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QT n. 12, dicembre 2021 Cover story

A volte ritornano

Nel vuoto attuale riemergono politici che già hanno ?fatto troppi danni. ?Dietro di loro i nuovi potenti?

Lorenzo Dellai, Silvano Grisenti, Diego Schelfi… un'infilata di nomi che rimandano a un passato che si pensava archiviato. Ex politici e burocrati di prima grandezza che dovrebbero aver fatto, nel bene e soprattutto nel male, il loro tempo, e che tuttavia si ripresentano sulla scena pubblica. Una cosa patetica? La nostalgia del potere che prevale sulla lucidità? I soliti ex che non sanno starsene in disparte?

Non proprio. L'uscita di Dellai che per rivivificare il proprio vuoto politico cerca di lanciare l'ennesimo contenitore (dopo il successo della Margherita, i tentativi abortiti: il Vivaio, il Cantiere, ed altro ancora, adesso siamo al Campo Base) non è una burletta. A fianco e dietro ci sono motivazioni reali e forze solide, solidissime.

Paolo Piccoli e Lorenzo Dellai

“L'appello per un nuovo progetto di sviluppo del Trentino”, che lancia la nuova associazione Campo Base, è propugnato anzitutto da due antiche conoscenze del mondo politico locale, Paolo Piccoli e Lorenzo Dellai.

Piccoli rappresenta un passato vissuto in prima persona, e pure una importante storia famigliare. Paolo Piccoli infatti è stato segretario della Democrazia Cristiana trentina dall'86 al '91, gestendone con grande dignità la fase declinante, e arrivando alle dimissioni quando si accorse di non poter contrastarne la deriva affaristica, sfociata poi in Mani Pulite e nel carcere per Mario Malossini. Ma forse più di lui conta la sua famiglia, lo zio Flaminio, leader nazionale e capo indiscusso della Dc trentina, o meglio, della sua componente più conservatrice, dorotea, opposta a quella innovatrice di Bruno Kessler. Sui tentativi di rivisitazione agiografica della figura di Flaminio Piccoli, e del conseguente revisionismo storico in atto, parliamo più avanti, a pag. 14. Qui registriamo che Paolo, oggi presidente del Consiglio comunale di Trento, anche al di là delle intenzioni personali, rappresenta il collegamento, l'eredità rispetto a un passato molto, troppo tradizionale.

Diverso il discorso su Lorenzo Dellai, presidente della Giunta Provinciale per 14 anni, e ispiratore dei successori Alberto Pacher e – in parte – Ugo Rossi. Sono stati gli anni del “dellaismo”. Sfociati nel tracollo delle elezioni 2018, quando i cittadini, votando centro-destra, spazzarono via quell'esperienza e quel sistema di potere. “La rivolta delle pecorelle” e “Si volta pagina” furono i titoli di QT in occasione delle due elezioni, nazionali e provinciali, che decretarono la fine politica di Dellai. Il quale adesso si ripresenta.

Allora vale la pena ripercorrere i motivi di quel crollo, gli errori e i danni degli anni del dellaismo, che a nostro avviso oggi appaiono ancor più netti.

Il primo motivo è stato lo smantellamento della struttura tecnico-dirigenziale della Provincia. Dellai, da autentico autocrate, non sopportava altro potere all'infuori di se stesso: di qui una serie di duri provvedimenti, a iniziare dagli spostamenti a incarichi fittizi, oppure lo svuotamento delle competenze, per i dirigenti che intendevano svolgere il loro lavoro in autonomia, sostituiti da docili yes-man. Il risultato è stato il depauperamento delle capacità della struttura: oggi un giovane brillante manco si sogna di concorrere per un posto alla Pat.

