Panem et circenses
Vasco a Trento: prima, durante e dopo il Grande Evento
Il concerto di Vasco Rossi è stata una follia economico organizzativa a fini autopropagandistici, ad opera della Provincia Autonoma di Trento. Un’istituzione si è inventata il ruolo di organizzatrice di eventi, con l’arroganza di sperperare denaro pubblico per la soddisfazione della propria interessata vanità.
Soldi per l’approntamento della Trentino Arena concessa gratuitamente, soldi per tutti i servizi prestati (vigilanza, sicurezza, servizio sanitario, elitrasporto…), soldi per l’ospitalità gratuita per lo staff, soldi per l’acquisto da parte della Pat dei biglietti invenduti. Infine all’organizzazione di Vasco è andata anche l’esclusività per la vendita di cibo, bevande e merchandising all’interno della Trentino Arena.
Tutto questo in cambio di nulla, nemmeno un centesimo dalla vendita dei biglietti. La Provincia ha così esaudito i più impensabili sogni di qualsiasi tour manager al mondo: accollarsi tutte le spese e cedere tutti gli introiti. E questo in nome di un ritorno economico nell’indotto, ovvero a favore delle categorie di esercenti e albergatori, senza considerare disagi, intralci e disfunzioni per la popolazione. Insomma, un evento prepotentemente voluto (fino a forzare impunemente il rilascio dei permessi amministrativi) come propaganda politica camuffata da promozione turistica di un territorio che ha come slogan “Respira, sei in Trentino”, ovvero un’immagine di relax e contemplazione, in contraddizione con la bolgia sonora di un concerto per 120mila persone.
Per questo QT ha definito l’evento una cagata pazzesca, riferendosi all'opportunità, alle finalità e alle modalità dell'organizzazione. Mai però riferendosi al concerto in sé.
Quindi cosa dire ora della giornata? La presenza diretta e le opinioni raccolte permettono solo una cronaca parziale, in cui il concerto è solo un elemento di una giornata fatta di tante situazioni, sentimenti e problemi.
Di certo evento lo è stato. Dopo tutto il bailamme su stampa e social degli ultimi mesi, ancor più nell’ultima settimana, il giorno fatidico, messe momentaneamente da parte le polemiche, tutti ne hanno parlato, se non altro per confrontarsi sulla scelta: festa o fuga. E bastava un passaggio in città di mattina per incontrare sciami di giovani zainettati, in giro per bar che sparano musica vaschiana. Non saprei spiegare perché, ma già da alcuni giorni mi risuonavano ossessivamente in testa alcune canzoni, “C'è chi dice no”, per prima. Forse mi si erano incagliate nel cerebro inconsciamente, dopo averle percepite nell'aire. Come un nuovo e ben diverso virus, da cui è impossibile essere esenti o vaccinati. Di certo da pandemia sono apparse anche le misure eccezionali messe in atto per il primo mega evento nazionale post lockdown, con strade chiuse e desertificate e negozi sbarrati a Trento sud. Insomma, un avvenimento di cui hanno dato ampio resoconto anche tutti i media, compresi i tg nazionali.
L'andata
Ma come è andata? Io sono partito alle 18 dal Ponte dei Cavalleggeri in bicicletta verso via Marsala e via De Gasperi e sono riuscito a scendere fino alla rotonda di Madonna Bianca. Poi, ubbidendo alle sagge imposizioni della polizia, ho lasciato la bicicletta, rinunciando a spingermi fino al già inaccessibile apposito parcheggio, e ho proceduto a piedi in un fiume di persone festanti, fino all’accesso più vicino al palco. Da lì ho potuto seguire il percorso che conduceva al retropalco e poi al lato dei mixer, nell’ampio spazio riservato alla stampa. Tempo totale: un’ora abbondante. Dalla mia posizione ho notato che le platee Pit1 e Pit2, davanti e alle spalle, erano già affollate, mentre la Pit3 appariva ancora piuttosto vuota. Evidentemente le prime, più costose aree, erano occupate dai fan più accesi, la terza da chi più che al concerto era interessato a partecipare all’evento in generale.
Ripercorrendo più volte il tracciato dal lato del mixer a dietro lo stage, mi sono reso conto dell’imponenza della struttura e del fatto che anche la prima fila era inevitabilmente lontana dal palco, mentre chi davanti era laterale aveva una visuale piuttosto sacrificata.
