Ciclovia del Garda: così non va bene
Il progetto della sezione trentina dell’opera non rispetta le prescrizioni, deturpa il paesaggio e non garantisce la necessaria sicurezza
Negli ultimi mesi il tema della Ciclovia del Garda ha visto impegnato il Coordinamento interregionale per la tutela del Garda - che riunisce comitati, privati cittadini e associazioni ambientaliste tra cui le sezioni di ItaliaNostra di Trento, Brescia e Verona - in un grande movimento di opposizione al progetto della Provincia di Trento per il gravissimo danno paesaggistico-ambientale che la sua realizzazione arrecherebbe ad un territorio di rara bellezza e maestosità, per il rischio idro-geologico e per i costi esorbitanti, che ancora mancano di alcune computazioni.
Questa ciclovia, che si inserisce nel Sistema Nazionale di Ciclovie Turistiche (SNCT), avrà uno sviluppo di circa 140 chilometri, 19 dei quali in territorio trentino, da Limone a Tempesta, e sarà collegata con l’itinerario n. 7, il “Percorso del Sole” della rete europea ciclabile EuroVelo.
La progettazione e realizzazione dei vari tratti è stata affidata alle Regioni e alla Provincia di competenza, previa la stipula di un Protocollo di intesa, ed è oggetto di valutazione da parte di Tavoli tecnici istituiti presso il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), e controllate da un Tavolo permanente di monitoraggio e valutazione. La Provincia di Trento è il soggetto capofila con funzione di coordinamento tra le Regioni e di interfaccia con il Ministero.
Per velocizzare l’iter autorizzativo la PAT ha dichiarato l’opera di specifico interesse strategico e istituito un commissariamento riguardante le opere relative alla sola sponda ovest, affidato all’ing. Francesco Misdaris, con l’obiettivo di completare l’intervento entro il 2025. Tale organizzazione permette di sottoporre i progetti a un iter semplificato, passando solo dalla Conferenza dei Servizi provinciale, che nel dicembre scorso ha espresso parere positivo, pur con una serie di prescrizioni.
Peccato che il progetto della Provincia di Trento, incurante dei criteri di coordinamento con le altre Regioni dove, a differenza che in Trentino, la tutela paesaggistica è affidata alla Soprintendenza per i Beni culturali, non abbia accolto le principali osservazioni esposte sul progetto di fattibilità: non solo quelle delle associazioni ambientaliste presentate al commissario in occasione di un paio di incontri preliminari, ma nemmeno quelle emerse nella Valutazione del Tavolo Tecnico del novembre 2022 (“La soluzione con le strutture a mensola ancorate in falesia comporterebbe una rilevante manomissione dovuta non solo alle opere relative alla realizzazione del percorso a sbalzo, ma anche alle notevoli opere di ingabbiamento con reti di protezione, per motivi di sicurezza, dell’intera falesia, alterando significativamente la percezione, soprattutto dal lago e più oltre dalla sponda veronese, di un elemento paesaggistico di grande valore”), che riprende il parere del Soprintendente di Bergamo-Brescia, arch. Luca Rinaldi del dicembre 2019 (“Questo Ufficio rileva forti criticità in merito alle scelte tipologiche di intervento che mostrano un forte impatto paesaggistico percettivo, e sono lesive dello stato di naturalità dei luoghi […] Nello specifico risultano non compatibili con la tutela delle coste del Lago le previste soluzioni a mensola […], una massiccia trasformazione e manomissione di un elemento paesaggistico di grande valore, riconosciuto sia dalla tutela oggi vigente ma, nel passato, dai visitatori (anche illustri) di tutta Europa. Si rammenta che la Gardesana Occidentale, realizzata tra il 1929 e il settembre del 1931 ed inaugurata alla presenza di Gabriele d'Annunzio, che la battezzò con il nome di Meandro, è una delle più spettacolari realizzazioni di architettura del paesaggio del XX secolo, celebre a livello internazionale”).
Le prescrizioni non rispettate
Il progetto della PAT, invece, taglia orizzontalmente la base delle falesie con una struttura metallica che in numerosi tratti è a sbalzo e che risulterà molto più impattante della passerella di Limone. La soluzione trentina, infatti, prevede una pista di 3,5 m. di larghezza (contro i 2,5 del tratto lombardo), distaccata di più di 1 m. dalla roccia, per un totale di circa 5 metri di sbraccio, da realizzare con pesanti strutture in acciaio, agganciate alle pareti rocciose mediante trivellazioni, scassi e getti di cemento armato.
Inoltre, per risolvere il problema di probabili dissesti e caduta di massi, alla già impattante struttura del piano viario si aggiunge, nei punti più esposti, anche una pesante copertura sostenuta da grosse putrelle verticali.
In altri tratti la ciclovia viene realizzata in galleria artificiale, incastonata nella falesia previa realizzazione di un piano di appoggio con notevole scasso di roccia. In due punti viene invece eseguita con sistema “a ponte”, supportata cioè da grandi pilastrate di cemento armato che poggiano direttamente sulle rocce.
Forti criticità sono presenti su tutto il circuito, anche nella zona del basso Garda, ma le problematiche presenti sul tratto trentino sono enormemente aumentate dalla previsione della struttura a sbalzo.
