanziarie, tali da metterne in pericolo la stessa esistenza e da revocare in dubbio la sicurezza dell’alloggio da parte degli assegnatari.

Come sono andate le cose? Dopo un buon avvio, una serie impressionante di insuccessi ha segnato le molteplici iniziative della cooperativa. I dati li troviamo impietosamente sciorinati nella revisione che la Lega delle cooperative ha ordinato nel 1997.

La C.S.C. esordisce positivamente con l’insediamento di Ravina (51 alloggi) e prosegue bene con gli interventi di Rovereto San Giorgio (12 alloggi), Trento "Spazio 2000" (28 alloggi) e Romarzollo d’Arco (4 alloggi). E’ nel 1991 che inizia la frana. L’iniziativa Rovereto Ca’ de l’Ora (21 alloggi), "presenta un disavanzo di un miliardo, la differenza tra consuntivo e preventivo è stata del 20%. I soci hanno versato a testa circa 70 milioni in più sul preventivo e adesso viene richiesto un ulteriore esborso totale di 530 milioni che non sono intenzionati a versare". L’intervento di Cadine (8 alloggi) è caratterizzato da una differenza tra preventivo e consuntivo del 48%! E da una incidenza degli oneri finanziari di quasi il 30%, per un costo complessivo al mq di 3,7 milioni.

A Dro (7 alloggi) il disavanzo è di 1,2 miliardi, circa il 50% del costo dell’intera operazione. "Il preventivo è aumentato del 38% ed il costo finale al mq è di 3,9 milioni di lire. I soci hanno versato circa 200 milioni in più sulle loro quote soci e adesso viene richiesto un ulteriore versamento di 56 milioni." L’incidenza degli oneri finanziari sul costo totale risulta pari al 22,4%, circa un milione a mq.

Besenello (13 villini a schiera): il disavanzo è di 465 milioni "nonostante le quote sociali siano state fatte aumentare di circa 790 milioni, esattamente il doppio rispetto a quelle indicate inizialmente".

Nomi (18 alloggi): il disavanzo è di 787 milioni. "Le quote soci sono state fatte aumentare di 283 milioni, ma non risulta intenzione dei soci a versarle" Incidenza degli oneri finanziari 18%. Nomi 2 (7 alloggi) presenta un disavanzo di 844 milioni.

Questo per quanto riguarda le iniziative concluse all’epoca della revisione (giugno-settembre 1997), ma è un crescendo wagneriano se prendiamo in considerazione le iniziative abortite, come Vezzano (mezzo miliardo di perdita), o come Monte Terlago, dove si cade nel grottesco, acquistando un immobile senza rendersi conto che è vincolato e soggetto ad ipoteca a favore della Cassa Rurale di Villazzano. Vi si perdono 645 milioni. O le iniziative che, allora, erano ancora in corso d’opera: Sardagna (15 alloggi), aveva già fatto segnare un disavanzo di 318 milioni; Rovereto "Gisella" (10 alloggi) presentava un’incidenza degli oneri finanziari del 20,6%; Borino di Povo (8 alloggi) un disavanzo già di 794 milioni.

Una situazione agghiacciante, che determina a fine 1997 le dimissioni del presidente della C.S.C. Antonio Trombetta, sul cui operato ora indaga la magistratura, e la nomina di Roberto Menegaldo a capo di un Consiglio di amministrazione parzialmente rinnovato. Ma è come chiudere la porta quando i buoi sono scappati.

Menegaldo tenta comunque di prenderli per la coda e ricondurli alla greppia, solo che l’operazione è costosa e l’amara medicina solleva proteste e malumori fra i soci. Alcuni di essi fin dal 1997 erano diventati punto di riferimento di un gruppo più numeroso di soci, decisi ad ottenere un cambiamento di rotta nella gestione della C.S.C. e soluzioni differenti alla crisi.

Notiamo infine come questa vicenda colpisca anche la Lega trentina delle cooperative, non tanto perché per un motivo o per l’altro viene tirata in ballo da tutti i protagonisti, quanto perché vede avvizzire uno dei pochi fiori all’occhiello che le sono rimasti. E questo mentre si appresta a celebrare le nozze con la strapotente Federazione di Angeli.