Il sole è andato dietro il Bondone alle 19 e una leggera brezza fresca ha decisamente allietato l’attesa. Sul palco si esibivano i gruppi locali selezionati con un concorso: tutti molto preparati musicalmente e disinvolti. Bravi, professionali, con un punto in più per i Toolbar capaci di alcuni ritornelli accattivanti. Dagli applausi si è capito che la maggior parte del pubblico ha apprezzato un po’ distrattamente. Tutti però ci hanno messo l’anima e l’ultima performance con i The Rumpled (sorta di Pogues nostrani) ha scaldato almeno i primi strati della platea.
Il concerto
L’inizio del concerto, programmato per le 21, è stato poi posticipato alle 21.30 per attendere i tanti possessori di biglietti ancora bloccati nelle strade e nei percorsi d’accesso.
All’ora prestabilita lo stage si è acceso di una spettacolarità portentosa. Per contestualizzare una strombettata da western all’italiana, i sette megaschermi si sono animati di riprese con paesaggi desertici nordamericani in bianco e nero. Da quel momento in poi ogni canzone ha avuto il suo specifico ed efficace contesto visivo, composto da riprese sul palco dei musicisti in primo piano e mezzo busto, animazioni simboliche (la mega piovra de “Gli spari sopra”), effetti grafici ed elettronici e viraggi di colore. Il tutto unito ad un set di luci policromatiche rutilanti. Insomma, difficile raccontare tutte le evoluzioni visive, i trattamenti grafici, gli effetti luminosi messi in campo per creare le atmosfere opportune. Comunque particolarmente riusciti sono risultati l’intro e il primo brano “XI comandamento”, che hanno catturato ed emozionato, dando da subito la sensazione di essere davanti a qualcosa di veramente straordinario e unico.
Altri momenti forti si sono raggiunti con “C’è chi dice no” e “Gli spari sopra”. Ma di certo ognuno avrà i suoi ricordi migliori nella cavalcata di brani rock, alternati ai più melodici, che costituiscono il repertorio di Vasco Rossi. Di certo i megaschermi del palco e quelli posizionati nell’estesa spianata della platea hanno avuto un importantissimo ruolo nel supplire al fatto che, già per il pubblico del pit2 e per tutto quello del pit3, la visuale diretta del palco era completamente preclusa. Ok, probabilmente la maggior parte di loro lo sapeva fin dall’acquisto del biglietto e l’importante era partecipare. Di certo molti spettatori hanno assistito ad un film con colonna sonora in diretta, mentre il loro idolo, per quanto si dannasse in carne ed ossa a un centinaio di metri di distanza, restava invisibile.
Alcuni acerrimi fan, presenti ad altri concerti, come quelli di Modena Park, mi hanno riferito che lì si poteva vedere in modo accettabile anche dal pit 2. Il che fa pensare che la Trentino Arena non sia una spianata riuscita per dare l’opportunità di una ottimale visuale a distanza. Quanto al suono, dalla postazione stampa è risultato perfetto: potente senza essere assordante o mai stridente, ottimamente calibrato tra strumenti e voci. Veramente entusiasmante. Personalmente non ricordo di avere mai assistito ad un concerto all’aperto di queste dimensioni con un audio così straordinario.
Purtroppo nelle retrovie la taratura di sincronizzazione tra audio e immagini sui megaschermi posteriori non è risultata efficace presentando sfasature di ritardo piuttosto evidenti. Ed anche il suono aveva momenti sbilanciati. Insomma problemi tecnici dati dalla colossalità dell’evento e dal fatto che il concerto di Trento era un’anteprima, quindi un test con la possibilità di un miglioramento per le date successive. Una prova generale dunque.
Forse per questo, dopo l’affascinato stupore dei primi brani, l’entusiasmo non è parso poi costante per tutto il concerto. A parte l’ormai consueto delirio in “Rewind” e per alcuni altri classici, il pubblico non ha dato la sensazione di reagire con le prevedibili totali e convinte ovazioni attese. Ancora i trentini come pubblico freddo e poco partecipe? Basta, questo è un falso mito sfatato in molte occasioni, non ultimo il concerto all’Auditorium di Edoardo Bennato, cui due giorni prima è stata tributata una calorosissima accoglienza. Quindi forse ha pesato la delusione per una distanza fisica che non ha permesso ai più una viva partecipazione, nonostante i musicisti e i tecnici abbiano approntato uno scenario sontuoso e si siano impegnati al massimo nelle voci, nei suoni, nella grinta. Certo Vasco non ha più trent'anni, ma la sua passione, la sua partecipazione, la generosità, l’ironia e l’entusiasmo disincantato, non sono certo mancati. E non è mancata la sua voce, forse un po’ arrochita dagli anni, ma sempre perfettamente udibile, ad intonare versi di un repertorio che ha spaziato tra brani nuovi e classici. Alternando momenti più o meno coinvolgenti, il rocker e la sua band hanno raggiunto vertici commoventi di sincera intensità. Comunicata anche nel momento non retorico di: “No alla guerra! Sì alla pace, l’amore, la musica”.