C'è stato poi un secondo smantellamento: quello della politica ambientale e relative leggi e strutture (VIA, Appa, ufficio faunistico, biotopi, parchi ecc) varati o implementati da Walter Micheli, che aveva portato il Trentino (il famoso “laboratorio politico”) in una posizione di ammirata avanguardia in Italia. Tutto questo per Dellai era solo una serie di impicci: se ne liberò rimuovendoli o depotenziandoli. La linea anti-ambientalista era talmente chiara, che quando i Democratici di Sinistra ipotizzarono di candidare Micheli, Dellai lo definì “una candidatura ingombrante”. Micheli subito si ritirò e la distruzione della sua politica continuò imperterrita. Solo oggi se ne iniziano a capire appieno le conseguenze.

Nella scia di Kessler Dellai aveva capito l'importanza di università e ricerca, e ad esse non lesinò i finanziamenti. Cercando però, pesantemente, di condizionarle: con il corpo accademico lo scontro fu durissimo; mentre gli istituti di ricerca soffrirono di vari anche clamorosi episodi di malagestione che ne offuscarono il prestigio.

“Il Trentino piccolo e solo” era uno spauracchio per Kessler, e anche per Dellai. A parole. L'unico vero progetto di grande respiro, l'Euregio con Bolzano e Innsbruck, rimase una sigla vuota, nonostante la straordinaria determinazione di Innsbruck nel perseguire il disegno, andata a vuoto per il sostanziale, imbarazzante disinteresse delle nostre due province. Dellai aveva “la visione”? Ma per favore...

Se a questo aggiungiamo le spese e i progetti megalomani (la seconda università a San Michele; Metroland, il miliardario collegamento delle valli con Trento attraverso gallerie ferroviarie; lo spostamento degli istituti scolastici a Trento; e per finire il NOT, previsto in finanza di progetto e ancor oggi destinato a mettere la sanità trentina nelle mani dei privati) abbiamo un quadro dei disastri provocati dagli anni di Dellai, della cui entità solo ora ci si rende conto. “Il quindicennio perduto” era il titolo di uno studio dell'Irvapp (che fa parte di Fbk) sul declino dell'economia trentina dal 1999 al 2013, gli anni di Dellai.

E ancora qualcuno pensa che possa tornare?

La natura aborre il vuoto

Il punto è che la politica trentina si trova a registrare due fallimenti. Il primo è quello della Giunta Fugatti. Ad ogni numero ci tocca narrare di episodi di malgoverno sempre più eclatanti: dal NOT all'ospedale di Cavalese, dal pasticcio della facoltà di Medicina al siluramento del Festival dell'Economia, ai rapporti sempre più freddi con Bolzano... Soprattutto quello che sconcerta sono le nomine di autentici incompetenti (in genere commercialisti di mediocre statura) a presidenze e direzioni di enti che si vorrebbero cruciali e prestigiosi, e la progressiva paralisi che sembra pervadere l'amministrazione. Gli assessori non sono per niente all'altezza, il ceto dirigente provinciale, già terremotato da Dellai, non riesce a supplire, le nuove nomine sono un disastro: tutti gli interlocutori dell'ente pubblico, dalle imprese, ai sindacati, ai professionisti, e ora anche ai sindaci, lamentano un'incapacità ormai a livelli difficilmente sostenibili. A questo punto è facile che ci sia chi dice “si stava meglio quando si stava peggio”.

C'è poi il secondo fallimento: quello della sinistra. Che è gran parte dell'opposizione, ma è del tutto afona. Timorosa di apparire estremista o barricadera, dice poco, male, non prende iniziative, e se le prende, non sa comunicarle. E soprattutto non ha mai saputo né voluto fare i conti con gli anni del dellaismo: ne era stata troppo succube (ad esempio, l'attuale segretaria Lucia Maestri aveva addirittura dato vita a un partitino scissionista – l'Ape – che aveva rotto con i Democratici di Sinistra per insufficiente subalternità) e mai ha elaborato, anche dopo il tracollo del 2018, un minimo di critica a quegli anni. Che sarebbe stato il minimo per passare a una nuova progettualità.

È in questo vuoto che è arrivato l'appello del Campo Base.

Gli affarismi

Altri, però, nell'appello hanno visto un'opportunità. E si sono prontamente accodati. Oppure erano d'accordo fin dall'inizio.