Per fornire ai lettori un quadro sufficientemente completo della situazione e degli eventi che l’hanno determinata abbiamo intervistato: Antonio Marchi, uno dei soci che hanno organizzato il dissenso nei confronti del Consiglio di amministrazione, Antonio Trombetta, ex-presidente della C.S.C. e Roberto Menegaldo, attuale presidente.

Antonio Marchi: soci sul piede di guerra

Com’è diventato assegnatario di un alloggio della "Servizio Casa"?

Antonio Marchi, socio della "Servizio Casa".

Ho aderito alla C.S.C., fin dal 1984. Il reddito della mia famiglia - siamo in due a lavorare, io e mia moglie, ed abbiamo due figli - non mi permetteva di concorrere all’assegnazione di una casa Itea e tantomeno mi permetteva di acquistare un appartamento, neppure in cooperativa. Risultava, invece, alla nostra portata la scelta dell’alloggio in una cooperativa a proprietà indivisa. Così, ci siamo messi in lista d’attesa e quando è arrivato il nostro turno, nell’agosto del 1990, abbiamo preso possesso dell’alloggio alla "Spazio 2000", in località Centochiavi di Trento.

A quali condizioni finanziarie?

Abbiamo versato 19 milioni, come quota cauzionale, che ci sarebbe stata restituita una volta ultimato di pagare il mutuo provinciale. Avremmo inoltre corrisposto mensilmente alla cooperativa, per un periodo di 15 anni, un canone di godimento di circa 500.000 lire a copertura del mutuo. Decorso questo tempo avremmo dovuto solo pagare la nostra quota parte delle spese condominiali e di manutenzione, nonché delle spese di gestione della cooperativa stessa. Un impegno finanziario compatibile con il magro bilancio della mia famiglia.

E invece cos’è successo?

Fino al ‘95 è filato tutto liscio. Poi sono cominciate a circolare fra i soci delle voci allarmistiche sull’andamento della cooperativa. Voci su conti che non tornavano, su interventi sballati , che avevano comportato forti perdite. Le prime avvisaglie concrete si sono manifestate con l’aumento delle quote cauzionali richieste agli assegnatari dell’intervento di Nomi, portate a 70-90 milioni, e con lo sfondamento dei costi di previsione per decine di milioni. Scaricati naturalmente sui soci, alla faccia dell’impostazione "sociale" della nostra Cooperativa.

Ma i bilanci della Cooperativa, che avete sempre approvato a larga maggioranza, quale quadro presentavano dell’attività?

Noi soci non siamo certo specialisti in materia di bilancio. Poi ci fidavamo. Il presidente del Consiglio d’amministrazione, Antonio Trombetta, e il Consiglio stesso ci rassicuravano; i sindaci confermavano, per noi andava bene e i bilanci venivano approvati pressoché all’unanimità.

Quand’è che scoppia la grana?

Quando la cooperativa richiede un’ulteriore quota di 50 milioni o più, rispetto all’importo fissato inizialmente, ai soci assegnatari di Nomi. L’inquietudine si trasmette anche agli altri soci e in seno allo stesso Consiglio di amministrazione. Per farla breve, un centinaio di soci si mobilitano e raccolgono le firme su di una richiesta di assemblea straordinaria, che si svolge a fine ‘97. Sugli sviluppi di questa iniziativa Trombetta, che era anche vicepresidente della Lega trentina delle cooperative, si dimette. Nel frattempo avevamo costituito il "Comitato di salvaguardia della Cooperativa", che da allora continua a fare opera di informazione ai soci e di sensibilizzazione della pubblica opinione, con interventi sulla stampa, volantini, ecc. Attività che ha portato a pesanti contrapposizioni anche con l’attuale presidente della cooperativa, di cui non condividiamo i progetti.

Andiamo per ordine. All’inizio del 1998 si verifica il cambio di direzione. Il testimone passa da Trombetta a Menegaldo e si rinnova il Consiglio di Amministrazione. Come si sono mossi i nuovi amministratori?

