Il quindicennio perduto
Questo il titolo dell’allarmato rapporto ufficiale sull’economia trentina: dal 1999 al 2013 – gli anni di Dellai - il Trentino è andato indietro, e di molto, rispetto alla non brillante Italia. La gravità di un declino che sembra inarrestabile: dobbiamo sperare in Rossi?
Ogni anno, secondo apposita legge provinciale, al Consiglio deve essere trasmesso un rapporto sulla situazione economica e sociale del Trentino. Da quattordici anni questo rapporto è curato dall’IRVAPP (Istituto per la Ricerca Valutativa delle Politiche Pubbliche), che fa capo all’FBK (Fondazione Bruno Kessler), guidato dal professor Antonio Schizzerotto. Abbiamo sempre avuto qualche perplessità verso questi istituti, non per la loro qualità scientifica, ma per la loro terzietà: è difficile per chi è finanziato quasi completamente dai soldi pubblici essere davvero libero e imparziale.
Nell’ottobre scorso è stato trasmesso al Consiglio il quattordicesimo rapporto. Nella presentazione, scritta direttamente da Ugo Rossi, si leggono queste righe: “Tuttavia, non è stata solo la struttura amministrativa della PAT ad avere giocato un ruolo nella messa a punto dell’edizione 2014 del Rapporto sulla situazione sociale ed economica del Trentino. Anche il governo provinciale è intervenuto al riguardo. Inutile sottolineare che questo intervento non ha in alcun modo inciso sull’impostazione e sui risultati del lavoro di analisi”.
Ovviamente la struttura della PAT, per esempio attraverso l’ufficio statistico, fornisce dati imprescindibili. Ma questo mettere le mani avanti da parte di Rossi, evidenziando sia l’intervento dell’esecutivo provinciale sia la completa autonomia di analisi, desta qualche perplessità.
Comunque sia, la Giunta ha preso molto sul serio questo rapporto, ponendolo come base per il “Piano di sviluppo provinciale” che dovrebbe rappresentare l’agenda dell’amministrazione provinciale. Vediamo allora di descrivere brevemente i contenuti del report elaborato dalla struttura guidata da Schizzerotto.
Un primo punto balza agli occhi: la definizione degli anni tra il 1999 e il 2013 come “quindicennio perduto”. Gli anni di Dellai - infatti è stato presidente della Provincia da fine 1998 a fine 2012 - sarebbero dunque stati sprecati. Inutili. Perduti. Un giudizio molto severo che forse risente pure della presenza di un nuovo inquilino a piazza Dante. Ciò non toglie però valore a questa definizione: il “sistema” dellaiano, più volte denunciato da QT e ora in via di sgretolamento, non ha portato al Trentino quella stagione di stabilità e prosperità propagandata da molti. Anzi. Possiamo parlare di declino.
Si dirà: è colpa della grande crisi economica. Peccato che in questi quindici anni il Trentino abbia fatto peggio dell’Italia. Possibile? Possibile che il laborioso, efficiente, ricco, ben governato, ben istruito Trentino stia dietro a un Paese con mille problemi?
Ambito territoriale | 1999-2012 | 1999-2007 | 2007-2012 |
---|---|---|---|
Provincia di Trento | 0,3 | 1,2 | -0,7 |
Provincia di Bolzano | 1,0 | 1,6 | 0,0 |
Nord-Est | 0,6 | 1,8 | -0,9 |
Nord-Ovest | 0,5 | 1,4 | -0,7 |
Italia | 0,5 | 1,7 | -0,8 |
Fonte: Elaborazioni di FBK-IRVAPP su dati di Istat
Tra il 1999 e il 2012 (vedi il grafico e la tabella 1) il Pil italiano è cresciuto dello 0,5%, quello del Trentino dello 0,3%. Dal 2007 al 2012, anno in cui è cominciata la crisi, l’Italia ha perso lo 0,8% mentre il Trentino ha retto leggermente meglio perdendo “solo” lo 0,7%: quindi i tanti soldi che Dellai ha immesso nel sistema Trentino per contrastare la crisi, sono serviti, ma a poco. Ne consegue però che il problema vero della nostra Provincia è quello degli anni precedenti, quando tutto - in Italia, nel mondo, nel Trentino allora opulento - sembrava andasse bene: l’Italia ante crisi è cresciuta annualmente dell’1,7% il Trentino dell’1,2. In ogni anno di quell’epoca che sembrava felice e produttiva, si accumulavano invece ritardi rispetto a una nazione già di per sé non brillante.
