Società, illegalità, mafia: un vivace dibattito nella tana del lupo
Tra relatori dell’Antimafia, parenti degli imputati, colletti bianchi indagati e Carabinieri disturbatori; ma anche accorate riflessioni autocritiche. Resoconto di una movimentata e positiva serata.
Era affollato il teatro comunale di Lona-Lases, il 10 dicembre: oltre 60 persone all’incontro pubblico sulla questione “Perfido”, organizzato dal CPL (Comitato Lavoro Porfido) e da Questotrentino. Oltre a chi scrive, hanno portato interessanti, talvolta illuminanti contributi, il giovane studioso di fenomeni mafiosi nel nord Italia Alberto Marmiroli e il senatore Luigi Gaetti, già sottosegretario agli Interni nel governo Conte 1 con delega antimafia e vice presidente della Commissione antimafia nella XVII legislatura. A completare il quadro, il consigliere provinciale Alex Marini, che denunciava non casuali timidezze e reticenze della politica e delle istituzioni locali, che sia a livello provinciale che comunale non si sono costituite Parti civili nell’imminente processo, né hanno istituito l’Osservatorio antimafia.
Gli interventi infatti erano incentrati non tanto sulle malefatte dei (presunti) ‘ndranghetsti, ma sul rapporto tra tessuto socio-economico e pratiche illegali, humus perfetto per l’inserimento dei professionisti del crimine, come da loro stessi teorizzato (“Ci stabiliamo qui, perché sono più ladri di noi”, un’illuminante intercettazione). Ed ecco quindi l’intervento del CLP ad illustrare, numeri alla mano, l’insieme di illegalità consustanziali allo sfruttamento della risorsa porfido, praticate negli anni, prima e a fianco dell’intervento dei (presunti) mafiosi: l’impressionante evasione fiscale, l’utilizzo di pseudo-aziende artigiane per meglio sfruttare la mano d’opera straniera, il controllo dei Comuni per mantenere le concessioni in monopolio e a prezzi calmierati, praticamente unici in Europa. Tutte cose forse note ai nostri lettori, e probabilmente anche a molti degli ascoltatori, ma che messe insieme fornivano con chiarezza lo sfondo politico-sociale su cui si poi si è potuta innestare l’attività rivelata da Perfido.
Il tema poi è stato allargato da Marmiroli attraverso un confronto tra le condizioni che hanno permesso l’insediamento ‘ndranghetista a Reggio Emilia e quelle riscontrate nella zona del porfido. E analogamente da parte del senatore Gaetti sulle metodologie di infiltrazione nel Nord Italia, e in particolare sull’insediamento ‘ndranghetista nel mantovano (cui peraltro non sono estranei i “nostri”, con Giuseppe Battaglia che si alternava ai vertici della Marmirolo Porfidi srl con Antonio Muto, poi condannato a 12 anni per associazione mafiosa, mentre Giuseppe Battaglia se la cavava, cosa non gradita a certe alte sfere ‘ndranghetiste, sospettate di aver risposto con un pesante avvertimento, l’incendio dell’automobile del – presunto - capo della locale trentina Innocenzio Macheda).
Il quadro così delineato ha stimolato alcuni significativi interventi del pubblico, tra i quali quello, intenso ed accorato, dell’ex assessore del comune di Lona-Lases Carlo Micheli, che ha particolarmente colpito laddove sottolineava come le cointeressenze venutesi a creare in questi anni non abbiano certo giovato alle comunità locali, bensì ne abbiano “rubato il futuro” (vedasi intervista nelle pagina seguenti).
In sala anche alcuni parenti dei detenuti in custodia cautelare. Tra loro, il figlio del presunto capo Innocenzio Macheda, che con foga (eccessiva ma comprensibile) è intervenuto a difesa del padre, a suo dire ingiustamente incarcerato da oltre un anno nonostante sia affetto dal Parkinson.
Che la carcerazione preventiva - pur doverosa rispetto a una persona accusata, oltre al resto, di progettare stragi - si sia protratta così a lungo dispiace anche a noi, che ciò pesi ancor più nel caso di una persona malata lo possiamo certo comprendere, però ricordiamo come incompatibilità al carcere per motivi di salute per legge comportano la possibilità degli arresti domiciliari, in questo caso non concessi forse perché non ne sussistono i presupposti, come d’altra parte parrebbe dalle intercettazioni, in cui Macheda, nonostante la malattia, usava dilungarsi sulla tipologia di armi da utilizzare in imminenti sanguinose ritorsioni..
Prendeva poi la parola l’ex senatore Mauro Ottobre, indagato anch’egli. L’intervento del senatore sembrava tratto pari pari da un romanzo di Sciascia o, se vogliamo, da una serie tv: il colletto bianco che minimizza; che valuta “una cosa poco seria” l’Operazione Perfido (gli chiediamo a quali passaggi si riferisca, e si guarda bene dallo specificare); nega, da politicante verace, che si possa trattare di ‘ndrangheta, perché i trentini - sostiene cercando di vellicare possibili spiriti localistici della platea - se ne sarebbero accorti ben prima e non avrebbero aspettato trent’anni; precisa che i giudici delle cene di capra si sono trasferiti ad altra sede, non perché sanzionati dal CSM, ma perché volevano (tutti, contemporaneamente, con le loro famiglie) andar via da Trento. Infine annuncia coram populo di essere stato prosciolto da ogni addebito.
