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Bolivia: una nuova Costituzione

“Ritmo del mondo” e conquiste democratiche all’epoca di Evo Morales

Francesca Caprini

In Bolivia, che tu sia nel cuore di una città o perso nell’aria rarefatta degli altipiani, sai sempre quel che succede nel resto del Paese. E succede sempre qualcosa. La Bolivia è come un cuore palpitante, severo e instancabile. Non è mai quieto, non è mai silenzioso. E non lo sarà mai: il Pachakuti, il ritmo del mondo, la rivoluzione dell’esistente, è l’anima della cultura andina ed un concetto lontano dalla visione occidentale: parla di processo e di divenire costante, non di mete da raggiungere.

Nei due anni che abbiamo vissuto lì, assieme ad alcune comunità indigene e contadine sulle pendici delle Ande, è la cosa più importante che abbiamo imparato.

Il 25 gennaio 2009 la gente boliviana ha votato la nuova Costitucion Politica del Estado (CPE). 3,9 milioni di persone – su un totale di 8 – si sono recati alle urne per approvare o respingere il testo costituzionale, risultato dei lavori dell’Assemblea Costituente durati circa un anno. Poco più del 60% della popolazione ha detto sì. Non è stato un risultato travolgente, non almeno quanto ci si aspettasse: la speranza era che la spaccatura economica, politica e culturale fra le regioni andine a maggioranza indigena e quelle orientali – ricche e a maggioranza bianca – si potesse smussare.

Ma è stato un voto significativo. La nuova Costituzione parla di 36 "nazioni indigene", con una loro autonomia e il rispetto dei loro usi e costumi. In tema di giustizia è stata legalizzata quella comunitaria, che arriva a consentire addirittura la punizione fisica ai propri rappresentanti politici (che quindi, in genere, rispettano gli impegni presi). Nella CPE la religione cristiana - cattolica ed evangelista -, largamente diffusa, viene parificata a quella animista andina e ai sincretismi nati dalla fusione delle due in cinque secoli di violento colonialismo. La foglia di coca, pianta sacra per le popolazioni originarie ed ottima amica contro stanchezza, fame e sete, è ora depenalizzata, con conseguenti irritazioni politiche a Washington. Decenni di lotte al narcotraffico, che avevano messo sullo stesso piano la produzione di cocaina e la sacralità della pianta, simbolo di una terra e di una cultura, vengono archiviati, assieme alle stragi di cocaleros (raccoglitori di coca) degli anni ’90. Nei 411 articoli della nuova Carta, si dà ampio risalto alla difesa dell’acqua come bene comune, e così per le risorse energetiche. E’ sicuramente un passo storico per il Paese.

Quando siamo arrivati in Bolivia la prima volta per seguire con l’associazione italiana Yaku un progetto di costruzione fognaria in una zona periurbana di Cochabamba, terza città del Paese, Evo Morales doveva essere ancora eletto e si respirava a pieni polmoni la speranza di riscossa e di nuova progettualità che la Guerra dell’Acqua nel 2000 (la cacciata della multinazionale statunitense Bechtel che aveva privatizzato l’acqua) aveva regalato al Paese e al mondo intero: lo sforzo della gente "sencilla e trabajadora" (semplice e lavoratrice), convogliata nei movimenti indigeni, operai, contadini, studenteschi, aveva avuto come obiettivi il recupero della sovranità popolare e il superamento del modello neoliberale, ma, più in profondità, l’attuazione di un nuovo sistema di relazioni sociali. Di un nuovo "ordine".

La nuova CPE, in verità, ha deluso molti. In primis, proprio quei movimenti sociali che credevano, attraverso l’elezione del loro compagno Morales, di rifondare l’idea stessa di Stato. Il latifondo non è stato fermato. E i dubbi sulla capacità di gestione di uno Stato al contempo socialista ed indigenista, sono tanti. D’altra parte, i nostri hermanos, quelli con cui abbiamo condiviso – e con cui continuiamo a farlo – alcuni anni della nostra vita, raccontano che i propri genitori, minatori di Potosì, contadini di Oruro, fino a meno di cinquant’anni fa non potevano nemmeno permettersi di sedere sulle panchine delle piazze. Non potevano camminare sui marciapiedi. Tutt’ora, in molte parti della Bolivia, gli indigeni sono schiavizzati.

Ancora una volta ci spiegano che anche questa è una tappa del divenire. E che il popolo boliviano non smetterà mai di combattere.