Il nome più appariscente è quello di Silvano Grisenti. Braccio destro del primo Dellai, uomo del fare, grande e disinvolto gestore di appalti pubblici, definiva “magnadora” la spesa pubblica, da elargire agli enti locali a seconda delle fedeltà dei sindaci. Condannato per corruzione, per episodi non particolarmente gravi per la cultura dorotea (aver fatto versare soldi da imprese vincitrici di appalti a favore di associazioni sportive o ricreative da lui segnalate) ma gravi invece per l'opinione pubblica; così era stato scaricato da Dellai. Si è allora dedicato a tempo quasi pieno al mondo degli affari, in cui è molto attivo attraverso vari progetti speculativi. In parallelo non ha trascurato la politica: è presidente di Progetto Trentino, il partito che esprime nel governo provinciale il vice-presidente Mario Tonina, che si presenta come vecchio democristiano dei bei tempi andati, ma sotto sotto è un rampante. I due esprimono una certa forza di condizionamento sul debole governo provinciale. Forza che Grisenti probabilmente vuole incrementare ventilando l'adesione al nuovo organismo dellaiano; della serie: vediamo chi offre di più.

Tra i firmatari dell'appello spicca un altro nome: Diego Schelfi. Già inamovibile presidente della Federazione Cooperative (fece modificare lo statuto per esercitare un quarto mandato), ha rappresentato nel mondo cooperativo, e ancora rappresenta, il prototipo del burocrate: bonaccione, un largo sorriso stampato su un viso pasciuto, si sloga le articolazioni a forza di pacche sulle spalle, ma con il giro ristretto dei suoi simili tende a monopolizzare e blindare ogni posto di potere, affossando ogni velleità di rinnovamento. E già questo la dice lunga su quale percorso politico può garantire.

Ultimamente ha abbracciato la via degli affari. Fungendo da apripista trentino per gli immobiliaristi sudtirolesi. Attraverso una complicata serie di scatole, è entrato in società con le holding di Paolo Signoretti e Heinz Peter Hager, che hanno messo le mani su aree e centri commerciali a Riva, Rovereto e anche a Verona. Il punto è che Signoretti e Hager sono il braccio operativo di René Benko. E Benko chi è?

Ne parla molto ampiamente Alessandra Zendron a pagina 32. 44 anni, imprenditore austriaco, terzo più ricco in Austria, ha fatto la sua fortuna attraverso aggressive campagne immobiliari, opportunamente coperte a livello politico. Ora sta operando (anche) a Bolzano, dove tra le altre iniziative sta “rigenerando” l'area (invero degradata) della stazione per trasformarla, secondo uno schema consolidato, in centro commerciale (a ridosso del centro storico) e zona di lusso.

Benko è bravo? Sarà bravo, anche se diverse inchieste giornalistiche e qualcuna anche giudiziaria allungano su di lui pesanti ombre. Quello che a noi non piace è il suo interesse verso la politica. E meno che mai ci piace che abbia portato anche a Trento una delle sue proposte, per noi irricevibile, ma accolta dal debole sindaco Andreatta e pure, sembra, dal più forte Ianeselli: distruggere (con la scusa di dare spazio all'Abbazia duecentesca di San Lorenzo) la stazione delle autocorriere, spostandola lontano dalla stazione FFSS, all'ex-Sit, per fare posto a un centro commerciale. In un colpo solo si distrugge l'unitarietà dell'hub dei trasporti e si attenta al commercio del centro storico.

Benko non è solo. Schelfi chiaramente non gli basta. A Bolzano si è inizialmente scornato con Michael Ebner, il potentissimo padrone di Athesia ed editore di tutta la stampa regionale, poi però nel pollaio, tra i due galli, è scoppiata la pace. Ed ecco che, vedi ancora il servizio a pag. 14, Ebner sponsorizza la sfrontata revisione della storia de L'Adige e della Dc in chiave dorotea. Da Ebner a Piccoli a Dellai, a Schelfi, a Benko, a Ebner.

Il nuovo potere sudtirolese allunga le mani sul Trentino…