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Le parole del papa e la miseria della politica

Menapace Lidia

Sul viaggio a Cuba del papa ho molte incertezze e alcuni punti chiari. Comincio da questi, che vanno dalla evidente impreparazione e disinformazione dei nostri media all'imbarazzo di trovarsi scavalcati dal papa inflessibilità, ardimento, rottura di luoghi comuni, abbandono della conservazione. La faccia tra scandalizzata, sorpresa, devotamente in attesa di un cambiamento di rotta del papa esibita sul piccolo schermo da Fabrizio del Noce valeva da sola la vista del tg. Anche la semplicità, disinvoltura, decoro del popolo cubano era molto bella; così come la sfilata dei vescovi, ben pasciuti e muniti di tutti i loro paramenti, era da ammirare e smentiva la propaganda di una chiesa perseguitata. Insomma la parte spettacolare era molto autentica e significativa e per lo più strìdeva con i commenti.

Le cose più sicure sono che cosa il papa si sia proposto, che cosa Fidel, quali vantaggi e su che terreno ambedue ne ricaveranno. Certo Fidel riceve una sorta di legittimazione morale molto importante, e senza il bisogno di produrre molti mutamenti: è vero che il papa ha fatto cenno spesso alla libertà, in particolare per i detenuti politici, ma non vi si è poi soffermato tanto, né con toni aspri. Poiché anni addietro è stato in Cile, Argentina, Brasile, Indonesia e non ha detto niente sui detenuti e scomparsi, certo non poteva tirar fuori questo argomento solo a Cuba: sarebbe apparso di singolare sproporzione.

Il papa si è risparmiato anche le rampogne che di solito fa a chi ha un sistema scolastico esclusivamente pubblico, a chi ha una legislazione sul divorzio e sull'aborto, ecc.

Non si capisce se è glissato via su questi argomenti perché li riteneva inutili, oppure perché, appena sceso dall'aereo, ha subito saggiato che Castro non pareva intenzionato a evitare citazioni di fatti scomodi accaduti nei secoli precedenti. Basta infatti appena ricordare le imprese coloniali per capire che l'esaltazione della rivoluzione cristiana come ispirata ad amore, generosità e pace sarebbe suonata falsa. Così i due si sono guardati, misurati e poi accuratamente evitati sugli argomenti spinosi.

In ogni modo il cenno più ripetuto e frequente, quasi da denuncia, è la questione dell'embargo Usa su Cuba. Il papa sembra averne fatto un punto cardine della sua visita, per il resto affettuosa, persino poetica nel passo improvvisato sulla pioggia benefica che ha salutato la sua partenza e nelle battute con la folla. Dunque denuncia del carattere iugulatorio dell'embargo, sollecitazione a toglierlo: ma, di fronte alle pudenda fuori dalla cronaca, impegno rivolto a tutti i paesi di popolazione cattolica dell'America latina di romperlo, di far valere i doveri di solidarietà verso un popolo affamato.

Che significa tutto ciò? E' vero che forse il papa preoccupato della sovrabbondanza e oppressività di un solo potere politico ed economico nel mondo e può pensare che Cuba sia un puntello forte per avviare una sorta di azione di bilanciamento, giocoforza sollecitato da lui, il papa, dato che non vi è più né l'antagonista storico del capitalismo Usa, né l'area dei paesi che un tempo si chiamarono non allineati e che furono guidati da Fidel. Che sia una chiamata a provare ancora a costruire una qualche area in certo modo non allineata, non sottomessa ?

Bisogna riconoscere che in questo momento le voci critiche verso le prime ingiuste conseguenze della globalizzazione vengono tutte dal mondo cristiano. Cenni frequenti nei discorsi del papa, studi ormai diffusi su varie riviste missionarie o di teologia o di gruppi religiosi impegnati: da Concilium a Missione oggi a Mani tese, le voci negative non mancano e il papa sembra convalidarle.

Questo può ben essere il motivo fondamentale della sua visita, ed è di tale importanza che si possono lasciar correre anche alcune superficialità o inesattezze, tipo l'aver scoperto il blocco contro Cuba trentanni dopo che fu messo, oppure di aver associato tutta la storia cristiana dell'America Latina alla religione cattolica, invece di riconoscere il carattere di sopraffazione e di strumentalizzazione reciproca tra potere politico-economico e potere religioso. Ma non si può volere tutto.

Ciò che mi turba e preoccupa non è tanto ciò che il papa ha detto, le speranze che può aver acceso a Cuba, la correzione del suo ferreo anticomunismo, di fronte agli eccessi del capitalismo; non è dunque tanto il merito di ciò che ha detto, quanto il fatto che sia solo il potere religioso a dire ciò. La miseria della politica non è mai apparsa così limpida, così ampia, così profonda. E pensare quanto potere è nelle mani di uomini di miserabile statura culturale politica e morale, e forse al fatto che non solo non si toglie l'embargo a Cuba, ma nemmeno all'Iraq e che la condanna dell'Algeria è frenata dal petrolio, si viene quasi indotti a sperare che parli forte una voce meno coinvolta in interessi terreni molto pesanti. E nello stesso tempo si teme di una supplenza che non può essere protratta troppo a lungo, né in effetti supplire a molto più che alle parole non dette, alle responsabilità non assunte. Non per parafrasare Stalin, ma insomma non so quante banche abbia il papa, quanti giochi di Borsa possa influenzare.

Forse poi non tanto pochi? Non ha carri armati, però magari nell'economia non è sprovveduto di influenze ?

Quasi si vorrebbe sperare che sia così: ma allora si vorrebbe anche che la cosa fosse nota.

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