Lettera dalla Bolivia
Carissimi, è notte. La piccola falce del quarto crescente della luna, nel cielo nero, non riesce ancora a sbiadire le stelle che qui, a 4.000 metri e senza illuminazione pubblica, brillano e danno alla notte la sensazione di mille presenze vive.
Sono arrivato a Qorpa questa mattina. Ieri ho partecipato al Consiglio Presbiterale della Diocesi a El Alto, e questa mattina all’alba ero a Chacaltaya, un quartiere di El Alto, ad aspettare il minibus di linea che mi avrebbe riportato qui. La mattina la temperatura è polare, però la gente è già in piedi cominciando la giornata. La fermata dei minibus è tutto un mondo: i voceadoeres dei minibus, gridano insistentemente e tutti assieme, annunciando la destinazione della loro corsa; i venditori ambulanti propagandano i loro prodotti; i vigili cercano mance fra gli autisti per permettere loro di sostare un po’ più a lungo in attesa di passeggeri; la gente aspetta, attenta ad ogni nuovo minibus, per poter abbordare il suo prima che altri gli rubino il posto; un piccolo lustrascarpe vede nelle mie scarpe piene di polvere la possibilità di guadagnarsi la colazione; il traffico caotico di El Alto è la cornice di tutto questo formicaio dove ognuno è una formichina indipendente che si muove fra cento altre come se queste non esistessero.
Arriva il mini; guardandomi attorno vedo che sono parecchie le persone che si pongono in movimento interessate allo stesso furgoncino. Mi sembra però che ci sia abbastanza spazio nel mezzo che si avvicina. In ogni caso mi preparo all’abbordaggio: mi va abbastanza bene e mi ritrovo seduto nell’ultimo posto, accanto a una simpatica vecchietta la cui gonna voluminosa si ammucchia sulle mie ginocchia aiutandomi a recuperare il calore perso nell’attesa. C’è ancora un posto libero, ma le proteste dei passeggeri spingono l’autista a partire; anche i vigili contribuiscono alla partenza, infastidendo con la loro caccia alle mance.
Due chilometri più in là troviamo tre persone che fanno segno di fermare; ed entrano approfittando dell’unico posto libero. Le cinture di sicurezza, se ci fossero, sarebbero superflue: siamo così pigiati che nessuno può muoversi. Gli scossoni aiutano a sistemarci intrecciandoci reciprocamente: anche il riscaldamento, se ci fosse, sarebbe superfluo.
La vecchietta accanto a me commenta ogni cosa: in breve sappiamo molte cose sul suo conto, ed anche lei aumenta le sue conoscenze riguardo ai passeggeri più vicini: non riesce ancora a dipanare il mistero della mia presenza: cosa ci fa un gringo su questo minibus? Io m’accorgo della curiosità nei miei confronti e mi diverto a stuzzicarla parlandole un po’ in aymara...
Prima pausa: si buca una gomma. Scendiamo tutti, meno una giovane coppia con un bambino di tre anni, che accompagna l’autista nel sedile anteriore: restano tutti e tre stipati lì davanti.
Per fortuna c’è la ruota di scorta. Una gallina chiusa in un sacco approfitta per sgranchirsi le zampe ed il sacco si allontana di qualche metro, subito riacciuffato dalla padrona. Qualche metro più in là qualcuno approfitta per fare i propri bisogni, ed una signora raccoglie un mazzo di una erba medicinale che cresce lì attorno.
La ruota è cambiata e ritorniamo a bordo: non riusciamo più a sistemarci negli studiati intrecci precedenti, però i prossimi scossoni ci aiuteranno. La fragranza dell’erba medicinale della signora riempie il piccolo volume d’aria disponibile e dà perfino una sensazione di freschezza. La gallina si fa sentire dal suo sacco: dev’essere ben pigiata anche lei!