Invertono l’andazzo della sciagurata gestione precedente. Bloccano ogni nuovo intervento di costruzione; viene chiarificata e specialmente consolidata la situazione debitoria della cooperativa nei confronti delle banche; liquidano la "società di servizio" (!) Domka srl, che era stata costituita per poter agire liberamente sul mercato immobiliare, senza le restrizioni che la legge impone alle cooperative, e che ha contribuito significativamente alle perdite della controllante C.S.C. E infine mettono a punto un Piano di rientro dalla perdita, che non raccoglie le adesioni che Menegaldo auspicava, anche se viene approvato a maggioranza dall’Assemblea del 24 giugno 2000. Menegaldo trae le proprie conclusioni e presenta le sue dimissioni "irrevocabili". A cui peraltro non dà seguito e rimane in sella per attuare il suo Piano.

Qual è la filosofia di questo risanamento?

Comporta il totale capovolgimento del carattere della cooperativa, con la trasformazione da proprietà indivisa a proprietà divisa. Si decide cioè di vendere gli alloggi ai soci assegnatari.

In concreto, quale impegno viene richiesto ai soci?

Ogni socio deve versare quasi 7 milioni, a copertura del deficit dell’esercizio 1999 (di oltre un miliardo). Poi, i soci che aderiscono all’acquisto dell’immobile dovranno sostenere un costo superiore di 60-100 e più milioni rispetto a quello previsto inizialmente. I soci che non intendono o non possono acquistare l’alloggio, dovrebbero, invece, pagare un canone mensile aumentato dell’80-90%, a decorrere dal mese di settembre e a tempo indeterminato. Per fare un esempio concreto, nel mio caso il canone viene portato, da 600 mila lire ad oltre un milione al mese! E senza che questi provvedimenti eliminino il rischio che ogni anno si debbano versare altri milioni per coprire i deficit di esercizio. Insomma, regna la massima incertezza sugli esiti di questa storia e su quanto ancora potrà venirci a costare. Di pari passo cresce la sfiducia verso gli amministratori, al posto dei quali molti soci vedrebbero più volentieri il commissariamento della cooperativa.

C’è, infine, da osservare che dall’accollo dell’indebitamento della Società, vengono esentati, illegittimamente a mio parere, i soci assegnatari degli ultimi insediamenti abitativi. Esentati dal pagare i debiti, ma ammessi alla votazione che li vedeva parte in causa. Non mi sembra corretto!

Che altra soluzione siete in grado di contrapporre?

Ci hanno messo con le spalle al muro: lo scenario che ci mostrano gli amministratori è apocalittico. Si andrebbe incontro alla liquidazione della cooperativa e i creditori potrebbero rivalersi sul patrimonio della stessa, cioè sugli immobili occupati dagli assegnatari, mettendoli in vendita. Per bene che vada, questi ultimi si troverebbero nella condizione di dover contrattare con i nuovi proprietari la permanenza negli alloggi in qualità di affittuari.

Rifaccio la domanda: che altra soluzione proponete?

Per cominciare, riteniamo che sarebbe doveroso accertare rigorosamente le responsabilità di tutti i protagonisti di questa vicenda: il presidente Trombetta e il Consiglio di amministrazione allora in carica, gli amministratori delle due società liquidate, la Domka e la Dolomia. Ma anche le eventuali responsabilità di chi era deputato al controllo dell’attività, vale a dire il Collegio sindacale, i revisori dei conti della Lega, la stessa struttura della Lega, la Provincia. E se responsabilità emergeranno, chi ha sbagliato paghi.

C’è poi una via, che per quanto complessa, ci sembra percorribile con un po’ di buona volontà da parte della pubblica amministrazione. Buona volontà, che ci sembra non sia mancata in casi analoghi di difficoltà, verificatisi in altre regioni d’Italia. Pensiamo che la Provincia, tramite l’Itea, potrebbe acquisire gli alloggi dei soci che non sono in grado di comperarli in proprio e concederli in affitto agli stessi. Si tratterebbe di un intervento del tutto anomalo, ma è anomalo anche quanto è avvenuto e sta avvenendo, ed è forse l’unica possibilità per evitare soluzioni rovinose per molte famiglie.