Il che è una millanteria: Ottobre non comparirà nel processo del 13 gennaio in cui verranno giudicati gli imputati attualmente in carcere o ai domiciliari, ma lui rimane indagato “del delitto dall’art. 416 ter del Codice Penale (Scambio elettorale politico-mafioso, n.d.r.) per aver accettato la promessa da Macheda Innocenzio e Costantino Demetrio di procurargli voti mediante le modalità mafiose di cui al comma 3 dell’art. 416 bis cp per le elezioni provinciali dell’anno 2018”. Il suo caso, come per gli altri colletti bianchi, è apertissimo e verrà definito in un secondo momento, dove ci aspettiamo che il senatore chiarisca se e perché ha incontrato Macheda, e come – lui e gli altri politici – selezionino i loro grandi elettori. Insomma, è stato un siparietto istruttivo.
Troppi assenti
Tuttavia l’incontro non voleva essere un processo agli indagati, ma lo stimolo per una riflessione sulle condizioni che hanno permesso questo degrado. L’intenzione era quella di stimolare nelle comunità locali l’assunzione di una responsabilità collettiva. Purtroppo nessun amministratore in carica ha ritenuto di partecipare (assente anche il commissario di Lona-Lases) e pure gli ex consiglieri di Lona-Lases eletti nell’ottobre 2020 e che si sono dimessi alla fine di maggio 2021, compreso l’ex sindaco Manuel Ferrari, non si sono fatti vedere.
Assenze pesanti, che la dicono lunga sulla reale discontinuità di quell’amministrazione rispetto alle precedenti e sulla convinzione con la quale il 28 dicembre 2020 avevano votato la delibera che impegnava la giunta comunale a valutare le condizioni per la costituzione di parte civile.
A intorbidare – o forse a chiarire? – il quadro, c’è invece stata la presenza dei carabinieri di Albiano. I quali, presentatisi più di mezz’ora dopo l’inizio dell’incontro, ne pretendevano l’interruzione per operare una verifica del green pass dei presenti, nonostante gli organizzatori avessero scrupolosamente osservato le indicazioni ricevute dal Commissariato del Governo, chiedendo il green pass rafforzato e provvedendo a registrare nome e telefono dei presenti. Una iniziativa, quella del comandante la stazione di Albiano, interpretata come una provocazione. Ma accidenti, quale altra manifestazione in Trentino, o anche in tutta Italia, è stata interrotta dalla forza pubblica con la motivazione che si doveva controllare il green pass?
Un tentativo di intimidazione, quindi. Respinta grazie alla ferma opposizione degli organizzatori, che ha portato i carabinieri a desistere.
Il fatto comunque ha portato ulteriori preoccupazioni: non può non tornare alla memoria il ruolo ambiguo dei carabinieri di Albiano nella vicenda del pestaggio dell’operaio cinese avvenuto il 2 dicembre 2014 in un cantiere di Lases (vedi “Infiltrazioni mafiose in Trentino” su QT del maggio 2019). Ne è conseguito un certo risalto mediatico (vedasi L’Adige del 13 dicembre), con sacrosante ripercussioni anche a livello istituzionale (interrogazione provinciale di Alex Marini e segnalazione ai vertici dell’Arma da parte del sen. Gaetti).
“Allarme ladri”, ma solo quelli di biciclette!
L’improvvida iniziativa dei carabinieri ha comunque contribuito ad amplificare in Cembra, e in particolare a Lona-Lases, l’eco del dibattito, che nonostante avesse registrato una secondaria presenza di persone del posto (soltanto una decina) ha comunque smosso le acque stagnanti del comune individuato quale sede della presunta “locale” di ‘ndrangheta.
In qualche maniera indicativa è la bagarre nata su un gruppo Whatsapp denominato “Allarme ladri”, costituito qualche anno fa, in seguito ad alcuni furti in appartamento a Lona. Ne fa parte anche l’ex sindaco Vigilio Valentini, il quale, forzando un po’ lo spirito del gruppo, posta l’articolo dell’Adige che rendeva conto del dibattito, compreso il malaccorto intervento dei carabinieri.
Apriti cielo! Subito qualcuno si affretta a rispondere che il contenuto dell’articolo “non c’entra nulla con le finalità di questo gruppo”, ricordando che si chiama “Allarme ladri”, dove i ladri sono solo quelli di biciclette, non certo quelli che “ci hanno rubato il futuro”. E quando Valentini replica che “è purtroppo allarme ‘ndrangheta, peggio di allarme ladri”, viene rimbeccato con toni piccati.
Il risultato è che qualcuno abbandona il gruppo, qualcun altro cerca di portare il confronto in termini più logici e civili, altri infine tessono, a prescindere, le lodi dei carabinieri.
Finisce che gli abbandoni aumentano, e agli intransigenti difensori dello status quo non rimane che il commento acido: “Chi abbandona il gruppo che gli vengano i ladri in casa…”