Brentonico Dry, un cocktail insostenibile
Una storia che parte dalla Marmolada, passa per Dubai e torna in Trentino, sull’altopiano di Brentonico. Una storia di siccità, miopia e scelte sbagliate. Che rischiamo di pagare carissimo.
Benvenuti all’inferno
3 luglio 2022, Marmolada. Il persistente caldo anomalo causa un enorme crollo nella parte sommitale del ghiacciaio. La valanga di neve, ghiaccio e roccia investe diverse cordate di escursionisti, causando 11 vittime. L’estate più calda e secca di sempre inizia così, con un presagio di morte che però, nei fatti, come spesso capita, verrà ignorato.
La perdita dei ghiacciai rappresenta il fenomeno più visibile tra gli effetti del surriscaldamento climatico in atto. In Trentino, il processo sta accelerando: ad oggi si stima che la loro superficie sia ridotta a circa un quarto rispetto al massimo della cosiddetta Piccola Era Glaciale (fine del XVII secolo).
E nel 2022 all’esaurimento delle riserve d’acqua ghiacciata in quota si è sommata una siccità senza precedenti. Secondo i dati di Meteotrentino, a Rovereto nei primi sette mesi dell’anno ha piovuto meno della metà rispetto alla norma, solo 281 mm di pioggia, valore minimo dell’intera serie di misurazioni, partite nel 1882.
La siccità ha fatto il paio con un caldo del tutto anomalo, manifestatosi non tanto nei record delle temperature massime quanto piuttosto nelle prolungate fasi calde e nei valori elevati delle temperature minime notturne. Sempre presso l’osservatorio di Rovereto, dove il mese di luglio 2022 è risultato il secondo più caldo in assoluto dell’intera serie con una temperatura media di 28,2 gradi centigradi, si è registrato un nuovo record nella lunghezza della sequenza ininterrotta di giorni con temperatura massima maggiore di 30 gradi: ben 45 (23 giugno - 6 agosto 2022), di gran lunga superiore al record precedente di 35 giorni (27 giugno - 31 luglio 2015).
Con i suoi record, l’estate 2022 ha messo in evidenza, anche - e forse soprattutto - in Trentino, l’ingombrante presenza del cambiamento climatico nelle nostre vite. Se fino a ieri erano stati soltanto i dati e i rapporti scientifici a metterci in guardia, oggi è la quotidianità stessa a farlo. Dovremmo tutti quanti preoccuparci di mitigare il surriscaldamento e di adattare a esso le nostre esistenze, per evitare futuri, maggiori danni. E invece? Invece andiamo a sciare. Senza neve.
Modello Dubai
Quando gli storici del futuro - se per l’umanità ce ne sarà ancora uno - si chiederanno come sia stato possibile che Homo Sapiens si sia spinto fino al collasso climatico senza fare nulla per evitarlo e anzi accelerando progressivamente il processo, senz’altro troveranno emblematico, forse più di qualsiasi altra cosa, lo Ski Dubai. Una stazione sciistica al coperto, creata all’interno di uno dei più grandi centri commerciali del mondo. Più di ventimila metri quadrati, una seggiovia e cinque piste aperte tutto l’anno. In un posto, Dubai, dove il clima è subtropicale desertico, la temperatura media va dai 20 gradi di gennaio ai 36,5 gradi di agosto e in tutto l’anno non cadono più di 100 millimetri di pioggia. Com’è possibile? Semplice: si spara la neve coi cannoni e la si mantiene costantemente a una temperatura di -1 gradi durante il giorno e -6 gradi durante la notte, consumando quantità immani di acqua e di energia.
Dubai, però, è solo la punta dell’iceberg (si fa per dire...). In tutto il mondo ormai da parecchio tempo il cosiddetto sistema neve è drogato e tira avanti a cannoni. La gran parte della neve su cui si sono disputate tutte le Olimpiadi invernali a partire da quelle statunitensi di Lake Placid nel 1980 era artificiale (e le ultime, quelle di Pechino 2022, sono state le prime svoltesi esclusivamente su neve artificiale).
Proprio nel 1980, in Italia, ci fu il primo inverno “senza neve”. Fu in quegli anni che il cosiddetto “snowfarming” prese il volo, nel nostro Paese e nel mondo. Oggi moltissime strutture sciistiche rischierebbero ovunque perdite enormi se dovessero basare la propria apertura solo sulla neve naturale. Tradotto: nel sistema attuale, senza la neve artificiale, addio sci, o quasi.
