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Discontinuità controllata

Nuovo vescovo di Trento, mons. Luigi Bressan. Dopo l'episcopato di Sartori, la diocesi di Trento ha bisogno di una "raddrizzata": e dal Vaticano hanno mandato un diplomatico di carriera.

Quando, diversi anni fa, il nostro collaboratore Pier Giorgio Rauzi andò a Rovigo per trovare informazioni di prima mano sul nuovo (allora) vescovo Sartori, si sentì dire, dopo mille preamboli, da un esponente della Curia locale: "Beh, se saranno rose, forse, fioriranno adesso da voi..."; ma le rose, come non erano fiorite a Rovigo, così non fiorirono a Trento.

Non inizia con simili incerti auspici l’episcopato di Luigi Bressan; anzi, come vedremo, il nuovo vescovo sembra essere stato scelto anche con un occhio ai guai provocati dal predecessore: Bressan, trentino con ampia esperienza internazionale, dovrà rimediare ai danni di Sartori, il veneto contemporaneamente "foresto" e dagli angusti orizzonti.

Il profilo di Luigi Bressan è noto: delle Sarche, ha frequentato (senza peraltro eccellere) il seminario di Trento, dove ha potuto conoscere il clero locale, con il quale, una volta ordinato prete, ha lavorato nelle parrocchie per alcuni anni; poi, passato a Roma, ha iniziato la carriera diplomatica, a Ginevra, in Africa, in America latina, e soprattutto in Asia. Esperienze vaste quindi, forse - tranne quella più duratura in Estremo Oriente - un po’ mordi e fuggi; si è mosso comunque bene anche in situazioni delicate, è valutato positivamente in Vaticano, al punto che si pensava per lui alla successione del cardinal Cè di Venezia, in scadenza per limiti d’età. Forse sono state proprio queste aspettative a fargli accogliere con una certa freddezza la nomina a Trento (da dove la carriera è più difficile, ma l’uomo è comunque dato per emergente, e si dice che sia destinato a salire in alto). Al contempo l’ipotesi Venezia ci fa capire non solo la considerazione vaticana per Bressan, ma anche le valutazioni preoccupate sullo stato della diocesi tridentina: attenzione, Trento ha bisogno di una raddrizzata, mandiamoci l’uomo giusto.

E’ curioso: anche dopo l’episcopato di Gottardi, Trento aveva bisogno di "raddrizzarsi", di essere normalizzata, appunto da Sartori. Troppo conciliare ancora negli anni ’80, quando non era più il caso, forse percepita come un po’ caotica, la diocesi trentina doveva essere ricondotta nell’alveo tradizionale; anche in politica, con un ritorno al collateralismo democristiano più ortodosso (grande sponsor di Sartori era Flaminio Piccoli); e infine nel versante finanziario, sempre sottaciuto ma importantissimo: l’Isa, la finanziaria della Curia doveva essere ricondotta dall’area Kessler (che guardava alla Germania) all’area Piccoli, che guardava all’area dorotea-veneta.

L’azione del normalizzatore Sartori, fuori dal tempo e per di più maldestra, è stata disastrosa. Su tutti i fronti. Sul fronte politico, la fine ingloriosa della Dc, la rissosa inconsistenza dei tanti presunti eredi ha tolto qualsiasi punto di riferimento; al punto da spingere lo sperduto vescovo a rifugiarsi in un’iniziativa vagamente medioevale come l’improbabile santificazione di Degasperi; sul fronte ecclesiale, l’iper-ortodossia, giunta allo spulciare i bollettini parrocchiali, vigilare sulle prediche, censurare l’attività dell’Istituto di Scienze Religose, ha portato a una situazione di latente conflitto tra il clero insofferente e l’occhiuto mini-apparato repressivo istituito nella Curia; sul fronte finanziario si è arrivati alla perdita della Banca di Trento e Bolzano, e si parla di ulteriori ingenti perdite dell’Isa in seguito a speculazioni in Russia.

Ecco quindi l’esigenza, acuta, di raddrizzare - ancora - la barca: Bressan dovrà ricucire sul fronte ecclesiale, rimettere in riga il settore finanziario, trovare un rapporto credibile con la politica.

Se questi sono i compiti, appare più chiara la scelta vaticana. Il nuovo vescovo, abituato a fare i conti con le esigenze dell’evangelizzazione nelle culture del Terzo Mondo, e quindi a confrontarsi con la teologia della liberazione in America latina, con quella dell’incarnazione in Africa, e soprattutto con la teologia della rivelazione in Asia (Dio si è rivelato davvero unicamente nel Vangelo, oppure anche in altre scritture, a inizare dai libri sacri delle religioni orientali?), di sicuro non avrà tentazioni iperortodosse, né si metterà a segnare con la matita rossa e blu gli errori teologici dei parroci. Diplomatico di carriera, e quindi uomo di mondo, può avere un rapporto smagato e non subalterno con i referenti finanziari. Nunzio apostolico in terre dove il cattolicesimo è minoritario, talora represso (come nell’islamico Pakistan, dove un vescovo è giunto a suicidarsi, estrema protesta contro le violazioni statali della libertà religiosa), può essere la persona giusta per impostare su basi nuove i rapporti politici in una zona in cui è ancora forte il voto cattolico.

Considerando questi obiettivi, ben si comprende, oltre alla nomina di Bressan, l’esclusione del suo più accreditato antagonista, Gabriele Ferrari. Compagno di seminario di Bressan, ma molto più brillante, Ferrari si è dedicato all’azione missionaria. A capo della Congregazione dei Saveriani, si è rifiutato - nonostante le pressioni vaticane - di sostituire alla direzione della rivista della congregazione ("Mondo e missioni") Eugenio Melandri, reo di aver denunciato le responsabilità politiche dell’allora presidente del Consiglio Spadolini nel commercio di armi col Terzo Mondo. Ora Ferrari opera in Burundi, e lì rimarrà.

Il Vaticano non ha dimenticato lo sgarbo del mancato siluramento di Melandri, né intende promuovere a posti di responsabilità anche finanziaria chi dichiara (come ha fatto Ferrari a L’Adige) che "la nostra Diocesi ha tanti soldi e questo è un limite: perchè si tende a cercare soluzioni legate al denaro".

D’altronde non sono nemmeno passati i nomi dei candidati più vicini al segretario della Cei cardinal Ruini (nostalgico dei tempi del collateralismo democristiano, quando alzava il telefono e subito si trovava un qualche Andreotti ossequiente; mentre oggi Prodi risponde con aperto fastidio; e D’Alema è sì zelante, ma si capisce subito che appartiene a tutto un altro mondo). Da questa impasse - si dice - l’emergere della nomina di Bressan: un nome che non scontentava nessuno, un profilo ritenuto adatto ai problemi della diocesi trentina, una nuova presenza che potrebbe essere positiva per la stessa Cei, dove latitano le persone con esperienze internazionali, ritentute invece sempre più importanti, soprattutto quelle maturate in paesi islamici. Di qui la scelta vaticana. Con un occhio alla Chiesa trentina, un altro a possibili ulteriori ascese di un personaggio dal pedigree interessante.

Ora a Trento, dopo Sartori, Bressan opererà delle indispensabili discontinuità; e nel palazzo di piazza Fiera c’è chi si prepara a sgomberare la scrivania. Se questo poi riuscirà a tradursi anche in un’azione pastorale all’altezza della nuova società, è tutto un altro discorso.