Seconda pausa: le tre persone entrate per ultime sono arrivate e scendono: tutti si sentono un po’ più comodi. Il sole ormai è alto nel cielo ed il suo calore è ricevuto con gratitudine. L’autista, stranamente, mette fretta ai passeggeri che scendono, e sembra preoccupato. La preoccupazione si diffonde rapidamente per tutto il minibus: la giovane donna seduta davanti accanto all’autista e a suo marito, è incinta e sembra che si senta male. La conversazione si fa viva ed ognuno commenta a modo suo: c’è chi si preoccupa per la signora, chi inveisce contro la leggerezza del mettersi in viaggio in quello stato, chi approfitta per mettere fretta all’autista per arrivare più presto, chi ricorda un’esperienza simile già vissuta.
Ad un certo momento si fa silenzio: l’autista guida guardando di fianco, invece che la strada e la gente si rende conto che non si può più aspettare. Il minibus si ferma infine sul ciglio della strada e gli sguardi di tutti sono fissi sulla giovane mamma che, stretta fra la portiera ed il marito, cerca di accomodarsi come può per permettere il parto. Presto spunta fuori il neonato, che è recuperato dal papà da sotto le ampie gonne della moglie. La vecchietta accanto a me, mi dà un panno bianco che io passo alla coppia. Il povero papà consola il figlioletto spaventato facendogli vedere il fratellino, però non sembra che la vista di quel neonato insanguinato tranquillizzi molto il piccolo.
Frattanto, da fuori, ognuno dà il proprio consiglio: occorre uno spago per annodare il cordone, un coltello o una forbice per tagliarlo, nessuno pensa a disinfettanti e neppure io voglio complicare la situazione cercando l’impossibile. Non si trova nulla di quanto servirebbe. Tutto ciò che si può recuperare è il panno bianco della vecchietta accanto a me.
L’autista è nervoso: pensa che qualsiasi complicazione gli potrà essere imputata e non vuole proseguire il viaggio. In effetti, la giovane coppia del sedile anteriore, con un neonato ancora legato alla madre dal cordone ombelicale, non invita a riprendere il viaggio. Cominciano però ad innervosirsi anche i passeggeri, la cui pazienza e previsione d’arrivo si fanno sempre più lontani. Alla fine una bella notizia per tutti: anche la placenta è stata espulsa! Si tratta di riprendere il viaggio e in 15 chilometri arriveremo al centro medico di Guaqui.
Tutti a bordo, quindi, anche se ancora con un po’ di preoccupazione, contenti però per come si sono risolti gli eventi. Il neonato è un maschietto ed alla signora arrivano le congratulazioni dei passeggeri; perfino l’autista, che ha già recuperato il suo buon umore, riceve le congratulazioni dei presenti.
Arriviamo a Guaqui, lasciamo ad un meccanico la ruota bucata, e all’infermiera del centro medico la famiglia appena cresciuta. L’autista ed io facciamo da portantini improvvisati e il giovane papà va da una parte all’altra visibilmente inebetito.
Si torna in viaggio, la ruota non è ancora pronta, la ritirerà l’autista al ritorno. L’autista si pulisce le mani nello straccio sporco d’olio del furgone e così m’accorgo che anch’io ho le mani sporche di sangue; lo stesso straccio serve anche a me. Adesso sono sporco di olio di macchina.
La vecchietta ormai sa chi sono, e le battute su quanto è successo si intrecciano fra scherzi e risate. Io sono promosso padrino del neonato ed all’autista raccomandano di non accettare in futuro donne gestanti sul suo minibus.
Ogni passeggero che scende saluta, come si fa tra vecchi amici. L’ambiente poco a poco si calma, il mini si svuota e il mio sguardo si perde nell’infinito della pampa ormai gialla per le gelate notturne.
È quasi mezzogiorno, sono ormai l’ultimo passeggero ed arrivo anch’io a destinazione. Scendo, saluto l’autista con un’ultima battuta e sorridendo ancora fra me e me per l’accaduto, ringrazio il Padre per ciò che mi permette di vivere.
Un saluto anche a voi, aspettando Pentecoste, aspettando la festa dell’arrivo dello Spirito che ci fa tutti fratelli. Quanto a me, aspetto solo la festa, perché lo Spirito l’ho già incontrato questa mattina nel minibus.