Guardando al Pil reale pro capite, che quindi tiene conto dell’aumento della popolazione, la situazione si fa ancora più preoccupante. Nel 2012 il Trentino ha un reddito pro capite di 26.940 Euro: nel 1995 raggiungeva 27.550 Euro. Un calo che non si verifica a livello italiano, né nella Provincia di Bolzano, né nel Nord est, in cui invece c’è un leggerissimo aumento. Il crollo però è avvenuto dopo il 2000 (quando la crisi non c’era ancora). Dal 2000 al 2012 il Trentino ha perso quasi l’11% (l’Italia intorno all’8%). Ci siamo tutti impoveriti; ma i trentini decisamente di più degli altri italiani.
Si legge a pagina 30 del documento: “Nel periodo 1995-2007 il Trentino ha registrato una aumento complessivo del Pil pro-capite in termini reali del 6,3%, contro il 13,3% nel Nord-Est e il 14,8% nell’intero Paese. Segni di ragionevole preoccupazione in merito alla relativa debolezza della crescita economica e della produttività nella provincia si erano dunque già manifestati anche durante un periodo moderatamente espansivo”. In termini di occupazione, dal 2007 al 2013 si registra un meno 0,7% di occupati (in tutto, nel 2013, lavora il 65,6% della popolazione attiva), mentre la disoccupazione è salita dal 2,9% al 6,6%: in termini assoluti si tratta di 16.300 persone. Ad esse vanno aggiunte 11.200 persone che non cercano neppure lavoro.
In secondo luogo il Trentino fa peggio dell’Italia come produttività! Questo fatto, suffragato dai dati, cancella ogni retorica sulla nostra presunta propensione alla laboriosità. Sono finiti i tempi in cui si prendevano le ferie per andare a raccogliere le mele o a vendemmiare. Tuttavia non è questo il punto. Non è che manchi la voglia di lavorare: i problemi sono più strutturali.
Così si legge ancora nel documento: “Per riassumere con una battuta tutto quanto precede, si potrebbe dire che il Trentino si sta avvicinando un po’ troppo alla situazione italiana e allontanandosi un po’ troppo da quella dei paesi europei più virtuosi”. Detto in altri termini: il Trentino fa peggio dell’Italia in termini di crescita, ma si avvicina agli standard italiani per quanto riguarda gli aspetti critici e negativi. Da che cosa deriva questa affermazione?
Un dato fra tutti: l’imprenditoria trentina è vecchia, parcellizzata, incapace di innovazione. L’imprenditore è di solito un uomo di età adulta o anziana, che risiede quasi sempre in comuni di piccola dimensione, dove può sfruttare le reti sociali proprie e della famiglia per attenuare le difficoltà nell’accesso al credito o al mercato del lavoro. I titoli di studio non sono elevati e quindi si fa più fatica a cogliere le opportunità di sviluppo, arrancando dal punto di vista della competitività e della internazionalizzazione. Le imprese sono troppo piccole, certamente non propense a una collaborazione reciproca. A questo punto bisognerebbe fare una seria valutazione del ruolo della Cooperazione trentina, a volte troppo ingombrante, a volte completamente assente. Ma il discorso sarebbe lungo.
La cultura e la formazione non vengono considerate come un investimento per il futuro. Dal 2007 al 2013 abbiamo assistito a un preoccupante decremento degli iscritti all’università dell’ 11,3%, un calo che si è velocizzato negli ultimi anni (vedi grafico 2).