Trombetta: dissipatore o capro espiatorio?

Antonio Trombetta è stato presidente della Cooperativa Servizio Casa dal 1987 al 1997 e viene generalmente indicato come il responsabile numero uno del dissesto finanziario della Società.

Antonio Trombetta, ex presidente della Cooperativa "Servizio Casa".

Come si difende da queste accuse?

Fin quando ne ho retto le sorti, la situazione della C.S.C. era tutt’altro che compromessa.. Qualche errore è certamente stato commesso, specialmente nelle analisi sulle esigenze abitative di alcune zone, alcuni interventi sono andati meno bene del previsto e hanno creato qualche difficoltà finanziaria, tuttavia il patrimonio della cooperativa costituiva una garanzia più che soddisfacente e c’erano tutte le condizioni per riprendersi e rilanciarsi.

Qual è, allora, l’origine dell’attuale buco di oltre 10 miliardi?

Dipende dall’errore gravissimo fatto dalla nuova gestione, di bloccare gli ulteriori interventi edilizi che la "Servizio Casa" aveva in programma. Come quello, ad esempio, del nuovo quartiere residenziale in viale Verona, a Trento, di cui ci eravamo fatti promotori, insieme alla Cooperativa delle Acli. Era di fondamentale importanza e per l’immagine e perché avrebbe aperto la strada a nuovi interventi. Il blocco dell’attività ha fatto venire meno quel volano che avrebbe consentito, con gli introiti delle nuove assegnazioni, di assorbire gradualmente le perdite precedenti, di spalmarle senza traumi sui canoni di godimento pagati dai soci.

Non le sembra una strategia da giocatore incallito che più perde e più alza la posta nel tentativo di rifarsi?

E’ un’ipotesi. Però il meccanismo che ho illustrato sopra, se è governato bene non è pericoloso. E secondo me c’erano tutte le condizioni perché funzionasse.

Durante il suo mandato, i suoi orientamenti sono mai stati contrastati all’interno del Consiglio di amministrazione o durante le assemblee dei soci?

C’è stato sempre un ampio consenso, i bilanci sono sempre stati approvati senza problemi, i sindaci non hanno avuto nulla da eccepire, ai soci è stata data sempre la più ampia informazione. Soltanto nel 1997 è emerso un dissenso organizzato, da parte di alcuni soci, che si è manifestato in occasione dell’approvazione del bilancio 1996. Poi questi soci hanno cominciato a portare all’esterno, sui giornali, il loro scontento, i loro timori. E’ chiaro che quando si fa una campagna di questo tipo, poi diventa difficile trovare nuovi soci, disposti ad impegnare i loro soldi.

Ma la revisione del 1997 ordinata dalla Lega trentina delle cooperative esponeva un quadro della C.S.C. decisamente allarmante e faceva rilievi pesanti sulla gestione.

Quella revisione l’ho contestata. Anzitutto, perché risente della volontà di blandire un gruppo organizzato di soci che cominciavano ad agitarsi. Poi, perché è stata effettuata da una persona che non si rendeva conto di avere a che fare con una cooperativa edilizia a proprietà indivisa. Il revisore ha fatto le sue valutazioni, come se si trattasse di una cooperativa a proprietà divisa, la quale, come si sa, dopo qualche anno vende gli immobili ai soci e sparisce dalla scena. La cooperativa a proprietà indivisa, invece, rimane proprietaria degli immobili e continua nel tempo la sua attività, sia di gestione del patrimonio esistente, sia di realizzazione di nuovi interventi abitativi. E’ tutta un’altra logica, che al revisore è sfuggita.

Nessuno ha preso le sue difese, neanche la Lega delle cooperative, di cui pure era vicepresidente. Si sente un capro espiatorio?

Sì, sono stato usato come capro espiatorio. Forse hanno avuto paura di dover coprire chi sa quali scandali.

Se lei fosse rimasto a capo della C.S.C. ritiene che sarebbe riuscito a sanare la situazione, senza ricorrere a decisioni così pesanti per i soci, quali quelle adottate dai nuovi amministratori?

