"Sulle pensioni non servono altri interventi"
Sono in molti a riconoscere che i sindacati confederali siano stati protagonisti, dal 1992 ad oggi, del risanamento economico del Paese. Ma quanto è costato, in termini di consenso, mantenere una linea di responsabilità?
"Penso che il risultato sia un saldo attivo. Anzitutto il processo di risanamento è andato avanti con un contributo importante dei sindacati, ma i soggetti che vi hanno contribuito sono anche stati altri. Però, per noi il vantaggio è stato indubbio: il risanamento ha aiutato una riduzione dell'inflazione ed è stato favorito dall'introduzione di meccanismi di redistribuzione più equa, come quelli previsti con la politica dei redditi dall'accordo del luglio del '93. La moderazione salariale può avere inizialmente scontentato qualche settore forte, ma credo che alla fine sia stata metabolizzata positivamente dalla stragrande maggioranza dei lavoratori".
I lavoratori hanno insomma capito ...
"Secondo me sì. Dal punto di vista del consenso generale il saldo è positivo".
Alcuni analisti economici sostengono che il recente nuovo accordo sulle pensioni non è ancora sufficiente e dovrà essere rivisto. Cosa ne pensa il segretario del maggiore sindacato italiano, dopo che sulla questione pensioni era stato per così dire scavalcato da Bertinotti?
"Sono previsioni che non condivido. Credo che la soluzione trovata alla fine possa garantire un equilibrio nel medio periodo senza problemi particolari. Ovviamente non bisogna mai scordarsi che la modifica dell'assetto previdenziale ed i risparmi che ne derivano, soprattutto dall'unificazione dei regimi, va sempre accompagnata da due processi, che troppe volte si danno per scontati, ma che tali non sono. Il primo è l'aumento dell'occupazione, perché solo aumentando il numero di persone che contribuiscono ad alimentare lo stato sociale esso può sorreggersi. D'altro canto, lo stato sociale viene sostenuto per via fiscale ed attraverso i contributi: se aumentano le persone che lavorano aumenta la ricchezza che si produce e gli effetti sono positivi.
L'altro fattore è che bisogna continuare a combattere, come si è cominciato a fare con qualche coerenza negli ultimi anni, il fenomeno dell'evasione contributiva. Regolarizzare i lavoratori immigrati, combattere l'evasione in senso stretto - sia di lavoratori dipendenti che di lavoratori autonomi - da un aiuto e un contributo molto rilevante alla stabilizzazione del sistema previdenziale. Io non ho le preoccupazioni che mostrano alcuni analisti: il lavoro fatto sulle pensioni garantirà equilibrio".
Il ministro del Tesoro ha annunciato ai partners europei un progetto per ridurre il rapporto tra debito e PIL al 100% entro 5 anni e al 60% (parametro previsto dall'accordo di Maastricht) entro il 2010. Lei era a conoscenza di questo piano? Lo condivide?
"No, non siamo stati informati. Ma credo che non esista ancora un piano. Esiste una volontà. Avremo occasione di discuterne e avremo occasione di verificare nel merito, con precisione. Quel che conta è che una programmazione di rientro dal debito sia accompagnata da politiche di sviluppo".
Ritiene che una misura così ambiziosa per i conti pubblici possa mettere in pericolo l'annunciato programma per l'occupazione promesso dal Governo?
"Dipende da come verrà attuata e soprattutto se sarà accompagnata, come dicevamo prima, da politiche espansive. Se c'è una crescita di una qualche consistenza la programmazione di rientro dal debito non crea difficoltà".
Il primo ministro francese Jospin ha dichiarato che, con tutti i vincoli che l'unione monetaria sta imponendo ai singoli paesi europei, anche la politica dei redditi è e sarà sempre meno sotto il controllo nazionale. Come si sta preparando il sindacato all'unione monetaria?
"Jospin ha detto una cosa giusta. Bisogna progressivamente costruire, anzi consolidare e affinare, meccanismi redistributivi sovranazionali. Credo però che per un periodo non breve permarranno ancora esigenze soprattutto nazionali in questa materia. Bisogna fare le due cose insieme: mantenere i livelli di redistribuzione nazionali e renderli più coerenti con quelli che governeranno l'economia dell'Europa".