I giovani trentini non credono che raggiungere la laurea serva a qualcosa. Se i laureati, a distanza di qualche anno dal conseguimento del titolo, trovano un’occupazione migliore rispetto a quella dei diplomati, è pur vero che i giovani trentini hanno pochissime possibilità di trovare un lavoro a tempo indeterminato. La flessione del dato degli occupati tra i 15 e i 34 anni è stata molto forte.
Il documento dell’IRVAPP giunge a queste conclusioni: “La caduta dimensionale del tasso di immatricolazione dei giovani trentini all’università rischia di produrre una riduzione altrettanto drastica delle risorse di capitale umano disponibili alla collettività provinciale, con ovvie negative conseguenze sul suo sistema economico”.
L’economia trentina dunque non va. Resistiamo per inerzia. Quando non ci sarà più la generazione dei “padri” (ora tutti calvi o canuti) arriveranno i guai, la decadenza.
Il Trentino è incapace di rinnovarsi. La dinamica demografica è impietosa: non solo scontiamo l’invecchiamento tipico dell’Italia, ma pure la crescita di una popolazione mediamente più povera rispetto a quella del passato. L’analisi di Schizzerotto minimizza, nel bene e nel male, il ruolo del pubblico in questa fase di stagnazione: sembra che i continui interventi provinciali non siano capaci di invertire la rotta.
Il ragionamento è complesso, ne riportiamo solo le conclusioni, tanto chiare quanto sconsolanti: la presenza della pubblica amministrazione non è risolutiva. Argina la deriva. Aiuta a crescere, ma non in maniera decisiva.
Regione | Variazione effettiva |
---|---|
Esclusa Pubblica Amministrazione | |
Provincia di Trento | -1,1 |
Provincia di Bolzano | 7,1 |
Lombardia | 4,8 |
Veneto | 2,0 |
Emilia-Romagna | 0,8 |
Compresa Pubblica Amministrazione | |
Provincia di Trento | 2,9 |
Provincia di Bolzano | 8,4 |
Lombardia | 5,5 |
Veneto | 2,9 |
Emilia-Romagna | 2,9 |
Fonte: Elaborazioni di FBK-IRVAPP su dati Conti economici regionali (2014) di Istat
Guardiamo la sconsolante tabella 2: senza il ruolo della pubblica amministrazione, il Trentino sarebbe ulteriormente in crisi. Ma non perché la spesa pubblica faccia da volano all’insieme dell’economia: “Il valore dei beni prodotti dalla Pubblica Amministrazione corrisponde sostanzialmente all’ammontare degli stipendi e salari pagati ai pubblici dipendenti” recita il documento. Stando così le cose, ne consegue che “il contributo della Pubblica Amministrazione alla crescita del valore aggiunto trentino non può essere interpretato in termini di competitività”.
In pratica il Trentino si sostiene soltanto attraverso la burocrazia provinciale, che fa girare l’economia senza però produrre ricchezza. I settori che dovrebbero invece garantire la crescita effettiva sono fermi nonostante gli incentivi pubblici.
Insomma, secondo l’analisi dell’IRVAPP, in questi quindici anni si è avviato un declino, che finora nessuno aveva avvistato in tali termini, e meno che mai individuato i mezzi per fermare.
Un altro quinquennio perduto
Il rapporto dell’IRVAPP, dal punto di vista politico, parla chiaro: con Dellai abbiamo buttato via 15 anni. Ed erano anni di vacche grasse.
Occorreranno altri studi per confermare, approfondire e magari modificare le analisi del prof. Schizzerotto; però i dati finali, nella loro crudezza, sono inconfutabili: il Trentino, a differenza dell’insieme dell’Italia, in questi anni si è impoverito, da noi il PIL procapite è diminuito, nel resto del paese (e ancor più nelle regioni del nord) è aumentato. E questo perchè la nostra struttura produttiva non è all’altezza, i soldi provinciali sono stati spesi secondo strategie evidentemente inadeguate oppure insufficienti.
Insomma vengono al pettine, in termini anche francamente inaspettati, i nodi degli anni dellaiani.
