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69°Trento Film Festival

Fra avventure e ritratti

Il 69° Trento Film Festival, summa della cinematografia di montagna, dà segni di schizofrenia bipolare. Da una parte ci mostra le avventure di esseri straordinari riprese con tecnologie avanzate in luoghi sempre meno selvaggi (vedi i film della sezione alpinistica). Dall’altra invece ecco i ritratti di comunità e realtà sempre più quotidiane e marginali come in Bosco, die letzten Österreicher, Winter’s Yearning, Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto, Chaddr-A River Between us, Holy Bread. Il che non è male, tutt’altro, ma spiazza un po’ passare dagli elicotteri al campo-base dell’Everest, ai 13 abitanti di un villaggio spopolato e senza automobili.

L’imprescindibile tributo da corrispondere ai film di alpinismo, visto che senza di loro non saremmo qui a parlare neanche del resto, quest’anno è caduto (del tutto casualmente) su La montaña desnuda dello spagnolo Alex Txicon.

Sì, sono film che ormai si assomigliano un po’ tutti, ma almeno questo si distingue per il racconto in forma di dialogo fuoricampo tra un’intervistatrice e il protagonista/regista. L’espediente è utile a dare fluidità e chiarezza alle sequenze, oltre a sottolineare riflessioni e opinioni dell’autore. Il resto, con qualche variante, è la usuale trafila di preparazione, emozioni, attesa, inconvenienti, delusioni, speranze, ascesa, difficoltà, fatica, sacrificio, conquista, riflessioni, drammi. Tecnicamente tutto bello e prevedibile. La differenza, negli ultimi anni, la fanno le riprese coi droni, che permettono con una certa semplicità sguardi e angolazioni prima impensate.

Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord, di Dario Acocella, era un documentario particolarmente atteso per la presenza come protagonista del noto e apprezzato scrittore in viaggio verso le terre del nord-ovest americano. Appunti e riflessioni letterarie e personali accompagnano le immagini sulle tracce degli autori che hanno ispirato il protagonista. La tomba di Raymond Carver, il territorio vissuto da Jack London, le esperienze di Henry David Thoreau… Sinceramente niente di nuovo e significativo, col rischio della retorica dietro l’angolo. Fino a una commovente impennata emotiva finale che, trasformando il viaggio in pellegrinaggio, riscatta e dà senso compiuto a tutto il film.

Godspeed, los polacos! di Adam Nawrot è un documentario che inizia con immagini sulla nascita di una specie di sottocultura legata al canoismo e al rafting in Polonia: giovani che si avvicinano a questo sport, ai fiumi e alla natura per sentirsi liberi e svincolati dall’opprimente regime polacco negli anni ‘70. Poi però il film muta nel resoconto di un tenace e pazzoide gruppo di loro, che si lancia nella folle avventura di discendere il canyon più profondo del mondo in Perù. Infine il film prende ancora un’altra piega, marcatamente politica, mostrando il sostegno del gruppo, bloccato in Perù, a Solidarnosc, il combattivo sindacato polacco. Tutto un percorso per raccontare le motivazioni dei protagonisti che dall’aspirazione alla libertà in un paese del blocco socialista arrivano all’abbraccio di una nuova esistenza in Usa. Lo stesso il film è riuscito avvincente e curioso, almeno nelle prime due parti. Anche se le memorie in pellicola sgranata di giovani atipici che nei decenni passati hanno incanalato la loro ribellione verso nuove sfide e avventure sta cominciando a diventare un genere già piuttosto frequentato.

Winter’s Yearning

Winter’s Yearning di Sturla Pilskog, Sidse Torstholm Larsen è un bel documentario etno-antropologico su diversi aspetti della vita degli abitanti inuit di un centro di tremila abitanti in Groenlandia. Tre figure principali, una ragazza, un funzionario comunale e uno psicoterapeuta, si raccontano per immagini e considerazioni, nel proprio percorso di reazione ai vizi, alla depressione e all’attesa passiva, per riuscire a realizzare i diversi desideri d’inverno. Tre figure per comporre un quadro complesso e toccante che comprende il desiderio di indipendenza nazionale, la ricerca del lavoro, lo sviluppo economico, la profonda natura e i sogni di un popolo.

Anche con La casa rossa di Francesco Catarinolo siamo in Groenlandia, in un villaggio su un fiordo delle stesse dimensioni di quello di Winter’s Yearning, ma sulla costa orientale. Anche qui troviamo i profondi e dolorosi segni dell’Occidente sulla popolazione locale, che fatica a convivere con le trasformazioni, presentando problemi di depressione, suicidio, alcolismo, abusi sessuali. Partito come documentario su Robert Peroni, ex esploratore altoatesino che trent’anni fa ha mollato tutto per trasferirsi nella Groenlandia orientale, il documentario poi si trasforma in un’indagine più ampia sulla comunità locale. In questa mutazione, pur proponendo materiale interessante, il film, al contrario di Winter’s Yearning, fatica a risultare mirato ed efficace, con testimonianze e situazioni aggregate senza organicità. E la figura di Peroni, con la sua Casa Rossa, un rifugio che offre lavoro alla gente del posto rimasta senza niente, diventa via via sempre più pretestuosa ed estranea.

Troiane di Stefano Santamato è un breve documentario che mostra il viaggio di tronchi d’albero dal territorio devastato dalla tempesta Vaia al palcoscenico del teatro greco di Siracusa, dove vengono utilizzati come scenografia per Le troiane di Euripide. Da tragedia a tragedia un commovente, ma capace di essere anche ironico, collegamento simbolico del meglio che a volte sa essere l’Italia: unita, solidale, creativa.