Il problema è che il gatto (delle nevi) si morde la coda, e che prima o dopo finirà per mangiarsi anche il resto del corpo. Più fa caldo, più si usano i cannoni sparaneve. Più si usano i cannoni sparaneve, più si emettono gas serra - in Italia, solo il 40% dell’energia consumata dagli impianti sciistici, dai quali l’innevamento artificiale dipende, proviene da fonti rinnovabili (idroelettrico), il resto è fossile (senza contare le emissioni indirette delle centinaia di gatti delle nevi operanti sulle piste, che vanno per lo più tutti a gasolio, nonché delle frotte di turisti che si spostano in auto da e per le località montane). Più si emettono gas serra, poi, più fa caldo. E più fa caldo, meno la neve artificiale ha senso, perché, da brava neve, ha bisogno di temperature basse per conservarsi (costando sempre di più: nel 2021 per produrre un metro cubo di neve artificiale in Italia si spendeva tra i 3 e 4 euro; ora, con la crisi energetica, siamo già a 6-7: follia economica oltre che ambientale).
A mettere tutti in guardia da questo devastante circolo vizioso fu Luca Mercalli già nel lontano 1998, quando, meteorologo ancora sconosciuto al grande pubblico, sulla “Rivista della Montagna” previde che i cannoni, già ampiamente usati all’epoca, in futuro sarebbero diventati inservibili per mancanza di freddo. “La cura - rifletteva Mercalli - non consisterà certo nel far nevicare dove il clima non lo consentirà, ma si tradurrà in una pianificazione anticipata che guarda lontano, al fine di attutire il colpo che potrebbe stordire la fragile economia delle comunità di montagna”. Parole al vento. La risposta è stata, all’opposto, il modello Dubai. Se non fa freddo, creiamo pure quello. Ed ecco così il demenziale progetto di aprire anche in Italia, a Selvino, nel bergamasco, il primo skidome italiano, sotto quota mille metri. O ad Arese, a Milano, dove i metri sul livello del mare sono 160. E pure lì, come a Dubai, dentro un centro commerciale.
Modello Brentonico
Il Trentino non fa eccezione e prende parte pienamente a questa follia. Ancora non si sente parlare, da noi, di stazioni sciistiche indoor, ma di recente Trentino Sviluppo, e quindi la Provincia, ha investito, ad esempio, su un tipo di neve artificiale che resiste fino a 15 gradi sopra lo zero: un’idea della start-up roveretana NeveXN (nel frattempo assorbita dall’altoatesina Demaclenko). Al di là di tutto quanto sa di avveniristico, i bacini idrici per l’innevamento artificiale sul territorio provinciale sono una presenza ormai antica, si contano oggi a decine e sono in continuo aumento (il progetto che, data la bassa collocazione altimetrica, più alimenterebbe il circolo vizioso preconizzato da Mercalli, quello alle Viote per il comprensorio sciistico Monte Bondone, è stato riproposto quest’estate da Trento Funivie dopo essere già stato bocciato nel 2020 in commissione urbanistica comunale). Insomma, pure in Trentino si pensa e si fa di tutto per avere la neve a ogni costo, anche se fa caldo. Perché il sistema è drogato e ha sempre più bisogno di cannoni, altrimenti, anche da noi, il vecchio modello di turismo invernale - sci, auto e cemento - collassa.
Dopo la siccità senza precedenti dell’estate 2022, a farsi avanti prepotentemente quale maggior emblema dell’insostenibilità di tale modello è stata una località piuttosto ai margini dell’industria invernale trentina, dove, proprio per questa marginalità, le contingenze hanno creato, all’approssimarsi della nuova stagione sciistica, una situazione del tutto paradossale e addirittura grottesca.
Il comprensorio sciistico Altopiano di Brentonico - Polsa/San Valentino si trova all’interno del comune di Brentonico, sul Monte Baldo, nel Trentino meridionale. Di taglia medio-piccola, conta cinque impianti di risalita e 26 chilometri di piste, collocate tra i 1.260 e i 1.583 metri. Un’altitudine alla quale la neve naturale scarseggia sempre di più e potrebbe diventare, in prospettiva, rara quanto a Dubai. Per questo le piste del comprensorio sono tutte innevabili artificialmente ed è quella sparata dai cannoni, ormai, la neve su cui, da queste parti, quasi sempre si scia.
La stazione sciistica è gestita da Brentonico Ski, già “salvata” da Trentino Sviluppo nel 2016 con l’acquisto, per mezzo milione di euro, degli asset funiviari, cannoni sparaneve inclusi. Gli stessi che, a inizio novembre, Brentonico Ski ha posizionato diligentemente sulle piste, pronti a innevarle in vista dell’apertura della stagione sciistica, prevista il 3 dicembre. Come ogni anno. Solo che quest’anno, l’anno della Grande Siccità, la cosa non poteva passare inosservata. Da Brentonico Ski a Brentonico Dry, il passo è stato breve.