L’aver puntato molto, troppo, fino a renderlo ipertrofico, su un settore come quello delle costruzioni, evidentemente non all’avanguardia ma legatissimo, attraverso gli appalti, l’urbanistica e l’immobiliarismo, al ceto politico; ricordiamo come in tutti questi anni ogni problema veniva risolto con nuove costruzioni: dal volontariato (con le mitiche caserme dei Vigili del Fuoco, una per ogni paesino), al welfare (con l’ospedale ristrutturato da cima a fondo e in contemporanea con il varo di un miliardario Nuovo Ospedale Trentino) all’istruzione (con nuovi edifici ovunque), all’innovazione. Ma anche sulla stessa innovazione e ricerca, in teoria fiore all’occhiello di questi anni, si è giocato più che investito: non può essere un caso la fioritura di iniziative strampalate eppur protette, come abbiamo documentato, da Arhef a CreateNet; non può essere un caso che il trasferimento tecnologico sia stato affidato a una società, Trento Rise, che ben oltre il meritorio core-business ha poi finito per occuparsi soprattutto di supermilionarie consulenze allo stesso Ente pubblico (definite “operazioni di lavanderia” dallo stesso responsabile provinciale della ricerca).
Per non parlare del turismo, con l’insistenza su un modello centrato sullo sci, ormai obsoleto. O delle responsabilità del mondo imprenditoriale, che non ha saputo, né è stato costretto, ad aggregarsi in realtà produttive di dimensioni adeguate, vedi la filiera del legno, dove la ricerca ha fornito ottimi presupposti, poco sfruttati da un sistema di aziende piccole e polverizzate.
Ma se questa è stata l’era Dellai, come si prospetta l’era Rossi?
La stessa diffusione del rapporto dell’IRVAPP, nei termini così evidentemente dirompenti, testimonia ancora una volta la volontà di Ugo Rossi di marcare le distanze dal predecessore. E proprio questa analisi è stata posta come premessa al Programma di sviluppo per l’attuale legislatura.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, in questo caso un radicale cambiamento di cultura politica. Per il quale Ugo Rossi e la sua Giunta ci sembrano del tutto inadeguati.
Così si è preso atto (si poteva forse fare diversamente?) dell’inevitabile ridimensionamento del settore edilizio/costruzioni (che nel 2008 valeva in Trentino il 7,2% del Pil, contro il 5,4 dell’Italia e il 5,3 dell’Unione Europea), si sono rottamate le velleità dellaiane fuori di testa (Metroland, lo spostamento delle scuole a Piedicastello) ma si sono mantenute quelle in cui Rossi aveva una paternità, come il faraonico NOT. Si dichiara di rinunciare ad ampliamenti sconsiderati di aree sciabili (Serodoli), ma si vogliono buttare 850 milioni in una sospetta acquisizione di quote delle Funivie di Folgarida; si teorizza il sostegno ad oltranza delle società impiantistiche in perdita, a iniziare dal demenziale Carosello di Folgaria; si aprono i sentieri alle motoslitte e i parchi alla caccia... In sostanza non si ha una politica dell’ambiente e del turismo.
Si vara un ambiziosissimo progetto di trilinguismo nella scuola, e in contemporanea si ipotizza non solo la settimana scolastica di cinque giorni (che potrebbe andare), ma anche le superiori di 4 anni (che vorrebbero dire meno istruzione); si tagliano i sussidi agli universitari; si ripulisce il Consiglio di amministrazione del Mart dalle persone di cultura (si arriva a contrastare la nomina del filosofo Franco Rella, forse l’unico intellettuale trentino di statura europea) per darlo in mano ai bottegai: in sostanza l’istruzione e la cultura sono viste come mere, petulanti ancelle dell’economia.
Una cosa rimane: la clientela. Quando Ugo Rossi e i suoi campioni - gli assessori Mellarini e Dallapiccola - si sbracciano nell’assicurare valanghe di milioni (venti!) a un’azienda decotta, senza bilanci, senza prospettive, come la LaVis, per di più pessimo esempio di correttezza economica, ma con la sede a un tiro di schioppo dall’abitazione del Presidente, beh allora è chiaro che da questa compagine il Trentino non si può aspettare alcunché. Il che è molto grave: un altro quinquennio perduto.
Ettore Paris