Finale col botto prevedibile di “Siamo solo noi”, “Vita spericolata” e “Albachiara”, e coi botti inaspettati, dei fuochi artificiali lanciati sopra il palco.
Il ritorno
E poi il complesso deflusso. Se il pubblico è arrivato alla Trentino Arena nell’arco di tutta la giornata, se ne è ovviamente andato tutto insieme. E questo ha causato l’immediato intasamento dell’unica strada di accesso che costeggia l’area. Personalmente ho proceduto stretto tra le persone con piccoli avanzamenti e stancanti pause per quasi due ore. E mentre disabili spinti in sedia a rotelle mi affiancavano nel lento corteo, ho notato l’intasamento totale del cavalcavia per la tangenziale. Il tutto fino al raggiungimento della bicicletta, che ho poi spinto a mano per altri venti minuti fino a raggiungere via De Gasperi, dove ho finalmente potuto montare in sella. Ma io sono stato fortunato e rapido, perché in molti sono rimasti imbottigliati per ore.
Considerazioni
È stato dunque il deflusso, come prevedibile, a mettere maggiormente in risalto una serie di limiti dell’Arena. Perché se non è accettabile infliggere al pubblico scarpinate di più di un’ora a piedi per raggiungerla, ancora peggio è condannarlo a tre ore di imbottigliamento per tornare a parcheggi lontani e carissimi. Peraltro impossibili da collegare con bus navetta che non possono transitare e quindi inesistenti (e questa è stata una vera bufala in malafede).
Non è ammissibile la presenza di una sola strada di entrata ed uscita al lato dell’area, senza vie di fuga, accessi privilegiati, per disabili, navette, biciclette, ambulanze e quant’altro. E poi l’area, per come è attualmente conformata, si è dimostrata inadatta ad eventi di simili proporzioni, perché, anche con le migliori tecnologie messe in campo, gran parte del pubblico non ha di fatto assistito al concerto dal vivo. Insomma, per eventi di queste dimensioni la struttura è assolutamente inadeguata.
L’impressione è che sia stato fatto un test azzardato con parametri estremi, partendo cioè dalla prova più complessa a difficile, senza esperienza pregressa e con moltissime incognite. Alcune delle quali puntualmente rivelatesi fortemente problematiche. Noi, che ne siamo stati i soggetti, possiamo ora dire che fortunatamente il bel tempo, l’impegno di tanti volontari e l’entusiasmo e la pazienza del pubblico hanno assistito positivamente. Perché se avesse piovuto, se ci fosse stata una qualche necessità di liberare celermente l’area sarebbe stata una tragedia. Questo lo può constatare chiunque fosse presente.
Viene dunque da chiedersi che progetto c’è per questo spazio in futuro. Perché non esistono altri eventi di questa portata con artisti italiani, e dubito anche con stranieri. Inoltre non sempre si può approfittare del tempismo sulle anteprime post lockdown che attirano un pubblico nazionale, anche se poi risultano essere più delle prove generali vantaggiose per chi deve mettere a punto lo spettacolo, che per chi lo fruisce. Inoltre il bacino d’utenza locale insieme a quello potenzialmente turistico non giustificano certo queste dimensioni, e pensare di farne un polo d’attrazione nazionale è piuttosto presuntuoso. Infine non è augurabile che la Provincia si spenda costantemente per l’organizzazione di eventi simili. L’area è dunque decisamente sproporzionata per qualsiasi altro evento di questa portata, e anche per proposte minori necessita sicuramente di messe a punto.
E allora cosa ce ne facciamo adesso di questo specie di deserto senza cattedrale? Nei giorni successivi al concerto diverse figure politiche, compreso lo stesso Fugatti, hanno ammesso l’eccezionalità dell’evento e l’inevitabile ridimensionamento e ripensamento della Trentino Arena e delle future proposte. Insomma, hanno forzato il botto e gli è andata di culo. Ma non è stato tutto rose e fiori, e volendo c’è stato pure da cagarsi sotto.