Fuori dalla prigionia, in teatro e nella realtà
Finalmente teatro dal vivo, qui ed ora! A piccoli passi, la scena trentina riprende il rapporto diretto con il suo pubblico. Ricominciando a calendarizzare eventi, pur con la capienza limite delle sale al 50%. Inventandosi modalità di fruizione fantasiose, come a Villazzano il teatro sul divano. Lanciando le provocazioni, come fatto da Trento Spettacoli, di uno spettacolo per un attore e uno spettatore, con la prima tappa del progetto Viaggio a Spoon River al SASS, e di un set teatrale svuotato dalla presenza umana, con la proposta Il teatro che (non) c’è allestita allo Spazio Off. O, ancora, annunciando una programmazione estiva diffusa, sulla scorta dell’esperienza della passata bella stagione.
La prima struttura a riaprire al pubblico, in provincia, è stata il Teatro di Pergine. AriaTeatro ha scelto di ripartire, da martedì 4 a domenica 9 maggio, con sei repliche di Bye Bye Blackbird. Una delle ultime produzioni della compagnia, uno spettacolo che avrebbe dovuto debuttare addirittura ad aprile 2020, occasione ovviamente sfumata a causa della pandemia. Il lavoro è stato offerto online, sulla piattaforma Retroscena, lo scorso 19 dicembre, ma poterlo godere dal vivo è naturalmente tutta un’altra cosa. Per rendere il ritorno in presenza ancora più forte ed intimo, ma in sicurezza, AriaTeatro ha ospitato il pubblico sul palco, aprendo ogni sera ad un massimo di 35 spettatori.
Una bella opportunità, dopo mesi di stop, per tornare a sedersi in sala in attesa che le luci si accendano sulla scena, dedicare – senza le distrazioni domestiche – 70 minuti ad una storia raccontata dal vivo da persone in carne ed ossa, riassaporare a fine spettacolo un briciolo di socialità. Tornare a respirare quella magia, effimera e potente, che solo il teatro sa trasmettere.
Ma non perdiamo di vista il motivo principale di questo articolo, ovvero la narrazione e valutazione dello spettacolo.
Bye Bye Blackbird è un progetto ispirato al romanzo Il bacio della donna ragno, che Manuel Puig scrive a metà anni Settanta, in esilio durante la dittatura argentina. L’adattamento teatrale di Chiara Benedetti – abile a rendere accessibili i contenuti, specie gli aspetti sociali e politici, ad un pubblico moderno – rappresenta due personaggi dai caratteri a prima vista incompatibili, costretti nella cella di un carcere a convivere ed avvicinarsi: l’uno il leader di un movimento politico dissidente, l’altro un omosessuale punito per corruzione di minori. Due figure che ben si prestano alle caratteristiche attorali di Denis Fontanari e Christian Renzicchi. Inquadrato e apparentemente distaccato il primo, alle prese con battaglie politiche irrisolte e amori sospesi; più esplosivo ed emotivamente investito il secondo, perfettamente calato – e senza cadere in stereotipi – nella parte dell’omosessuale con la passione per i film melò e le dive del cinema e della musica. Forse l’unico motivo di evasione dalla violenza psicologica del carcere. Un elemento che abbatte i muri tra i due e li coinvolge in un’inaspettata reciproca affettività, ma anche li imbriglia inconsapevolmente nella rete di un potere spietato, che non concede loro scampo.
Quale conclusione? Bye Bye Blackbird opta per un finale onirico che non dà risposte preconfezionate.
Il lavoro poggia sulla forza del rapporto tra i due personaggi/attori, all’interno di una cornice con pochi ma studiati effetti scenici e illuminotecnici. È di sicura incisività la struttura scenografica entro cui si muovono gli interpreti, una cella circolare che rende concretamente l’idea di una costrizione spaziale opprimente. E sono di efficace supporto gli effetti cromatici realizzati da Iacopo Candela e Federica Rigon, che valorizzano il delicato scambio di azioni ed emozioni che si crea via via tra i due personaggi, così come gli effetti audio di Marco Sirio Pivetti. A governare il tutto, la regia pulita e curata di Chiara Benedetti.
Una messa in scena che presenta dei paralleli con altre produzioni AriaTeatro, soprattutto – a nostro avviso – Emigranti. Anche in quel caso, due personaggi caratterialmente antitetici costretti dalla convivenza forzata ad un confronto-scontro-incontro, ed un finale onirico lasciato legittimamente all’interpretazione dello spettatore, in sospeso, indefinito, quasi un barlume di sogno per fuggire dalla condizione di prigionia. Nel tempo dello spettacolo, ma anche della vita reale. Tratti che sono ormai delle costanti che rendono riconoscibile un certo filone artistico della compagnia perginese.