E poi c’è Bosco dell’italo-argentina Alicia Cano Menoni, che è uno strano oggetto composto di persone, storie, legami e ricordi relativi a un paese di 13 abitanti tra gli Appennini. Un tentativo riuscito di ritrarre un luogo che esiste oltre la cartografia e la realtà e si tramanda inconsciamente dai vivi e dai morti col DNA, forse. Un film ricco di relazioni e implicazioni familiari, ambientali, sociali sottili ma emozionanti che, tra immagini e immaginazione, inteneriscono, fanno ridere, commuovono e fanno riflettere, distillando dalla semplicità della vita quotidiana il tempo rallentato e l’essenziale.

Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto

Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto di Aldo Gugolz, è il film vincitore della Genziana d’Oro, premio al miglior film del Festival. Fabiano è un pastore nelle Alpi interne ticinesi, che tra difficoltà e tormenti personali cerca di mandare avanti la piccola azienda ereditata dal padre. Ma provare a riscattarsi e costruirsi una vita alternativa nell’idilliaca montagna può essere complicato, pure in un paese ricco ed evoluto. In questa prospettiva il ritratto di un microcosmo si apre ad un respiro un po’ più ampio di quello privato. Un film ben realizzato, ma che non possiede né le tematiche, né la forza emotiva capaci di coinvolgere pienamente. Per cui non convince la vittoria del primo premio di un festival che ha presentato film con problematiche e ritratti sociali, culturali e globali ben più importanti e profondi.

Eccone uno: è possibile che la gente vada ad ammirare e riprendere i ghiacciai che si sciolgono come se fossero uno spettacolo esilarante e commercialmente vendibile? È possibile che qualcuno continui a riprendere col telefonino una mareggiata che sta spazzando via persone ed oggetti da una spiaggia? È possibile che le reazioni al frantumamento di un iceberg siano solo una serie di ottusi e ripetuti WOW? Sì, e ce lo mostra Icemeltland Park di Liliana Colombo, un documentario costruito con l’assemblaggio e sovrapposizione di una serie di filmati amatoriali scaricati da Internet. Altre sequenze di disastri, suoni di spot pubblicitari e poche didascalie costruiscono un’opera amaramente ironica e disperante, sottolineando l’ignoranza e stoltezza umana nei confronti di una Terra in agonia. Formalmente piuttosto grezzo, ma potente nel messaggio e nell’efficacia emozionale.

Girato sul confine tra Iran, Iraq e Turchia, Holy Bred di Rahim Zabihi, vincitore del meritato premio del Cai, mostra le dure condizioni di vita dei kulbars, contrabbandieri, portatori di merci attraverso i confini curdi. Uomini che spinti dalla fame e dalla disperazione intraprendono viaggi pericolosi e faticosi per i pochi soldi che consentono la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie. Affidandosi quasi esclusivamente alle potenti immagini, con solo poche didascalie e testimonianze dirette, il film è un riuscito ritratto di questa condizione umana, ma fatica a rendere la complessa realtà di quel territorio. E questo è un peccato, perché a una scelta stilistica è stata sacrificata la possibilità di far conoscere e comprendere più approfonditamente quei confini, i popoli e gli ambigui rapporti politico-economici che intercorrono.

Una delle prime inquadrature di Die letzten Österreicher di Lukas Pitscheider mostra una Fiat 132 nuova fiammante. Così, ancor prima di interrogarci sul dove siamo, viene da chiedersi in che epoca siamo. Nel suo bizzarro incrocio di tempo e luogo ci viene quindi presentato il villaggio di Königsfeld, un insediamento dell’epoca austro-ungarica che annovera ancora molti pronipoti di lingua tedesca. Attualmente il villaggio però si trova in Ucraina, dopo aver ovviamente vissuto tutta l’epoca sovietica, che ha lasciato importanti tracce.

Insomma, tra echi del passato e trasformazioni del presente, compreso un tenerissimo tentativo di lancio turistico riciclando i più vetusti impianti sciistici occidentali, questo bel film risulta un’emozionante e intelligente riflessione sul tempo, i luoghi e l’umanità di un’altra Europa.

Per concludere, qualche parola su tre film che hanno a che fare direttamente col nostro territorio.

Senza voce, la storia di Stregoni di Joe Barba è un lavoro che documenta il progetto musicale Stregoni dei trentini Johnny Mox e Above the Tree, realizzato con ragazzi immigrati (per lo più sub sahariani) incontrati nei centri d’accoglienza. L’esperienza è pretesto per raccontare frammenti delle condizioni marginali e il loro potenziale creativo.

Anche N-ice cello di Corrado Bungaro è legato ad una particolare realtà musicale, ovvero la costruzione, il viaggio e l’esibizione in vari posti d’Italia di un violoncello dal corpo di ghiaccio. Obiettivo finale è il Teatro Politeama di Palermo, per interagire con l’Orchestra Sinfonica Siciliana nella prima mondiale di una partitura originale per Ice-cello e orchestra d’archi, del compositore Giovanni Sollima. Inconvenienti e ostacoli punteggiano un on the road classico, dal buon ritmo costruito con sapiente montaggio.

Infine, il cortometraggio in animazione digitale Mila, della regista trentina Cinzia Angelini, racconta una storia di guerra narrata dal punto di vista di una bambina. Ispiratasi ai ricordi della madre, e nello specifico al bombardamento di Trento del 2 settembre 1943, il corto mostra la tragedia e la speranza dei profughi. Un film toccante per la stringente attualità del tema e, almeno per i trentini, per l’ambientazione accurata ed efficace nella nostra città dell’epoca.