Sono stati i ragazzi di Fridays For Future Trento a scegliere proprio la stazione sciistica di Polsa/San Valentino per levare la loro protesta: “Non c’è più acqua da bere, pretendono neve per sciare”, si leggeva sullo striscione srotolato sulle piste dell’altopiano a inizio novembre. Con tutte le stazioni sciistiche che ci sono in Trentino, perché prendere di mira proprio una delle più piccole? Semplice. Perché quest’estate a Brentonico è iniziata la più grave crisi idrica di sempre, e soprattutto la più lunga: a differenza di quanto accaduto in molti altri comuni trentini, a Brentonico l’emergenza non è rientrata col finire della stagione calda e tuttora, ad autunno inoltrato, non se ne vede la fine.
Il territorio di Brentonico è carsico e l’approvvigionamento idrico si basa sullo sfruttamento di tante piccole sorgenti, particolarmente esposte alla mancanza di precipitazioni ed entrate in gravissima sofferenza dopo quasi un anno trascorso praticamente senza pioggia.
La prima ordinanza del sindaco viene emanata il 23 giugno: vietato l’uso dell’acqua potabile se non a fini domestici, restano a secco fontane, piscine, orti, giardini. Non basta, e il 21 luglio si arriva al secondo provvedimento: fornitura idrica sospesa tutti i giorni dalle 23 alle 6 in numerose frazioni di Brentonico, tra cui proprio quelle di Polsa e San Valentino, le sole per le quali, il 5 agosto, un nuovo provvedimento stabilisce la sospensione anche dalle 14 alle 18. Un fatto senza precedenti. Nel frattempo, inizia l’inquietante spola delle autobotti dei vigili del fuoco dal fondovalle per portare acqua ai serbatoi rimasti a secco, attività che prosegue tuttora, ormai a fine novembre: milioni di litri d’acqua costati all’amministrazione comunale, fino a ottobre, oltre sessantamila euro.
Quella di Brentonico è stata una tempesta perfetta (si fa sempre per dire...), generata da decenni in cui il rischio di sofferenza idrica non è stato adeguatamente affrontato a livello infrastrutturale (l’acquedotto comunale avrebbe dovuto da tempo essere collegato alla copiosa sorgente Spino di Rovereto, di portata così elevata da aver fornito acqua in eccesso anche durante la siccità di quest’anno), mentre sull’altopiano aumentavano residenti e turisti, nonché gli utilizzi agricoli di chi ha pensato bene, in questi ultimi anni, di trasformare le terre più basse del territorio comunale, quelle tra i 400 e i 600 metri, in una vera e propria monocoltura della vite, del tutto fuori luogo in un territorio privo delle necessarie disponibilità idriche.
Nello stesso periodo è del tutto mancata, all’interno della comunità, una reale volontà di cambiare modello turistico e di sviluppo in generale. Parla chiaro in tal senso il progetto, mai archiviato e tuttora in trepidante attesa di sblocco, del collegamento funiviario Polsa-Malcesine, in un’area delicatissima dal punto di vista ambientale, il Monte Baldo. Un luogo dalla biodiversità così notevole da essere soprannominato “Hortus Europae”: sulle sue pendici si trovano il 43% dell’intera flora alpina, la metà di tutte le specie di orchidee italiane e ben il 40% delle specie di farfalle conosciute. Un patrimonio tale da aver indotto di recente tanto la Provincia autonoma di Trento quanto la Regione Veneto a deliberare l’avvio dell’iter per candidare il Monte Baldo a Patrimonio Mondiale UNESCO. Un patrimonio che andrebbe valorizzato e soprattutto tutelato. E che invece viene preso a cannonate di neve.
Brentonico è un emblema. Riflette in modo esemplare le contraddizioni e le assurdità che quasi ovunque, in Trentino come nel mondo, hanno luogo sull’onda dell’ormai immancabile greenwashing, ovvero l’odiosa pratica di dichiararsi pubblicamente sostenibili quando, nei fatti, ci si comporta in modo opposto.
La Provincia di Trento ha approvato nel 2021 la “Strategia provinciale per lo sviluppo sostenibile”, che descrive una visione sostenibile del Trentino del futuro e le azioni da mettere in campo per realizzarla: nel capitolo dedicato al turismo sostenibile si immagina un Trentino del futuro in cui “il turismo è destagionalizzato”, “l’offerta invernale è sostenibile e diversificata” e “lo sci da discesa permane solo nei territori particolarmente vocati ad esso”.
Il Comune di Brentonico, dal canto suo, ha ottenuto da tempo la certificazione ambientale europea EMAS (Eco-Management and Audit Scheme), la quale imporrebbe un’attenzione maggiore verso l’ambiente e la riduzione degli impatti su di esso generati; nel documento di politica ambientale, che accompagna la certificazione e dovrebbe ispirare ogni atto dell’amministrazione comunale e quindi della comunità, è inserito il seguente principio: “Realizzare una gestione del territorio improntata a un’ottica di sostenibilità e vivibilità come garanzia per la qualità della vita dei cittadini e degli ospiti e per la salvaguardia dell’ambiente”.
A parole, tutti sostenibili. Nei fatti, quasi mai. Così l’orchestra va avanti a suonare, mentre il Titanic affonda.