Le principali osservazioni critiche riguardano anzitutto lo sfregio paesaggistico arrecato dalla passerella a sbalzo, dotata di pesante tettoia, realizzata con grosse strutture metalliche che richiedono profonde trivellazioni nella roccia, e questo in un contesto di assoluto pregio. La ciclabile, vista da sotto (è il principale punto di vista da salvaguardare: quello del lago), appare come un serpente metallico che si aggrappa rigidamente ai piedi delle più belle falesie d’Italia, mentre i soprastanti versanti rocciosi saranno frazionati dalle barriere paramassi. Produrrà inoltre un ostacolo visivo tra la strada gardesana - abilmente progettata nel 1929, come “strada parco”, connessa a pregiate alberature e punti di belvedere e dichiarata “strada panoramica” - e il lago.
C'è poi un danno ambientale prodotto dall’artificializzazione delle rive e dall’asportazione della secolare vegetazione dai versanti rocciosi per il loro imbragamento con reti di contenimento dei massi, prevista anche in corrispondenza di ecosistemi pregiati (ad esempio, in località Val Gola, dove la riserva naturale è luogo di riproduzione di una rarissima specie di arbusto).
Quanto alla sicurezza contro frane e smottamenti, sembra impossibile da garantire, data l’altezza delle rocce a picco e la loro costituzione di roccia friabile soggetta a continue disgregazioni e distacchi. Quasi tutta la costa ovest è inserita nel PUP in zona di rischio idro-geologico con penalità elevate.
Sembra quindi assurda la realizzazione di un’infrastruttura che richiamerà migliaia di persone al giorno esponendole proprio nel tratto più pericoloso, dato che spoiler, barriere paramassi e reti di contenimento non possono escludere il pericolo, ma solo “mitigarlo”, così come dichiarato anche nella relazione geologica allegata al progetto.
I costi
I costi, inoltre, pur non ancora ben definiti, appaiono già ora esorbitanti e soggetti a sicuri aumenti. Nel 2019 è stato calcolato, mediante una stima preliminare, un importo totale di 344 milioni di euro, di cui 60 per il tratto trentino. Con la redazione di una progettazione più specifica, che ha meglio focalizzato la situazione, si è previsto che i costi verrebbero addirittura triplicati. Un calcolo realistico ci porta quindi ad ipotizzare per la ciclovia trentina un importo di circa 100 milioni e per l’intero anello un importo di quasi un miliardo di euro. Da rilevare inoltre che l’incidenza delle opere di manutenzione, che ad oggi non è ancora stata preventivata, sarà elevatissima, aumenterà nel tempo e probabilmente sarà a carico degli Enti locali.
Suscita poi perplessità la stessa funzionalità della struttura, che si propone come mobilità alternativa per i ciclisti, ma che in realtà è un percorso previsto anche per i pedoni, il che non permetterà agli sportivi un’andatura regolare, come già succede sulla passerella di Limone, per il rischio di collisioni e sarà un disincentivo per chi cerca una fluidità di movimento e che quindi si dirotterà sulla Gardesana, già molto congestionata.
L’alternativa
L’alternativa c’è. È funzionale, rispettosa del contesto paesaggistico e molto più economica. Si chiama intermodalità di trasporto. E non è ideata dai coordinamenti o dalle associazioni, ma è auspicata in tutti i gradi di programmazione delle ciclovie. Tra gli obiettivi elencati nel Protocollo di intesa ministeriale per l’istituzione della Ciclovia del Garda, oltre allo sviluppo del turismo, del ciclismo sportivo e della mobilità sostenibile, c’è l’individuazione e l’incentivazione del sistema di intermodalità di trasporto auto-treno-autobus-bicicletta-battello.
Inoltre, sempre tra gli obiettivi fondativi, c’è la valorizzazione del territorio, delle sue emergenze storiche, architettoniche e naturalistiche, la promozione del patrimonio storico-artistico, la coniugazione tra la mobilità sostenibile e le esigenze della tutela ambientale, della difesa del territorio e del turismo.
In definitiva l’intervento deve essere strettamente collegato alla valorizzazione del territorio, da perseguire tenendo conto della conformazione dei siti.
È chiaro a questo punto che la ciclovia Provincia di Trento non rispetta gli obiettivi definiti dalle varie normative, costituisce uno sfregio del paesaggio, un danno al delicato ecosistema del Garda, un esborso folle di denaro pubblico e un’esposizione dei ciclisti e pedoni al potenziale rischio di caduta massi.
Il tema della ciclovia ha quindi messo in allerta non solo le associazioni ambientaliste, ma numerose associazioni territoriali e un folto gruppo di cittadini che si sono riuniti nel Coordinamento Interregionale per la tutela del Garda, operativo dai primi mesi dell’anno in corso.
Dopo la fase di recupero e studio approfondito dei tanti progetti che compongono l’opera, numerose sono state le iniziative fin qui condotte, dalla petizione lanciata sul sito change.org, ai sit-in per la sensibilizzazione della cittadinanza, agli articoli per i giornali e i media, ad incontri e conferenze. In luglio sono stati consegnati due esposti alla Procura della Corte dei Conti di Trento per l’esubero dei costi rispetto a quanto originariamente previsto e per la mancanza di definizione degli importi di manutenzione, mentre proprio in questi giorni è in fase di redazione un nuovo esposto per danno ambientale.
L’obiettivo è chiedere la sospensione del progetto, la sua completa revisione, il suo adeguamento ai criteri di sostenibilità, l’attivazione della soluzione della via d’acqua nella zona dell’alto Garda.
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Manuela Baldracchi è presidente della sezione trentina di Italia Nostra.