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Una cultura di valle che arriva da Trento

Val Jumela e dintorni: il pesante clima di intimidazioni contro chi, nelle valli, si oppone al modello di sviluppo dominante. Una nuova (in)cultura: dei soldi comunque e subito, in spregio alle leggi attuali e alle prospettive per il futuro.

Parliamo ancora di val Jumela: questa volta non per affrontare l’argomento specifico della prevista nuova area sciabile, ma per denunciare quanto avviene in Fassa nei confronti di chi ha avuto il coraggio di esprimere dissenso nei confronti della proposta.

Già da tempo l’area ambientalista fassana che si era riunita attorno ad Sos Dolomites durante gli anni ’80 era stata portata al silenzio.

Come? Con l’isolamento sociale dei suoi aderenti, con campagne specifiche di calunnia personale, con pressioni. Nel passare in valle oggi trovo tanti cittadini, anche albergatori, anche sindaci che hanno firmato i documenti di richiesta degli impianti, che mi dicono: "Luigi, non mollare, continua per noi!"

Rimango sconvolto davanti a questi appelli, dico loro che da solo non posso far nulla, chiedo che si espongano. "No, non lo posso fare" - dicono, aggiungendo: "Come potremmo rimanere in valle a lavorare?"

Sono dichiarazioni sconvolgenti, che devono far riflettere i politici trentini, anche chi sta usando spudoratamente le promesse elettorali di tipo impiantistico per giochi di potere; penso ai consiglieri comunali della Margherita e della Genziana, penso a Dellai.

Cosa significano sul piano della democrazia, del vivere in comunità queste dichiarazioni? Come si verifica un simile percorso?

Provo a riassumerlo riconducendo le vicende alla mia esperienza personale. Immaginate la periferia trentina: l’ambientalista che vi opera ritrova dissenso su quasi tutto quanto viene proposto in quanto portatore di una cultura e di una visione della società opposta al sistema attuale. Si comincia quindi a dipingere la persona come nemico del progresso, dell’economia.

Non è sufficiente? Si passa a seminare la calunnia contro la persona, contro la famiglia, e la calunnia, una volta seminata, ci hanno insegnato che si diffonde come la gramigna e diventa impossibile da estirpare: immaginate poi come affondi nelle entità piccole dei nostri paesi.

Non è ancora sufficiente? Prima o poi qualche famigliare avrà pur bisogno di qualcosa in Comune, di una licenza edilizia, o di una licenza commerciale! Avrà pur bisogno di un parcheggio o di un qualche altro servizio. Ed ecco che le decisioni si prendono di conseguenza e si farà rimpiangere a quelle persone di aver osato contrastare il trasversale partito degli affari.

Se tutto questo ancora non è bastato, si passerà alle maniere più grossolane: le intimidazioni sul posto di lavoro (anche quando è pubblico), intimidazioni presso la famiglia, vetri di casa o dell’auto che si rompono, strane telefonate in casa, calunnie pesanti, intimidazioni dirette.

Tutto questo è accaduto o sta accadendo in val di Fassa, ai margini della vicenda Jumela. Tutto questo ci descrive un Trentino che il cittadino non riesce a comprendere; lo noto quando ne parlo anche dentro la sinistra, tutta la sinistra, con chi abita nella valle dell’Adige o nel Basso Sarca.

Queste persone non si chiedono perché nelle periferie trentine la cultura progressista rimanga relegata in percentuali di pura testimonianza, che vanno dal 10% al 15%? Sembra proprio di no, ma quanto accaduto a Pozza durante questi mesi si verifica da anni in tanti comuni anche di Fiemme. Sarà forse esagerato lanciare i proclami della mafia dilagante come fatto dal candidato a sindaco di Daiano, Dino Ceol, anche perché i termini della questione non corrispondevano. Ma non è esagerato affermare che nelle valli dell’Avisio si vive un clima di sottomissione e di intimidazione, che risulta difficile mantenere viva e sviluppare una opposizione seria. E’ evidente che nei Comuni domina il partito dell’edilizia e del movimento terra, ben rappresentato da folte schiere di geometri e ingegneri.

Nelle valli, ma probabilmente in tutto il Trentino, si è purtroppo incancrenito uno strano ragionamento che mi è stato presentato pochi giorni fa: "Se degli imprenditori chiedono strade, piste di sci, grandi opere, si devono fare! Se chiedono significa che l’economia, lo sviluppo pretende queste infrastrutture. L’ente pubblico non può dire di no, perdere tempo. Qualunque sia la richiesta, la si esaudisca!"

Quindi circonvallazioni, autostrade, nuovi collegamenti sciistici si devono fare; basta perdere tempo con valutazioni sull’utilità o sull’impatto ambientale e sociale delle prospettate infrastrutture.

Come si è giunti a questa terribile semplificazione? Come mai il tessuto trentino ha appreso questo sistema e la gente ha timore di esporsi e di far valere i suoi diritti sacrosanti? Probabilmente grazie a decenni di semine selvagge di sovvenzioni pubbliche elargite in modo indiscriminato per ristrutturazioni alberghiere, stalle, aree artigianali e industrie. Probabilmente perché ad ogni Comune o frazione si è dato un campo di calcio, un centro polivalente, arredi urbani insulsi. Non si è mai ragionato in modo complessivo. Tutto è dovuto, ovviamente quando vi sono finanziamenti pubblici; si è investito nel radicare pigrizia.

Si è persa la cultura del rischio d’impresa, si è persa la fantasia, la fatica del pensare e di innovare.

Questo argomentare ormai ben diffuso nei paesi e nelle vallate è divenuto un dogma. Risulta quindi impensabile nelle vallate accettare che ristrette minoranze possano opporsi all’ampliamento di impianti o si oppongano alla costruzione di presunti centri polivalenti o di altre costose opere, anche quando un minimo di logica fa comprendere a tutti come l’impresa sia fallimentare e l’opera, se realizzata, risulti inutile. Ci si è abituati a pensare che sviluppo e amministrazione significhi strade (ed ecco le semplificazioni Valdastico e terza corsia dell’A22) ed invece i servizi essenziali siano perdite di tempo: scuole, asili, tempo libero, edilizia pubblica, servizi alle fasce deboli non vengono letti come settori di intervento qualificati, ma come servizio di assistenza, marginalità.

Questa è la cultura che la nostra autonomia ha costruito fino ad ora. E’ anche comprensibile quindi che gli abitanti di Pozza che hanno visto i loro impianti diventare il simbolo di una battaglia ambientalista di più vasto respiro reagiscano scompostamente. Dovrebbe essere compito di chi detiene cariche istituzionali importanti riportare correttezza e dibattito democratico, accettazione delle regole.

Ed invece, proprio da Dellai e Benedetti arrivano i messaggi più inquietanti: stanno insegnando ai trentini che le leggi non contano nulla, che una valutazione d’impatto ambientale negativa è priva di significato e che la legge nel Trentino dell’autonomia si è trasformata in cultura da film western: la legge del più forte, la legge del mercato.