Ritengo di sì. La Cooperativa era sostanzialmente in grado di operare proficuamente. In un decennio di attività avevamo acquisito competenze tecniche ed esperienza molto significative. Nuovi interventi avrebbero dato slancio alla Cooperativa. Il tutto, però a prescindere dalla rissosità dei soci: questa può mettere in ginocchio qualsiasi azienda.

Come giudica il piano di risanamento del nuovo Consiglio di amministrazione?

Oltre a quanto ho detto sopra, giudico molto negativamente lo snaturamento dell’originario carattere della Società. Introdurre la proprietà divisa dei soci, oltre a rappresentare uno stravolgimento della mission della C.S.C. ha ingigantito i problemi e rende più difficile, o impossibile, una soluzione graduale. Ritengo inoltre illegali le decisioni volte a differenziare il trattamento dei soci a fronte degli impegni finanziari per il risanamento. Lo statuto non ammette un tale comportamento.

Menegaldo: dopo le carote, il bastone

Roberto Menegaldo è presidente della "Servizio Casa" dall’inizio del 1998, ma di mestiere fa il segretario dei metalmeccanici trentini della Fim-Cisl. E immaginiamo che concludere un contratto di categoria gli sembrerà un gioco da ragazzi, dopo questa esperienza alla C.S.C. Con lui abbiamo cercato di fare il punto della situazione economico-finanziaria della Cooperativa e del rapporto coi soci.

Roberto Menegaldo, attuale presidente della cooperativa.

A quanto ammonta il deficit?

E’ di 10, 5 miliardi, compresa la perdita dell’esercizio 1999.

Come è stato possibile arrivare a questo buco?

La gestione precedente (presidente Trombetta, n.d.r.) sosteneva dei costi altissimi per gli interventi abitativi, superiori a quanto veniva richiesto ai soci. L’errore fondamentale è che compravano il terreno o il fabbricato da ristrutturare prima di aver raccolto le adesioni dei soci. In questo modo producevano perdite che si illudevano di poter coprire, avviando sempre nuove iniziative. Ma non poteva durare: se non avessimo interrotto quel meccanismo perverso, gli interessi passivi avrebbero finito per strangolarci.

Quali contromisure avete preso?

Il blocco immediato di ulteriori interventi edilizi, per impedire il continuo aumento del deficit. Ristrutturazione del debito della cooperativa verso le banche, estinguendo la miriade di esposizioni a breve che erano state aperte presso varie Casse Rurali e sostituendole con un mutuo di 10 miliardi contratto con la Caritro e con la Cassa centrale delle casse rurali, insieme con un fido di 5 miliardi. Vendita degli alloggi ai soci che ritengono di acquistare e aumento per gli altri del canone di godimento, caricando sul canone stesso la quota degli interessi passivi che maturano sulla parte di mutuo di loro competenza.

Una parte dei soci è però contraria al vostro piano di risanamento.

Il debito dobbiamo pagarlo, pena la liquidazione della società. I criteri che abbiamo posto alla base della nostra azione sono i più equi possibile e cercano in tutti i modi di tutelare i soci. E’ una strada obbligata, per evitare la liquidazione. La decisione di rinunciare alla proprietà indivisa, su cui era nata la cooperativa, per quanto sofferta è l’unica strada che ci rimaneva per estinguere/ridurre le esposizioni bancarie, che sono la fonte del deficit. E, alla fine, consentirà ai soci di acquistare l’immobile ad un prezzo più favorevole di quello di mercato, anche se più alto di quello inizialmente previsto.

Quanto più alto?

Da 45 a 85 milioni per la copertura del deficit, più qualche decina di milioni per la restituzione dei contributi alla Provincia. Quella parte di contributi cui avevamo diritto solo come cooperativa a proprietà indivisa.

Ai soci che non vogliono o non possono procedere all’acquisto dell’appartamento è stato quasi raddoppiato il canone di godimento.

In valori assoluti i canoni ricalcolati vanno da un minimo di 500.000 per un miniappartamento ad un massimo di 1.400.000 per un appartamento di oltre 130 mq. Continueranno a pagarlo fino a quando e nella misura in cui sussisterà il corrispondente mutuo con le banche. Gradualmente, il canone, dovrebbe comunque ridursi. Ripeto, è una strada obbligata.

Un’altra cosa che ha provocato malumore nei soci è l’aver escluso dall’accollo del debito i soci delle ultime iniziative della C.S.C. (Nomi 2, Borino di Povo, Rovereto "Gisella", Sardagna).

A parte uno, gli altri, circa 30, erano soci che avevano soltanto prenotato l’alloggio, non gli era stato ancora assegnato. Chiaramente hanno posto la condizione, per restare nella cooperativa, di non doversi fare carico dei debiti pregressi. Se fossero usciti, lasciandoci gli immobili scoperti, la cooperativa ne avrebbe ricevuto un ulteriore grave danno. Questo provvedimento è stato approvato dall’Assemblea dei soci, e non è stato certo determinante il voto di quella trentina di soci direttamente interessati.

Quanti dei soci coinvolti, esclusi quindi questi di cui abbiamo appena detto, hanno optato per l’acquisto dell’alloggio?

I soci in questione sono in tutto 151 e 76 hanno accettato la proposta dell’acquisto. I rimanenti 75 dovrebbero, invece, pagare il canone mensile maggiorato. Ma, poiché il primo versamento del nuovo importo decorreva dallo scorso mese di settembre, è presto, ora, per capire quanti pagheranno e quanti no. Devo sottolineare che sono presenti posizioni di rifiuto pregiudiziale da parte di soci che pensano di poter trarre vantaggio dalla rovina della cooperativa. Il rischio di liquidazione della società non è superato. Se molti non pagheranno è chiaro che la C.S.C. non potrà andare avanti.

Lei aveva presentato le sue dimissioni "irrevocabili" nel giugno scorso, proprio perché non riteneva sufficiente l’adesione dei soci al piano di risanamento. Come mai le ha ritirate?

Mi ero dimesso, per non essere costretto a prendere iniziative legali contro i soci che non avessero ottemperato alle decisioni dell’Assemblea. Poi le ho ritirate sulla base di una petizione firmata dalla maggioranza dei soci. Ma non ho alcuna intenzione di restarci a lungo, quanto basterà per avviare il risanamento.

Il nuovo Consiglio di Amministrazione, da lei presieduto, ha accertato eventuali responsabilità dei precedenti amministratori?

Il Consiglio, su delibera dell’Assemblea, ha intentato azione di responsabilità civile nei confronti del precedente presidente e di uno degli amministratori. Le indagini della magistratura sono in corso.

Alcuni soci pensano che la Provincia, tramite, l’Itea potrebbe toglierli dalle peste.

Lo so. Ne ho anche parlato con l’assessore competente. Il problema non è tanto l’acquisto degli alloggi da parte dell’Itea; il problema è che per rimanere negli alloggi Itea occorre possedere determinati requisiti di reddito che i nostri assegnatari non possiedono. La Giunta provinciale è, invece, disposta a derogare alla norma che impone che siano trascorsi 10 anni dall’accensione del mutuo, prima di poter diventare proprietari dell’appartamento.

Qual è il suo rapporto personale con la C.S.C.?

Nel 1984 sono stato uno dei soci fondatori e sono assegnatario di un alloggio a Ravina. Sono rimastonel Consiglio di amministrazione fino al 1989. Ne uscii perché già allora ero contrario all’effettuazione di nuovi interventi abitativi. Vi sono rientrato nel 1999, proprio per dare voce ai soci che volevano bloccare ogni nuova iniziativa.

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Commenti (1)

difrancesco giuseppe

come è andata a finire? Anch'io sono socio di una cooperativa a proprietà indivisa dal 2000 e leggendo la "storia" sono rimasto terrorizzato!!!Finora ero convinto di poter riscattare l'alloggio con 1/3 del canone versato mensilmente,una volta posto in vendita!!Questo è quello che mi hanno sempre fatto credere(anche agli altri 11 locatari)il presidente e gli altri soci.Preciso che io abito in Piemonte.
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